Le trimestrali delle big tech crescono, insieme al loro monopoli. E la necessità, più che sentita, di arginare le pratiche anticoncorrenziali che le grandi aziende tecnologiche americane adottano per primeggiare sul mercato europeo (ma non solo) si fa pressante, accanto all’urgenza di mettere d’accordo i diversi paesi europei per un maggiore coordinamento sulle azioni da compiere. Lo ha ribadito Margrethe Vestager, commissaria europea alla concorrenza e al digitale, invocando una maggiore chiarezza da parte delle big tech sulla gestione dei dati e sul loro utilizzo (a beneficio di utenti, concorrenti, governi) e un’azione europea condivisa tra i diversi paesi (a beneficio dell’Europa).

Il problema, noto, ha più sfaccettature. Come funzionano gli algoritmi di Google, Amazon, Facebook che spingono i loro servizi nei risultati di ricerca a scapito dei concorrenti?
Quali regole concorrenziali e raccomandazioni vanno stabilite in modo da arginare lo strapotere delle big tech, definite gatekeeper (cioè realtà che esercitano un controllo sugli utenti attraverso meccanismi di AI che favoriscono alcuni comportamenti invece che altri)?
Quanto le big tech sono disposte a collaborare con Paesi europei, ricercatori, legislatori, governi per arginare comportamenti scorretti, minacce, odio in rete?

Secondo Vestager, le decisioni da prendere dovranno fare in modo che queste grandi aziende “forniscano maggiori informazioni sul modo in cui funzionano i loro algoritmi di intelligenza artificiale, quando le autorità di regolamentazione lo richiedono, fornendo l’accesso ai dati in loro possesso, inclusi gli archivi degli annunci”. Richiesta di apertura e trasparenza.

Il sollecito della commissaria arriva a ridosso della data importante del 2 dicembre e in concomitanza con le trimestrali delle big tech tra le quali quelle di Alphabet (Google), Amazon e Facebook. Vediamo.

Due atti europei in discussione

Partiamo dal 2 dicembre: fra un mese esatto verrà presentato al parlamento europeo il Digital Services Act (Dsa), il pacchetto di misure legislative che regolamenterà la concorrenza sul mercato europeo richiedendo alle aziende di servizi digitali di “assumersi una maggiore responsabilità nella gestione di contenuti illegali e prodotti pericolosi”. Un atto che si affiancherà a un secondo pacchetto normativo importante – il Digital Markets Act (Dma) – per aggiornare le regole sul commercio elettronico, con maggiori requisiti di trasparenza e concorrenzialità (come l’ipotesi di rimozione dei contenuti suggeriti e delle raccomandazioni d’acquisto).

A questi due atti il compito di regolamentare diversi aspetti, dalla responsabilità penale per le piattaforme online nella diffusione di contenuti illegali o dannosi, a come frenare commercio di materiale contraffatto e gestirne la rimozione, cassare fomentatori di odio, garantire la trasparenza del mercato della pubblicità online e il diritto dei lavori… Un confronto ampio sul quale è richiesto l’intervento di tutti i Paesi europei, consapevoli dell’ostilità da sempre delle big tech nell’essere definite dei “gatekeeper” e nel non volersi trasformare in guardiani o poliziotti delle loro piattaforme web.

Due i pilastri della nuova strategia secondo la commissaria: 1 – deve essere chiarita la lista di quello che i grandi “gatekeeper” digitali possono e non possono fare con i nostri dati, 2 – devono essere coinvolti tutti i Paesi dell’Unione per dare vita a un’infrastruttura investigativa capace di operare trans-nazionalmente. “Questo ci concederebbe un set di regole armonizzate che aiuteranno a mantenere gli europei al sicuro online tanto quanto lo sono nel mondo fisico, proteggendo le aziende legittime che operano seguendo le regole senza essere penalizzare da aziende che vendono prodotti economici. E applicando gli stessi standard, in tutta Europa, faranno in modo che ogni europeo possa fare affidamento sulla stessa protezione e che le imprese digitali di tutte le dimensioni possano operare facilmente in tutta Europa, senza dover sostenere i costi di muoversi nel rispetto di regole diverse nei singoli Paesi”, argomenta Vestager. L’urgenza c’è perché la strategia perseguita fino ad oggi – quella delle multe comminate negli anni anche se salate – ha solo tamponato la questione.

Il tema è sentito anche dal Congresso americano al lavoro sulla proposta di riforme per frenare il potere delle grandi aziende della Silicon Valley, che potrebbero portare a modifiche restrittive delle regole antitrust, senza esclusione di scelte estreme (come quella di spingere Google a separare o cedere parte delle attività, anche alla luce della recente causa antitrust contro l’azienda presentata dal Dipartimento di giustizia degli Stati Uniti). “La nostra proposta non cambierà il principio fondamentale secondo cui i servizi digitali dovrebbero essere regolamentati dal loro Paese di origine  – precisa la commissaria -. Ma istituirà un sistema permanente di cooperazione che aiuterà le autorità di regolamentazione a lavorare in modo più efficace, per proteggere i consumatori in tutta Europa. E darà all’UE il potere di intervenire, quando necessario, per far rispettare le regole contro alcune piattaforme molto grandi”.

Ma, si sa, le proposte per aggiornare le leggi antitrust richiedono anni negli Usa, seguono la politica e i presidenti, avanzano lentamente mentre il business delle big tech corre veloce.

Le trimestrali da urlo

Qualche numero delle ultime trimestrali presentate in questi giorni, premiate in tempi di Covid, dà un’idea chiara del volume di business che le big tech governano.

Amazon: +37% con un trimestre record da 96,15 miliardi di dollari di fatturato e utili triplicati a 6,3 miliardi (grazie all’impennata dell’e-commerce e alla crescita dei servizi cloud di Aws (+29%) richiesti per smart working e business continuity durante la pandemia). Da gennaio +71%

Alphabet: +14% con fatturato da 46,17 miliardi e utili del 59% a 11,25 miliardi di dollari (molto bene le entrate pubblicitarie anche su YouTube. Google nello specifico cresce del 14% a 46,2 miliardi di dollari). Da gennaio +15%

Facebook: +22% con fatturato da 21,47 miliardi e utili in crescita del 29% a 7,85 miliardi. Utenti attivi giornalieri +12% pari a 1,82 miliardi a settembre, utenti mensili + 12% pari a 2,74 miliardi. Senza dimenticare che sono di Facebook anche le piattaforme Instagram e WhatsApp. Da gennaio +34%.

La chiarezza regolamentatoria invocata da Margrethe Vestager per l’Europa non è campata in aria, se qualcuno avesse dei dubbi.

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