La Maison de la Mutualité, a Parigi, ospita una delle prime tappe di Vmware Explore On Tour in Europa dopo l’evento estivo che ha avviato il roadshow a Las Vegas nel cuore dell’estate. Sono oltre mille i partecipanti, tra clienti, partner, sviluppatori ed esperti che accolgono l’occasione di confronto con Broadcom, sulle tecnologie Vmware, trasformando la prestigiosa location Art Déco – sede storica delle società mutualistiche francesi e teatro di importanti congressi politici – in un laboratorio di innovazione cloud e AI. “Abbiamo scelto Parigi e questa sede proprio per la sua valenza culturale e per il significato di comunità che rappresenta – spiega Joe Baguley, Cto Emea di Broadcom, che dà così il tono all’apertura dei lavori che di fatto proseguono il confronto di Las Vegas nella specificità del contesto europeo senza però riservare annunci di novità tecnologiche. Baguley descrive l’evento come “una celebrazione dell’innovazione, della collaborazione e del momentum che Broadcom con Vmware condivide con le aziende mentre abbracciano la trasformazione digitale”. Torna il tema del confronto con chi sta già usando la piattaforma Vmware Cloud Foundation per accelerare i percorsi di modernizzazione digitale. “Siete voi, le persone sedute in platea, a ridefinire ciò che è possibile per i vostri business e le vostre industrie – chiosa Baguley rimarcando l’importanza di esplorare come la Vmware Cloud Foundation 9.0 può accompagnare le aziende nel loro percorso di fatto.

Vmware Explore On Tour Parigi - Joe Baguley, Cto Emea, Broadcom_PICCOLA
Joe Baguley, Cto Emea, Broadcom

A questo scopo, Broadcom ha condotto un’indagine su oltre 1.800 professionisti IT a livello globale – più di 200 solo in Francia – per capire come le imprese stiano costruendo la propria strategia cloud. I risultati, ha spiegato Baguley, parlano chiaro: “Abbiamo sperimentato il public cloud, ma sappiamo che il nostro futuro è nel private cloud”, in un contesto ibrido. La necessità di mantenere il controllo sui dati, sulla sicurezza e sulla compliance normativa spinge oggi il 92% delle organizzazioni a scegliere modelli privati, mentre “sette su dieci hanno già adottato, o stanno pianificando di adottare, un modello ibrido”. Questa convinzione si traduce nel rilancio di Vmware Cloud Foundation 9, che Baguley definisce “una vera piattaforma software-defined per il private cloud, in grado di far convergere compute, networking e storage in un unico ecosistema integrato”. Dopo anni di sviluppo, ha spiegato, Vmware è riuscita a “rompere i silos per consentire ai clienti di fare lo stesso nelle proprie organizzazioni”. Il risultato è un ambiente operativo capace di offrire “gestione, automazione e compliance con la semplicità che il cloud pubblico prometteva, ma con maggiore controllo, sicurezza e costi inferiori”. Che è il vero messaggio.

Vmware Cloud Foundation 9, il senso degli sviluppi

Riprende il filo dello sviluppo tecnologico così Krish Prasad, senior VP e GM di VMware Cloud Foundation Division di Broadcom, delineando l’evoluzione che accompagna la Vmware Cloud Foundation (Vcf 9): “L’obiettivo iniziale di Vmware, vent’anni fa, è stata la virtualizzazione dei server, mentre oggi la trasformazione riguarda l’intero data center, con il passaggio a modelli operativi di private cloud”.

