Gli algoritmi di intelligenza artificiale generativa (GenAI) come ChatGpt, Dall-e e Google Gemini sono al centro dell’attenzione nelle strategie di marketing e advertising delle aziende. Oltre a consentire l’automatizzazione dei compiti ripetitivi e aumentare l’efficienza operativa, oggi la GenAI entra con prepotenza in ambiti tradizionalmente considerati esclusivi dell’ingegno umano come la creazione di contenuti social e la produzione di video pubblicitari. Se fino a poco tempo fa l’adozione dell’AI nel marketing era guidata dall’idea di aumentare il tempo a disposizione dei marketer per le attività creative, lo scenario sembra destinato a ribaltarsi completamente. La GenAI non è più, infatti, un semplice supporto ma è già attore protagonista delle campagne di comunicazione.
Ad esempio, Coca-Cola ha incentrato parte della sua campagna natalizia sul lancio della piattaforma di GenAI proprietaria Create Real Magic, realizzando anche uno spot natalizio generato interamente “in modo artificiale”. Allo stesso modo, molte altre aziende stanno adottando la GenAI nei loro processi creativi: dalle modelle virtuali di Mango utilizzate per promuovere la linea Sunset Dream, alla campagna AI Ketchup di Heinz e ai cartelloni pubblicitari de IlMeteo nei corridoi della metro di Milano.
Non stupisce, quindi, che un report di McKinsey sottolinei come la GenAI possa contribuire fino a 4,4 mila miliardi di dollari alla crescita della produttività globale annuale. La stessa analisi, inoltre, stima che il marketing e le vendite rappresentano uno dei quattro ambiti funzionali d’impresa che, complessivamente, potrebbero beneficiare del 75% dell’apporto economico della GenAI.
GenAI nel marketing, le criticità
Tuttavia, nonostante l’evidente impatto economico di queste innovazioni, l’uso della GenAI nelle strategie di marketing e comunicazione solleva alcune questioni critiche, soprattutto lato consumatore. Se da un lato la GenAI permette di produrre testi, immagini e video in modo rapido e relativamente più economico rispetto ai team umani, dall’altro potrebbe mancare di quel tocco di sensibilità e creatività che rende davvero coinvolgente una campagna pubblicitaria. Inoltre, resta da capire come i consumatori reagiranno a contenuti generati artificialmente: la GenAI sarà in grado di conquistare la loro fiducia o rischierà di suscitare diffidenza?
Inoltre, l’utilizzo della GenAI porta con sé anche un complesso di considerazioni etiche, tra le quali il rischio di una comunicazione poco trasparente o persino ingannevole. Queste considerazioni diventano particolarmente pressanti quando si considerano i consumatori appartenenti alla Gen Z che, essendo nati già immersi in un contesto digitale, potrebbero essere particolarmente esposti alle ripercussioni negative dei contenuti generati tramite GenAI. Ciò potrebbe diventare un serio problema sociale considerando che la difficoltà nel distinguere tra reale e artificiale può alimentare la disinformazione e diffondere modelli irraggiungibili, influenzando la percezione della realtà e il benessere mentale. Inoltre, la pubblicità basata sulla GenAI rischia di essere poco riconoscibile, condizionando i giovani senza che ne siano pienamente consapevoli.
GenAI e social, un’indagine
A tal riguardo Criet, Centro di Ricerca Interuniversitario in Economia del Territorio, ha recentemente svolto un’indagine preliminare proprio sulla GenZ volta a comprendere come l’utilizzo della GenAI nella creazione di contenuti social influenza le percezioni dei giovani consumatori. Lo studio sperimentale ha coinvolto 167 studenti di economia dell’Università di Milano-Bicocca, ai quali è stato chiesto di visionare un post social del brand Dove e di valutarne l’impatto su diversi indicatori relativi al brand. È interessante notare che il 91% dei partecipanti abbia dichiarato di aver interagito almeno una volta con applicazioni, software, siti Web o device dotati di intelligenza artificiale. Di questi, il 75% ha dichiarato di utilizzare l’AI almeno una volta al mese. Per quanto riguarda l’uso specifico, gli algoritmi di GenAI sono risultati essere i più utilizzati: il 94% afferma di utilizzare ChatGpt, Google Gemini e simili. Per quanto riguarda gli assistenti vocali come Alexa, il 47% dei rispondenti dichiara di usarli, mentre solo il 24% ha dichiarato di aver interagito con motori di ricerca dotati di AI come Perplexity e solo 16% ha utilizzato chatbot commerciali per ottenere informazioni su acquisti o servizi.

Ciò che non è stato rivelato agli studenti – e che costituiva il fulcro dell’indagine – è che a circa metà di loro è stato assegnato casualmente un post generato con ChatGpt 4.0, mentre agli altri è stata mostrata la versione originale pubblicata da Dove su Instagram. In questo modo, i ricercatori Criet sono stati in grado di valutare se e come l’implementazione della GenAI nella scrittura di contenuti social impattasse la valutazione del contenuto stesso da parte degli studenti.
Sorprendentemente, l’analisi statistica ha evidenziato l’assenza di differenze significative tra i due gruppi. Se da un lato questo risultato inatteso non ha consentito di continuare l’indagine sull’impatto della GenAI sulle percezioni del brand, dall’altro ha aperto nuove prospettive di ricerca e sollevato un importante campanello d’allarme sui rischi dell’uso della GenAI nella comunicazione social. Se oggi la GenZ non è in grado di distinguere i testi generati dalla GenAI da quelli scritti dagli esseri umani, negli anni a venire saranno in grado di capire se si stanno interfacciando con un agente umano o digitale? In definitiva, i consumatori di domani avranno la capacità di discernere chiaramente il vero dal falso, l’umano dall’artificiale?
Di fronte a queste incertezze, è fondamentale riflettere sull’eventuale obbligo di disclosure dell’uso della GenAI per la creazione di contenuti. YouTube ed altre piattaforme consentono di dichiararne l’uso su base volontaria. Tuttavia, non esistono leggi che regolamentino quando e se sia necessario dichiarare il coinvolgimento della GenAI. Esplicitarne l’utilizzo potrebbe rappresentare una soluzione per mitigare il rischio di confondere i consumatori e favorire una relazione più trasparente con gli stessi. L’adozione di etichette o disclaimer potrebbe contribuire a costruire un rapporto di fiducia tra brand e pubblico, consentendo ai consumatori di sviluppare una maggiore consapevolezza e un approccio critico nei confronti dei contenuti di cui fruiscono quotidianamente sulle piattaforme social. In un contesto in cui la GenAI continuerà a evolversi e ad assumere un ruolo sempre più centrale nel marketing, la trasparenza potrebbe rivelarsi la chiave per garantire un equilibrio tra innovazione e responsabilità sociale.
* Emanuele Ghianda, PhD Student presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca e research consultant @Criet
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