Nel corso degli ultimi 12-18 mesi, l’80% delle aziende ha subito interruzioni significative delle supply chain la cui resilienza è sfidata dai mercati altalenanti, per quanto riguarda gli approvvigionamenti delle materie prime, e dall’inflazione. Senza contare che, ancora prima, già la pandemia aveva messo a dura prova le catene di approvvigionamento. 
Concretamente si parla oramai di più di tre anni consecutivi di sfide. Inoltre, bisognerebbe allineare agli eventi già citati anche l’aumento del costo dei trasporti delle merci e la contestuale minaccia di recessione economica che richiedono continui aggiustamenti. L’idea sempre più concreta di vivere un “momento di crisi”, oramai radicata anche nei consumatori, contribuisce infine ad alimentare continue oscillazioni nella domanda: un’ulteriore variabile che impatta sulle criticità.

A riprendere con ordine i dati di Deloitte nel report Meeting the Challenge of Supply Chain Disruption oltre ai numeri iniziali è importante aggiungere che il 50% delle realtà oggetto dell’indagine registra ripercussioni significative su produttività aziendale e profitti.
Per questo serve approdare a nuovi modelli di supply chain in grado di fare leva su workload intelligenti e processi data driven per essere pronti, in tempo quasi reale, a variare le proprie strategie. 
Parliamo quindi di un mercato, quelle delle digital supply chain, che nei prossimi anni continuerà ad accrescere il proprio valore. Secondo Allied Market Research, quello che solo nel 2022 valeva circa 5 miliardi di dollari, nel 2030 cuberà oltre 13 miliardi (per un Cagr di oltre il 13%), con Mhi Annual Industry Report 2023 che svela come tre aziende su quattro già oggi prevede di incrementare i budget per gli investimenti in tecnologia e, di queste, nove aziende su dieci che prevedono di farlo con budget di oltre un milione di dollari nel corso del prossimo biennio. 

Deloitte - Supply Chain e Sicurezza
Deloitte – Supply Chain e sicurezza, una delle evidenze dello studio Meeting the Challenge of Supply Chain Disruption

Sono gestione e valorizzazione del dato i nodi su cui intervenire.
Sempre secondo Mhi, ottimizzazione degli inventari, delle reti di logistica e distribuzione sono i tre ambiti chiave degli investimenti nei prossimi cinque anni (tasso di adozione di circa l’87%), solo a seguire le tecnologie cloud e le tecnologie come Rfid e barcoding (84%), mentre AI e blockchain rimarrebbero, secondo l’analisi Mhi, ancora indietro ed utilizzate solo, rispettivamente, da tre aziende su quattro e da poco meno di sette su dieci.
L’utilizzo dei dati è vitale poi per disporre di flussi costanti di informazioni lungo tutta la rete di fornitura, così come per armonizzare le tecnologie, per migliorare lo scambio di informazioni, e per coordinare la propria attività con i partner commerciali, i fornitori, il canale di distribuzione dei prodotti.

Facile immaginare un ulteriore passaggio irrinunciabile, quello dell’uniformità del dato, della capacità di centralizzare e monitorare la trasformazione delle informazioni e convertirle nel formato più idoneo per gli obiettivi per cui lo si utilizza. Luca Musso, chief technology officer di Primeur Group, così si esprime sul tema: “Qualità e governance dei dati assumeranno una valenza prioritaria perché permetteranno alle aziende di migliorare lo scambio elettronico delle informazioni aumentando efficienza e velocità. La data integration sarà parte fondamentale della supply chain del futuro”. Un dato sugli altri: secondo il report State of Supply Chain Management 2022, l’80% delle aziende non riesce a tracciare digitalmente il movimento delle proprie merci.
Quali gli obiettivi, allora, per cui lavorare e a cui puntare? Su questo punto specifico viene in soccorso la ricerca Pwc, Digital Trends in Supply Chain Survey.