Vmware Explore On Tour Parigi - Krish Prasad
Krish Prasad, senior VP e Gm di VMware Cloud Foundation Division di Broadcom

La piattaforma concretizza “la convergenza di calcolo, rete e storage in un’infrastruttura software-defined completa, progettata per gestire in modo uniforme applicazioni tradizionali, cloud-native e carichi di lavoro di intelligenza artificiale”. Prasad spiega che la struttura modulare consente di automatizzare la gestione e l’orchestrazione dei componenti, mantenendo elevati livelli di sicurezza, resilienza e conformità. E la piattaforma, disponibile sia come software on-premise sia in modalità as-a-service, integra nativamente Kubernetes per la gestione di container e macchine virtuali su un unico ambiente. Tra le caratteristiche tecniche di rilievo, che riprendiamo velocemente, figurano l’engine di calcolo Esx, i servizi gestiti Postgres e MySql, il supporto a GitOps e Istio e la partnership con Canonical per l’integrazione del sistema operativo Ubuntu e con Nvidia, elementi che abilitano un’infrastruttura cloud privata ottimizzata per scenari enterprise e workload di AI.

Vmware Cloud Foundation 9
Vmware Cloud Foundation 9

L’esperienza del gruppo Aeroporti di Parigi

Ospitata da Nicolas Oueriemi, Cto France e Head of Solutions Architects di Broadcom, spazio quindi all’esperienza sul campo con Vmware Cloud Foundation del gruppo Aeroporti di Parigi (Adp) raccontata da Nicolas Apchié, head of Infrastructures & IT-operations di Adp che ripercorre il percorso di modernizzazione intrapreso dal gruppo. Adp gestisce dieci scali internazionali tra cui Charles de Gaulle e Orly – con il supporto di Vmware e Broadcom. “Abbiamo iniziato a utilizzare Vmware nel 2012, realizzando un progetto globale di aggiornamento delle infrastrutture, dai server alle reti, fino ai carichi di lavoro”. 

Nicolas Apchié
Nicolas Apchié, head of Infrastructures & IT-operations di Adp

L’adozione di una piattaforma completamente automatizzata ha consentito di “completare la migrazione di oltre 150 terabyte di workload in soli sei mesi”, introducendo un modello self-service che ha ridotto i costi operativi e aumentato l’efficienza. Con la scelta del private cloud dettata anche da esigenze di sovranità e sicurezza dei dati: “Era fondamentale mantenere il controllo totale sull’infrastruttura, garantendo diversi livelli di protezione e conformità”, aggiunge Apchié, sottolineando come la nuova architettura unificata di Vcf 9 consenta oggi di gestire identità, patching e rete in modo coordinato e integrato.
ll racconto di Apchié apre, infine, la strada all’intervento di Chris Wolf, Global Head of AI and Advanced Services di Broadcom, che illustra come l’intelligenza artificiale si integri oggi nativamente nella piattaforma Vmware Cloud Foundation. Wolf introduce il concetto di “architecting for the expectation of change”, evidenziando la necessità di infrastrutture progettate per adattarsi a modelli e workload in continua evoluzione. Durante la dimostrazione sul palco, Wolf ripropone allora esempi di utilizzo di Vcf Intelligent Assist, come assistente AI integrato che sfrutta oltre 80mila fonti dati per risolvere in tempo reale problemi operativi e di supporto. L’architettura abilita funzioni di explainability, gestione Gpu con vMotion per workload AI e piena compatibilità con gli ecosistemi aperti di Nvidia e Amd, garantendo flessibilità, sovranità dei dati e sicurezza dei modelli AI in ambienti privati o isolati.

Vmware Explore On Tour Parigi - Chris Wolf
Chris Wolf, Global Head of AI and Advanced Services di Broadcom

Cloud sovrano e Private AI

Il contesto di confronto europeo chiama necessariamente in agenda due dei temi chiave più in discussione quando si parla di transizione digitale e di controllo pieno sugli abilitatori.

Vmware Explore On Tour Parigi - Martin Hosken
Martin Hosken, chief technologist cloud di Broadcom

Il tema della sovranità digitale è l’oggetto del confronto con Martin Hosken, chief technologist Cloud di Broadcom, insieme a Olivier Breton, head of Technology Partners di Ovhcloud, che prima di tutto mette bene in luce la complessità del concetto di sovereign cloud. Hosken ricorda che la sovranità riguarda la capacità di mantenere “piena giurisdizione legale sui dati, al riparo da controlli o accessi di governi esteri”, distinguendola dalla semplice data residency. Breton porta l’esempio di come OvhCloud interpreti questa visione in chiave europea, basandosi su tre pilastri: sovranità dei dati, controllo tecnologico – con infrastrutture e software open source – e autonomia operativa. “Essere sovereign by design significa quindi garantire che i workload restino sotto il controllo diretto dell’organizzazione”, dettaglia Breton, citando esempi concreti come i progetti con la pubblica amministrazione francese, l’Agenzia Spaziale Europea e France Travail, che utilizza modelli AI open source Mistral ospitati su infrastrutture OvhCloud.

