Il forum Ambrosetti di Cernobbio, appuntamento fisso che Teha Club organizza ogni settembre sul lago di Como, ha messo in luce l’estrema pressione esercitata dalla politica americana sulle filiere europee e italiane in un momento di perdurante tensione economica e geopolitica globale. Un nuovo corso, definito Trumponomics, che sta colpendo in Europa settori chiave come automotive, farmaceutico, meccanica, agroalimentare e che, a causa dell’incremento dei dazi (15% sulle merci europee come concordato tra Bruxelles e Washington il 21 agosto), avrà ripercussioni allarmanti.
Due dati.
Il primo, l’impatto stimato per l’Italia ammonta a circa 9 miliardi di euro, con una minore competitività dei prodotti italiani sul mercato americano anche se l’Italia sembra godere di “una posizione privilegiata in termini di resilienza commerciale”. Teha: “Il nostro export raggiunge oltre 100 Paesi, con un livello di diversificazione che ci colloca al 4° posto al mondo e al 2° in Europa. Inoltre, i prodotti italiani risultano tra i meno sostituibili a livello globale: siamo il 21° Paese per bassa sostituibilità, grazie alla distintività e alla qualità del Made in Italy. Questi fattori, uniti alla capacità di innovazione e flessibilità delle imprese, rappresentano il vero scudo competitivo contro le nuove barriere imposte da Washington”.
Il secondo, l’impatto stimato per l’Europa (“elevatissimo”), pari a 75,8 miliardi di euro l’anno, 13 volte superiore ai 5,9 miliardi registrati nel 2024.
L’indice di attrattività 2025
E’ in questo contesto di rapporti internazionali imprevedibili – con le guerre in Ucraina e Palestina – che la presentazione dei risultati del Global Attractiveness Index 2025 (Gai Index, realizzato da The European House – Ambrosetti) apre uno “spiraglio” all’Italia, seppure insufficiente. In una classifica dominata dagli Stati Uniti che si confermano sempre al primo posto (score pari a 100) seguiti da Cina (87,7) e Germania (81,4).
Perché l’Italia nel ranking dei Paesi più attrattivi cresce di tre posizioni rispetto al 2024 (scavalcando Danimarca, Belgio e Irlanda), confermandosi al 16° posto tra 146 economie al mondo (senza Russia e Ucraina non monitorate per assenza di dati) seppure con parametri allarmanti che rimarcano la bassa occupazione, i bassi salari, i pochi laureati. In una Europa sempre meno attrattiva dove i Paesi principali segnano il passo e arretrano: la Germania (con 81,4) perde il secondo posto, la Francia passa dal 10° al 13° gradino, cosi come perdono posizioni UK e Svizzera.
L’attrattività viene misurata rispetto a quattro macro aree (apertura, innovazione, dotazione ed efficienza), analizzando oltre 90 milioni di dati, sottoposta ogni anno ad un audit statistico indipendente condotto dal Joint Research Centre della Commissione Europea.

Ecco il podio
Il 1° posto continua ad essere occupato dagli Stati Uniti, anche se Teha precisa che la fotografia del Gai è di inizio 2025 e che il contesto così mutevole a livello mondiale, con fattori di rischio economici e politici elevati, potrebbe avere interferito in questi mesi sull’attrattività degli Usa. “L’attrattività di un Paese si costruisce con pazienza e perseveranza sulla base di una visione di futuro credibile, coerente e percepibile per gli investitori – sottolinea Enrico Giovannini, direttore Scientifico di ASviS e membro del Comitato Scientifico del progetto -. L’incertezza che regna negli Stati Uniti potrebbe essere un fattore di riorientamento degli investimenti finanziari verso il continente europeo, come alcuni operatori del settore stanno già registrando”.
Al 2° posto si posiziona la Cina (superando la Germania) anche se il quadro macroeconomico cinese presenta dei rallentamenti e la crescita, che fino a pochi anni fa sembrava irrefrenabile, ora è più contenuta.
Al 3° posto siede la Germania, che ha ridotto il suo indice dal 91,0 del 2023, all’85,4 del 2024, fino all’81,4 quest’anno, dovuto alla stagnazione industriale, con un rallentamento sia della domanda interna sia delle esportazioni.

competenze siano utilizzate con successo, ossia in che misura le competenze sono effettivamente allineate nel
mercato del lavoro (fonte: elaborazione Teha Group su dati Cedefop, 2025)
La fotografia dell’Italia
La 16° posizione dell’Italia (score 60,3) conferma un trend di miglioramento del nostro Paese nel contesto internazionale. “I risultati dell’edizione 2025 confermano un costante miglioramento del posizionamento del nostro Paese nel contesto internazionale, la cui regolarità testimonia la crescente presenza e diffusione di fattori strutturali di competitività e attrattività, attivi anche nell’attuale fase di difficoltà delle economie industrializzate” evidenzia Roberto Monducci, già direttore del Dipartimento per la produzione statistica di Istat.
Ma se guardiamo i dati nel dettaglio l’entusiasmo viene meno, lasciando spalancata la porta ai problemi strutturali che inficiano l’attrattività italiana: bassi salari, scarsa formazione, poca capacità di attrarre talenti.
Qualche numero. I giovani laureati italiani sono solo il 29,2% del totale posizionando l’Italia al penultimo posto nell’Unione Europea, generando un gap di 2,5 milioni posizioni lavorative non coperte (per un costo complessivo stimato di 43,9 miliardi l’anno).
Continua la fuga di cervelli qualificati all’estero proprio per la scarsa competitività retributiva dell’Italia dove l’Ocse stima che i salari reali sono diminuiti del 3,3% (dal 2000 al 2023) e dove i giovani under 35 guadagnano meno della media europea dei coetanei, pur lavorando più ore. Per non parlare del cuneo fiscale tra i più alti in Europa (45,1%) che frena l’attrattività, mentre il costo crescente dell’energia – significativamente più alto di Francia, Germania e Spagna – pesa sulla competitività delle imprese le cui aspettative sull’occupazione calano di 10 punti rispetto a inizio anno.
Futuro incerto. Per l’Italia dovranno essere monitorati fattori esogeni – politiche commerciali, instabilità dei mercato energetico, tensioni geopolitiche – ma soprattutto andranno attivate leve interne per garantire una maggiore efficienza burocratica e consistenti investimenti rivolti al sistema della formazione, per ridurre la mancanza di competenze, valorizzare i talenti e attrarre lavoratori qualificati anche da altri Paesi. E’ sempre la formazione che fa pendere l’ago della bilancia.

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