Vuota stamattina la metropolitana, poche persone sui treni, non è un abbandonarsi alla paura ma un atto di senso civico da parte di chi guida le aziende, grandi e piccole. Perché oggi lo smart working rende possibile portare avanti una normalità di business in contesti non normali.
Le email circolate nel weekend e diramate dagli uffici stampa di grandi aziende invitano a lavorare da remoto, un invito non solo per i dipendenti delle aree messe in quarantena ma spesso allargato. Una comunicazione fondamentale, dà senso di appartenenza, di protezione dal rischio, indirizza i comportamenti per ridurre al minino l’interruzione del business, conforta. Dando per scontato senso di responsabilità e autonomia di ogni singola persona.
Lo aveva scritto Bloomberg nelle scorse settimana a riguardo della Cina, che il Coronavirus aveva reso possibile “il più grande esperimento di telelavoro al mondo” definendo una sorta di punto di non ritorno sul lavoro del futuro. Lo ha ripetuto in questi giorni il sociologo Domenico De Masi, professore di sociologia del lavoro a La Sapienza di Roma (oltre che fondatore della Società Italiana Telelavoro (Sit) per la diffusione del telelavoro e la sua regolamentazione sindacale) sulle pagine dell’Huffington Post. Pur mostrando le resistenze diffuse nel nostro Paese: “Lo smart working, pur essendo il modo migliore di lavorare, fatica ad affermarsi. I vantaggi del lavorare da casa sono inquantificabili, ma in Italia c’è una resistenza patologica al cambiamento”.
Non è questo il contesto per analizzare le resistenze patologiche (oggi vince il senso civico) né per entrare nei dettagli delle ordinanze restrittive emanate dai Ministeri già in atto o future (oggi vince il protocollo), né per schierarsi nel dibattito tra isteria collettiva (da supermercato) o inquietudine reale. Non è questo il punto.
Milano ha mostrato di crederci. Nella nuova piazza di City Life, l’invito a ricorrere allo smart working arriva dalle tre torri (Generali, Allianz, PwC), nella zona di Porta Nuova da Unicredit, Aws, Microsoft, Google portando avanti un modello già in corso. Strategia adottata anche da Ibm, Intesa Sanpaolo, Sas, Luxottica, Enel, Eni, Snam, A2A, Pirelli, Saipem, Sky, Comune di Milano… E la lista man mano che la settimana prende forma è destinata ad allungarsi.
Perché solo così, con senso civico e normativa, le porte delle aziende rimangono aperte.
Peccato che sia stato un virus ad alzare l’attenzione sulle opportunità legate allo smart working. A valle c’è una ottima legge già in vigore, senza la quale sarebbe difficile per le aziende milanesi adottarlo in tempi brevissimi, in emergenza, ma a monte c’è anche un grande senso civico. A Milano il primato di crederci.
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