Ognuno dice la propria sulla chiacchierata app Immuni, che ancora prima di nascere ha raccolto critiche, perplessità, resistenze, molte lecite e condivisibili, molte infondate.
Nel balletto personale… l’amo, non l’amo… la installo, la ignoro… ci siamo trovati tutti e ora che c’è il decreto che fissa le norme fondamentali per l’app di tracciamento dei contagi da Covid siamo al dunque.
Guardiamo le criticità. Esperti di privacy hanno alzato l’allarme – inneggiando a rispetto di Gdpr, privacy, tracciamenti, conservazione dei dati –, esperti di politica hanno sottolineato le dichiarazioni diverse tra varie istituzioni (ministeri e enti), professori illustri hanno più volte chiesto al Ministero dell’Innovazione e ai 74 esperti coinvolti nella scelta della app i criteri e il livello di coordinamento del team per la decisione finale (scelta non collegiale pare), informatici hanno alzato l’attenzione sul livello di cyber sicurezza della app per arginare ogni tipologia di attacco (la “security by design” è stata messa in discussione).
Tutto giusto, lecito, ci manca. Qualche dubbio via via nelle settimane è stato chiarito, altri no.
Ma credo che questa volta si debba passare dallo spirito critico (necessario) ad una azione impellente (altrettanto necessaria) richiesta dalla gravità della situazione, anche se la fretta si è dimostrata in alcuni passaggi (nella realizzazione e presentazione dell’app) cattiva consigliera, come da proverbio.
Brevemente ecco come funziona Immuni, prima di sfogliare la margherita.
1 – L’app – sviluppata dall’italiana Bending Spoon sarà disponibile per iOS e Android entro la fine di maggio, probabilmente dal 18 – avrà due anime: una parte dedicata al contact tracing vero e proprio (basato su tecnologia Bluetooth Low Energy) e l’altra destinata ad ospitare una sorta di diario clinico del cittadino, in cui l’utente potrà annotare informazioni e sintomi relativi alle proprie condizioni di salute.
2 – Scelta per la sua capacità di contribuire tempestivamente all’azione di contrasto del virus (in una fase di tamponi assenti per tutti, se ci fossero credo non servirebbe), l’app è virata da un modello iniziale centralizzato a una architettura anonimizzante pensata da Apple e Google (non più basata su Gps) in grado di garantire la privacy e la sicurezza dei dati.
3 – L’applicazione mantiene i dati dell’utente sul suo dispositivo, assegnandogli un ID temporaneo. I cellulari che vengono in contatto tra loro (per più di 15 minuti) conservano in memoria i reciproci dati in forma di codici anonimi crittografati per valutare il “rischio contagio”.
Ma chi gestisce dati, il tracciamento, la loro tutela?
Veniamo al decreto del 29 aprile. In sintesi.
1 – L’app Immuni, gratuita, sarà scaricabile solo su base volontaria.
2 – Non ci sarà nessuna restrizione per chi non la usa.
3 – La sua modalità operativa poggerà sul tracciamento dei contatti basato sul trattamento dei dati di prossimità dei dispositivi, resi anonimi.
4 – Non ci sarà la geolocalizzazione dei singoli utenti.
5 – Titolare del trattamento dei dati raccolti il Ministero della Salute.
6 – I dati raccolti (solo quelli necessari alle finalità di tracciamento anti contagio) non potranno essere trattati per finalità diverse da quella specificate e risiederanno in Italia.
7 – I dati saranno cancellati alla cessazione dello stato di emergenza e comunque entro il 31 dicembre 2020.
Secondo il Ministro per l’Innovazione Tecnologica la soglia di efficacia dell’app (condivisa anche dal Garante per la Privacy) è l’adozione da parte di almeno il 60-70% degli italiani (anche se secondo altri calcoli e statistiche anche il 40% darebbe vantaggi nel ridurre il contagio).
Ovvio, essendo volontaria e non propriamente alla portata di tutte le fasce di cittadini con minore dimestichezza, è evidente che la soglia di adesione ne rappresenta il successo o il fallimento (si sono discusse e smentite misure per incentivarne il download, legate ad assenza di autocertificazione per spostamenti e mobilità…).
Non solo l’Italia si sta muovendo in questa direzione. Altri Paesi europei (Francia e Germania) stanno mettendo a punto app simili e in ordine di tempo, l’11 maggio, sarà la Svizzera a lanciare l’app di contact tracing creata dalla Swiss Federal Institute of Technology (Epfl) di Losanna, che utilizzerà anch’essa Bluetooth e design decentralizzato Dp-3T (Decentralized Privacy Proximity Tracing) per tracciare i contagi.
Insomma veniamo al punto. Certo si potevano scegliere altre strade (tra gli esempi la piattaforma per monitorare l’andamento di Covid realizzata da Engineering, attualmente utilizzata solo dalla regione Veneto) o fare meglio.
Ma credo che da qualche parte si debba oggi pure iniziare, proprio per quel senso civico che invochiamo da settimane per tutelare chi è in prima linea, la salute dei cittadini, spingendo lo smart working, il distanziamento sociale, l’e-learning. Non ci si può tirare indietro ora (anche se con qualche perplessità).
Siamo all’inizio di una Fase 2 con tante incognite (le curve dell’Istituto Superiore della Sanità allertano le scelte della politica) e se una app ci frena – l’installo o non la installo? – significa che stiamo arginando il digitale, l’unico che può aiutarci. Posso installare Immuni anche se proprio non la amo. Almeno credo così.
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