Il valore dei dati nel migliorare i processi di business e i risultati delle aziende è fuori discussione. Secondo la Commissione europea, il valore dell’economia dei dati potrebbe raggiungere i 550 miliardi di euro per l’UE entro il 2025. Si potrebbe dire la stessa cosa anche pensando al potenziale delle informazioni utilizzate per migliorare la qualità della vita delle persone, ma quando la riflessione si sposta proprio sui dati personali ecco che la “sfiducia” su come essi potrebbero essere sfruttati sembra giocare un ruolo importante fino a frenare i progressi possibili.

E’ quello che di fatto accade oggi che la sfiducia nelle modalità di utilizzo dei dati impedisce lo sviluppo del pieno potenziale che la tecnologia ha. Lo dicono i risultati della ricerca Digital Frontiers 4.0 voluta da Vmware, affidata a YouGov, e condotta attraverso un sondaggio online, su 6.214 consumatori in cinque paesi – UK (2.060), Francia (1.124), Germania (1.030), Italia (1.020) e Spagna (1.021) e conclusosi a marzo 2022.

Il 60% dei consumatori dichiara di sentirsi spaventato o si sente a disagio nel condividere i dati personali per aiutare i governi e le aziende a progettare infrastrutture più intelligenti e più green. In Italia questa percentuale scende in verità al 49%. E appena il 17% (il 27% in Italia) è invece entusiasta della prospettiva che una “digital shadow” – la replica virtuale basata su dati continui catturati da sensori, per esempio per monitorare la qualità dell’aria, il traffico, il consumo di energia negli edifici, la produzione di rifiuti, ecc. – potrebbe migliorare l’efficienza dell’ambiente in cui si vive.

Ricerca Digital Frontiers 4.0 Vmware
Il divario tra la conoscenza effettiva sull’utilizzo dati e la fiducia sulla tecnologia (fonte: Vmware, 2022)

Impressiona il fatto che ben due intervistati su tre dichiara di non sapere chi ha accesso ai propri dati personali e come vengano utilizzati, un dato che si attesta sul 55% in Italia. E a valle di questo dato dovrebbe far riflettere ancora di più come questo dato di fatto sia indipendente dall’effettiva fiducia nelle possibilità offerte dalle tecnologie, tanto che più della metà del campione, e ben il 61% in Italia, resta convinto che la tecnologia contribuisca al progresso del proprio Paese, addirittura sia in grado di generare nuovi posti di lavoro ed entrate; mentre il 68% auspica investimenti nell’innovazione tecnologica per migliorare il pianeta, rispetto ad una percentuale risibile di appena il 5% in Italia che chiede investimenti in attività come il turismo spaziale. E’ comunque alta anche la percentuale di coloro che riconoscono che l’introduzione di nuove tecnologie possa spaventare (47%), nonostante la maggior parte ritenga comunque che sia necessaria per accrescere il benessere. Con appena il 16% in disaccordo.

Dati, tecnologie e sanità

Lo spaccato della ricerca riguardo la sanità si rivela interessante: in questo comparto, infatti, è assegnata priorità assoluta ancora al valore dell’interazione umana; viene riconosciuta l’importanza della tecnologia a supporto dell’assistenza, ma mai in sostituzione del contatto diretto umano. Un feedback non di poco conto, che a nostro avviso vale nella maggior parte dei verticali, quando si parla – appunto – di assistenza.

Sanità Dati e Tecnologie
Sanità Dati e Tecnologie – Aiutare gli umani, non sostituirli

Quasi il 40% degli intervistati non si trova a proprio agio all’idea di una diagnostica condotta attraverso l’utilizzo dei computer, senza il rapporto con il medico, ma riconosce che i computer certo potrebbero individuare e dare evidenza a segnali importanti oltre a quelli rilevati dal medico. Eppure, quasi un intervistato su due sarebbe pronto, invece, a farsi operare, da remoto, da un medico riconosciuto come più competente o specializzato, piuttosto che da uno meno qualificato, ma in presenza. E addirittura il 65% del campione mostra piena fiducia nell’utilizzo dei sensori per monitorare i parametri di salute così da poter anticipare e prevedere un effettivo bisogno di una presenza medica.

Non solo questione di regolamenti   

Nonostante regolamenti, norme e il dispiegamento di una serie di tecnologie necessarie per il controllo delle informazioni tracciabili, poco meno di un intervistato su due, in Italia, teme che le organizzazioni traccino e registrino le attività dei propri dispositivi.

Joe Baguley, Chief Technology Officer, VMware EMEA
Joe Baguley, chief technology officer, Vmware Emea

E’ vero però che non è nemmeno tanto sviluppata la formazione necessaria per poter effettivamente gestire quali informazioni condividere; piuttosto si preferisce “acconsentire” alle richieste sul trattamento delle informazioni anche per paura di possibili “malfunzionamenti” in caso di scelte diverse. Per non parlare del fatto che solo il 10% dei consumatori (il 12% in Italia) ritiene che le aziende e i governi siano abbastanza chiari sulle tecnologie che usano e su come le usano.

Decisamente inferiore, invece, è la sensibilità italiana rispetto al problema del digital footprint (in Italia al 48%, rispetto al 58% della media europea). Secondo Joe Baguley, VP e Cto Emea, Vmware: “In questo momento, il prezzo percepito del progresso è troppo alto e i consumatori non sono ancora pienamente d’accordo sulla condivisione dei dati necessari per alimentare il cambiamento. Affinché i consumatori abbraccino tutto questo, devono sapere cosa succede ai loro dati – la maggior parte dei quali non è personalmente identificabile – e sentirsi sicuri che vengano gestiti in modo sicuro e sensibile”. Servirebbe costruire soluzioni basate in primis sulla possibilità di scelta individuale sul controllo dei dati, ma allo stesso tempo lavorare per educare le persone ad “informarsi” sulla tecnologia per costruire un rapporto di effettiva fiducia.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Condividi l'articolo: