Non c’è oggi alcuna organizzazione che non valuti di fare riferimento alle tecnologie digitali per migliorare la propria attività. Che sia semplicemente per migliorare i processi, o per ottenere un vantaggio competitivo (magari che sia anche sostenibile), fare meglio con meno sembra si confermi anno dopo un anno tra i “mantra” di maggior successo. Non si tratta di una sfida nuova, infatti. Ma è sempre più pressante, e si riflette in profonde implicazioni su come le aziende si muovono in un mondo in cui digitale e AI stanno riformulando come si lavora.

L’analisi di McKinsey che riproponiamo, Rewired to Outcompete, mostra che, sebbene il 90% delle aziende coinvolte nello studio abbia avviato qualche forma di trasformazione digitale, ha anche ottenuto appena un terzo dei benefici attesi. La DT resta sfida anche per le aziende in grado di affrontarla in modo corretto, quindi. Un dato sugli altri: nel settore bancario, dove trasformazioni digitali e di intelligenza artificiale, sono in corso da oltre un decennio, i dati comunque confortano e dimostrano che le banche “digitali” fanno meglio, sul mercato, rispetto alle loro concorrenti ritardatarie.

A partire da un unico set di dati Finalta di McKinsey, sono state considerate per questo specifico rilievo 20 realtà leader digitali in comparazione con altre 20 indietro nell’innovazione digitale nell’ambito del retail banking, tra il 2018 e il 2022. I leader digitali migliorano le proprie performance in misura maggiore rispetto ai ritardatari digitali e l’eccellenza digitale si traduce in una migliore performance finanziaria, anche attraverso una maggiore integrazione della tecnologia in tutti i processi aziendali fondamentali. Questo ha portato a un incremento delle vendite digitali, a costi inferiori, anche attraverso una più stretta correlazione tra le attività aziendali, la tecnologia e le operation.

McKinsey - Le performance delle banche digitali nei confronti con i ritardatari
McKinsey – Le performance delle banche retail ‘leader’ nei confronti con quelle ‘ritardatarie’

Da qui la sintesi dell’analisi, le lezioni ed i consigli, originate dalla ricerca Rewired, The McKinsey Guide to Outcompeting in the Age of Digital and AI, e confluite nell’analisi a partire da un assunto: le C-Suite devono essere pronte a mettersi in gioco sia a livello organizzativo, sia per la capacità di abbracciare il cambiamento.

Le qualità delle aziende digitali 

McKinsey inquadra in particolare sei qualità aziendali fondamentali volte ad integrare gli abilitatori digitali come l’AI generativa ed a sfruttarli a proprio vantaggio, e propone quindi sei ‘lezioni’ apprese nell’analisi di oltre 200 realtà enterprise operative in diversi settori. Non ci sono soluzioni rapide, pronte all’uso. Non basta implementare un sistema o una tecnologia, punto. Il talento nella trasformazione digitale è dato invece dalla capacità di integrare diverse soluzioni, farle lavorare insieme, e generare buone esperienze per clienti e dipendenti, ridurre i costi unitari e generare valore. Gestire questa evoluzione richiede di ripensare il modus operandi aziendale e di sviluppare una base di competenze in tutte e sei le capacità, strettamente interconnesse.

C-suite allineate

Andiamo con ordine. Il primo passo richiede di allineare la C-suite alla roadmap di business (1). Molti dei problemi che ostacolano il successo di un programma sono riconducibili a una pianificazione e a un allineamento insufficienti. Le incomprensioni tra i dirigenti portano a un’esecuzione confusa della trasformazione aziendale. Le trasformazioni digitali e legate all’AI interessano diverse unità aziendali e investire il tempo necessario per contribuire al successo della trasformazione dà notevoli frutti in termini di chiarezza e di azione unificata. Tre le strategie iniziali quindi: ispirare e allineare il top team, studiare il format corretto di trasformazione, per il dominio aziendale specifico e sottoscrivere un accordo (Kpi) con la C-suite.

Coltivare internamente le competenze

Allineato il board, serve lavorare su competenze e talenti (2). Anche su quelli interni perché non è possibile “esternalizzare” completamente i propri percorsi di trasformazione digitale. Rappresenta un’importante ricchezza disporre di un proprio gruppo di talenti digitali che comprende anche progettisti di esperienze, ingegneri cloud, sviluppatori software. Dedicarsi a coltivare le competenze e costruire un team tale da costituire un vero e proprio pool digitale sono passaggi importanti. 

Scegliere un modello operativo

Siamo al terzo passaggio chiave. Quello relativo alla scelta di un modello operativo (3). Un conto è allineare un paio di team interfuzionali, un altro fare in modo che decine/centinaia di squadre lavorino insieme. Lo sviluppo del giusto modello operativo per avvicinare business, tecnologia e operazioni è forse l’aspetto più complesso di una trasformazione digitale e dell’IA, perché tocca il cuore dell’organizzazione e il modo in cui le persone lavorano. McKinsey evidenzia tre modelli: la fabbrica digitale, l’idea prodotto e piattaforma e l’impresa agile. Ogni modello poggia su due idee fondamentali. La prima è che i team agili piccoli e multidisciplinari sono più efficienti per sviluppare software, la seconda idea è che i team lavorano insieme in modo più efficace quando alcuni si concentrano sul miglioramento diretto dell’esperienza del cliente o dell’utente, mentre altri si concentrano sulla creazione di servizi riutilizzabili per accelerare il lavoro delle altre squadre. Si tratta quindi di “professionalizzare” la gestione dei prodotti.

McKinsey - Le sei lezioni di
Le sei “lezioni “per l’azienda digitale (fonte: Rewired to Outcompete, McKinsey, 2023)

Velocità e innovazione ‘distribuite’

Velocità ed innovazione pronta per essere distribuita sono la quarta lezione da apprendere. Significa facilitare lo sviluppo e il rilascio costante di innovazioni digitali da parte di centinaia, se non migliaia, di pod (i piccoli team cui facevamo riferimento, 4). Per questo devono disporre di un ambiente tecnologico distribuito così da accedere agli strumenti di sviluppo software, ai dati e alle applicazioni di cui ogni team ha bisogno. La distribuzione automatizzata del software, una disponibilità di piattaforma e l’utilizzo di Application programming interfaces (Api) saranno i tre mantra “essenziali”.

Integrare i dati, scalare i progetti

Gli ultimi due passaggi riguardano la capacità di integrare i dati (5) e incoraggiare adozione e scalabilità dei progetti (6) sviluppati. La quinta lezione da apprendere riguarda quindi il superamento della “frustrazione dei dati”. Ovvero quella sensazione di inefficienza che tutte le aziende incontrano quando comprendono che il 70% del tempo impiego nello sviluppo di soluzioni basate sull’AI è speso per gestire l’armonizzazione dei dati per facilitarne il consumo e il riutilizzo, superabile – la frustrazione – se si riesce a fornire a ogni team digitale un accesso (quasi) in tempo reale ai dati lavorando su “blocchi di costruzione” riutilizzabili, i data products, su un’architettura dati coerente e un modello federale di governance dei dati. La bontà dei progetti è correlata certo all’effettiva adozione delle soluzioni nel quotidiano da parte di clienti ed utenti aziendali, ma questo è misurabile solo se prima si è compiuto lo sforzo di investire non solo sullo sviluppo, ma anche sulla comunicazione dei progressi compiuti dalla soluzione, sui vantaggi legati alla sua adozione.

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