Luca Musso, Cto Primeur
Luca Musso, Cto Primeur

Di fatto i numeri si armonizzano con i rilievi evidenziati finora. Le aziende perseguono l’incremento dell’efficienza (63%) coniugato con la riduzione dei costi. Si percepisce quindi ancora un atteggiamento di sensibile prudenza verso altri aspetti che invece andrebbero riconsiderati in modo importante, ma che sono invece i primi sacrificati nei momenti di incertezza. Per questo reskilling digitale e iniziative di social responsibility e sostenibilità si fermano nelle preferenze al 19%. 
A preoccupare le aziende sono i costi delle spedizioni (46%) e i timori legati alla capacità di tenere fede agli ordini, per circa il 43% del campione Pwc e quindi di adempiere ai contratti in corso (31%).

Ecco quindi quello che, tra gli altri, rappresenta un ulteriore nodo di incertezze. Secondo il report Deloitte l’88% delle aziende è preoccupato in merito ai temi della cybersicurezza, nello specifico il furto di dati o di proprietà intellettuale, la sicurezza delle informazioni legali e finanziarie, anche in relazione alla fragilità dell’ecosistema di sicurezza della supply chain. Spiega Musso: “La sicurezza della movimentazione ed elaborazione dei dati rappresenta un aspetto di fondamentale importanza. In questo contesto l’integrazione dei dati è imprescindibile perché consente di armonizzare l’integrazione dei dati tra le realtà coinvolte nella supply chain, rendendo più efficiente lo scambio d’informazioni e assicurando controllo, qualità e sicurezza dei processi”.

Supply chain, i trend

A voler individuare allora alcuni dei trend che caratterizzano i mercati e le mosse delle aziende in questo ambito, viene in aiuto la ricerca che Primeur ha commissionato ad Espresso Communication. E non stupisce proprio ritrovare tra questi l’attenzione per la sicurezza (1). Nel 2023 i criminali informatici useranno strategie più sofisticate per infiltrarsi nei sistemi delle catene d’approvvigionamento. Sotto attenzione quindi in primis le modalità per introdursi nella rete tramite le apparecchiature di magazzino o tramite dispositivi Internet of Things (IoT).
Le oscillazioni di prezzo sulle materie prime e le difficoltà nella gestione degli ordini potrebbero inoltre avere un effetto amplificato durante tutto l’anno e quindi richiamare quello che gli esperti definiscono bullwhip effect (2), inquadrando in questo modo proprio l’incremento della variabilità della domanda alla base della supply chain. Abbiamo già accennato inoltre al tema della data integration (3) come azione prioritaria per costruire supply chain intelligenti. Per tre aziende su quattro è l’aspetto principale per costruire una mentalità data driven per tutta la supply chain.

Arriviamo agli ultimi quattro trend individuati dalla ricerca. Il primo dei quali riguarda nello specifico lo scenario aziendale: a fronte di supply chain innovative ma più complesse diventa sempre più labile anche il confine tra colletti blu e bianchi (4). Le operazioni di produzione e le supply chain necessitano di competenze sia fisiche sia tecnologiche e la trasformazione digitale necessita di lavoratori preparati e competenti. Si va facendo sempre più evidente inoltre il passaggio dall’idea di prodotto a quella di servizio (5). Anche nell’ambito delle supply chain le tecnologie digitali permetteranno la valorizzazione della componente del servizio offrendo un prodotto a maggior valore per tutta la filiera. Attuare questo cambiamento significa modificare i processi organizzativi interni aziendali. Fondamentale abbracciare la DT. Mentre dal punto di vista strategico le tensioni geopolitiche stanno contribuendo a smascherare alcune illusioni relative ad un certo modello di globalizzazione, oggi le nazioni sono più scettiche sulla cooperazione internazionale e la neutralità dei commerci per cui si ricorre a politiche volte all’autosufficienza nazionale nella fornitura di materiali e nella produzione. Ecco allora che il trend cosiddetto del friend-shoring (6) si riferisce alla costruzione di legami commerciali con Paesi che la pensano allo stesso modo e geograficamente vicini.
Ed infine, scala posizioni nelle agende di Ceo e Cio il tema Esg (7). Secondo il report Pwc, ben due aziende su tre ritengono i regolamenti e i cambiamenti normativi nei diversi Paesi la sfida Esg più importante per le supply chain nei prossimi anni. In vista anche del rischio connesso ai fornitori (inquinamento ambientale, corruzione, ecc.) e alla creazione di report Esg affidabili (temi presenti rispettivamente in quasi sei casi su dieci e in più della metà del campione).

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