Anche più interessante, il racconto dell’esperienza di Cédric Rochet, Head of IT dell’Università del Lussemburgo nel dialogo con Chris Wolf che esplora in profondità non solo l’esperienza concreta dell’ateneo, ma anche la traiettoria evolutiva della Private AI in Europa. Rochet racconta come l’università – 6.000 studenti, 90 dipartimenti e oltre 10mila utenti complessivi– abbia avviato una strategia IT al 2030 fondata su due assi: “talk to knowledge”, per semplificare la ricerca di informazioni e l’interazione con i processi amministrativi, e “talk to tools”, per offrire strumenti intelligenti ai dipendenti e ai ricercatori.

La prima fase del percorso si è svolta in cloud pubblico, “per imparare velocemente”, ma la crescita delle esigenze di sicurezza, compliance e sovranità dei dati ha reso necessario costruire un’infrastruttura AI privata on-premise. “In ambito accademico, la sovranità è fondamentale – insiste Rochet –. I ricercatori vogliono mantenere il controllo sui propri dati, sui server che acquistano, e garantire la piena autonomia dei progetti”. La sfida è stata conciliare questa esigenza con le politiche di cybersecurity imposte dall’università, creando un equilibrio tra controllo, agilità e ricerca.

Cedric Rochet
Cédric Rochet, head of IT dell’Università del Lussemburgo

La soluzione è passata dalla realizzazione di una piattaforma privata di AI-as-a-Service, con portale self-service per l’accesso a modelli e risorse computazionali, che ha permesso ai team di lavorare in modo autonomo e conforme alle regole Gdpr. In questo contesto è nato UniGpt, il chatbot interno sviluppato su Vmware Private AI, pensato per sostituire l’uso di strumenti pubblici come ChatGpt e offrire un assistente conversazionale integrato nei sistemi dell’ateneo. Il caso dell’università rappresenta un modello emblematico per molte organizzazioni europee che vogliono unire innovazione e sovranità. Spiega Wolf: “Molti clienti scoprono che con la Private AI non solo soddisfano i requisiti di sicurezza, ma possono anche muoversi più rapidamente, riducendo costi e tempi di sviluppo”. E spiega che le soluzioni Broadcom consentono di ottimizzare l’uso delle risorse Gpu e Cpu, abbattendo il Tco fino al 50% rispetto ai provider pubblici, grazie a un’infrastruttura automatizzata basata su distributed resource scheduling. Un tema centrale del confronto è anche il Model Context Protocol (Mcp), standard emergente per l’interoperabilità tra agenti AI. Wolf sottolinea allora i rischi legati a un’adozione non controllata di Mcp, come la proliferazione di “shadow AI” e la possibile perdita di controllo sui dati. “Abbiamo lavorato per rendere Mcp enterprise-grade, con registri sicuri, policy di identità e ruoli verificati dall’IT”, spiega, evidenziando come la governance sia un elemento determinante nel passaggio da sperimentazioni isolate a piattaforme produttive.
Per l’università, il successo del progetto non si misura solo in termini tecnologici, ma anche culturali: creare competenze dedicate, adottare un approccio iterativo e favorire una mentalità startup-like all’interno dell’IT. “Abbiamo imparato che la velocità è tutto: ciò che si impara oggi rischia di essere superato domani. Bisogna adattarsi e migliorare continuamente i modelli sulla base dei comportamenti degli utenti”, vuole spiegare Rochet.

