E’ la settimana in cui OpenAI ha fatto parlare di sé per rafforzare la sua strategicità nel mercato dell’AI. E lo ha fatto stringendo accordi con due big tech che stanno facendo dell’intelligenza artificiale il cuore della loro narrazione. Non solo del loro fatturato.
Il primo accordo riguarda OpenAI e Microsoft, oggi azionista di minoranza di OpenAI (49%), legata all’azienda da una collaborazione nata nel 2016 e arricchita da investimenti miliardari a partire dal 2019 (anno del primo miliardo di dollari fino ai 13 attuali). Una partnership strategica che ha reso Microsoft Azure la piattaforma cloud di riferimento per l’addestramento dei modelli ChatGpt e che, di conseguenza, ha permesso a Microsoft di integrare le innovazioni di OpenAI nei propri prodotti dando vita a Copilot.
Cosa è successo la scorsa settimana?
Le due aziende hanno firmato un Memorandum of Understanding non vincolante per sviluppare la “fase successiva” della loro partnership, “concentrati sull’offerta di migliori strumenti di intelligenza artificiale per tutti” con un impegno condiviso sulla tematica della sicurezza. Un Memorandum – l’accordo definito è in stesura – che sottolinea quanto l’alleanza tra le due aziende sia ormai solida e vincolante per lo sviluppo dell’AI futura.
Non ci sono dettagli sull’intesa ma credo non si sbagli a prevedere un maggiore sviluppo congiunto della tecnologia, un uso intensivo dell’infrastruttura cloud di Microsoft, la definizione di nuove strategie di mercato tra approccio profit e no-profit, in una relazione a doppia faccia intessuta tra le due aziende dove Microsoft rimane il partner commerciale (privilegiato) e OpenAI la paladina di una governance senza scopo di lucro (come originariamente dettato dallo statuto della società nata nel 2015 per dare vita a una AI a beneficio dell’umanità).
Sul tema delicato della “responsabilità” non a caso la stessa OpenAI è tornata in settimana annunciando la creazione di una Public Benefit Corporation (Bpc), una forma societaria “ibrida” che consente di perseguire finalità economiche senza rinunciare a obiettivi di beneficio collettivo. Un compromesso tra profitto e responsabilità pubblica, dove il no-profit mantiene il controllo decisionale mentre la Public Benefit Corporation diventa il veicolo per attrarre capitali e partner. Vedremo.
Il secondo accordo riguarda OpenAI e Oracle, perché la potenza di calcolo richiesta dai nuovi modelli di AI non basta mai. Stando alle anticipazione del Wall Street Journal le due aziende avrebbero siglato un accordo in base al quale Oracle fornirà potenza di calcolo a OpenAI per un valore complessivo di 300 miliardi di dollari per 5 anni, a partire dal 2027. Sarebbe uno dei più grandi contratti cloud ad oggi firmati, che impegnerebbe in modo significativo entrambi le aziende. Da una parte OpenAI diventerebbe il primo cliente di Oracle che per far fronte a tale richiesta di capacità computazionale dovrà investire nella costruzione di nuove cloud region, dall’altra OpenAI dovrà crescere molto in fatturato per sostenere l’impegno economico preso, dal momento che ad oggi il suo giro d’affari è di circa 10 miliardi di dollari l’anno.
Certamente avranno fatto bene i loro conti. Metto così al momento in pausa la dichiarazione di metà agosto fatta da Sam Altman (Ceo di OpenAI) del rischio di una bolla speculativa riguardo all’AI (fonte The Verge), paragonando l’entusiasmo degli investitori per l’AI a quello di fine anni ’90 per le dot.com, il cui valore era salito in modo così vertiginoso per poi crollare altrettanto vertiginosamente, dando vita alla crisi profonda del settore tecnologico innescata nel 2000. La tengo in sospeso.
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