La Private AI emerge così come strumento strategico per garantire innovazione, sicurezza e competitività. Rochet ricorda allora come anche il Lussemburgo, a livello nazionale, abbia lanciato una strategia sull’intelligenza artificiale in collaborazione con Mistral AI, con l’obiettivo di costruire una vera AI Nation: “Stiamo creando un ecosistema che integra high performance computing, AI factory e soluzioni on-prem per la ricerca. Non tutti i ricercatori avranno bisogno di Hpc, ma tutti potranno utilizzare il private AI come base sicura e sovrana per i propri progetti”. Riprende e chiude Wolf: “Nel 2025 vediamo un cambio di paradigma: le organizzazioni scelgono casi d’uso mirati, valutano ritorni misurabili e puntano su infrastrutture che permettano scalabilità e controllo. È questo – ha concluso – il segno che l’intelligenza artificiale sta diventando finalmente una tecnologia di business, non solo di tendenza”.

La visione del mercato nel confronto italiano

Parigi lascia lo spazio infine per il confronto con Mario Derba, managing director Italia e Area sales lead Iberia & Italia di Broadcom e Claudia Angelelli, manager Solution Engineering di Broadcom, vicini al contesto italiano, che affrontano i nodi più concreti della trasformazione in atto, evidenziando come l’equilibrio tra public e private cloud stia ormai ridefinendo le strategie infrastrutturali delle imprese. Derba ricorda che “il ritorno dell’on-premise non significa un passo indietro, ma la presa di consapevolezza che costi, sicurezza e compliance non viaggiano sempre insieme nel cloud pubblico”. Le aziende, ha spiegato, “stanno riscoprendo il valore del controllo, anche alla luce della nuova ondata di workload legati all’intelligenza artificiale, che impongono capacità di elaborazione dedicate e una gestione attenta della sovranità dei dati”.

Mario Derba
Mario Derba, managing director Italia e Area sales lead Iberia & Italia di Broadcom

Dalla ricerca Private Cloud Outlook 2025, condotta da Broadcom su 1.800 clienti a livello globale, emerge che nove su dieci stanno pianificando una strategia di ribilanciamento verso il private cloud.

Più della metà degli intervistati ha dichiarato di “sprecare risorse sul cloud pubblico”, in alcuni casi fino al 75% del budget, con difficoltà nel contenere la spesa e garantire i livelli di sicurezza attesi. “Molti clienti – sottolinea quindi Derba – si sono resi conto che l’agilità promessa dal cloud pubblico diventa inefficiente se non si dispone di una governance adeguata. E senza governo, costi e rischi esplodono”.

L’approccio di Broadcom punta a restituire alle aziende la capacità di governare i propri ambienti IT, grazie a una piattaforma unica e interoperabile – Vmware Cloud Foundation 9, appunto, capace di unire in modo armonizzato workload legacy e moderni, applicazioni tradizionali e containerizzati, ambienti on-premise e multicloud pubblici. “Non siamo ‘contro’ il cloud pubblico – dettaglia Derba –. Al contrario, Vcf indirizza perfettamente i workload Google, Aws e Azure. Il punto è dare ai clienti la possibilità di controllare ciò che portano nel cloud, indipendentemente da dove risieda”.

Claudia Angelelli
Claudia Angelelli, manager Solution Engineering di Broadcom

Claudia Angelelli spiega allora che la vera svolta sta nella convergenza tra tecnologia e modello operativo: “Il private cloud non è un luogo, ma un nuovo modo di lavorare”. La versione più recente di Vcf introduce una console unificata che riunisce gestione, orchestrazione e monitoraggio dei costi. Le dashboard integrate consentono una visibilità completa su performance e consumi, permettendo di attivare meccanismi di chargeback e forecasting dei costi per singola business unit. “Questo – osserva Angelelli, rappresenta un salto di qualità per le aziende che vogliono coniugare efficienza e controllo”.

Si sottolinea come la piattaforma favorisca la collaborazione tra IT e sviluppatori: grazie all’automazione e all’approccio secure by design, gli sviluppatori possono accedere a un catalogo approvato di servizi e componenti containerizzati, garantendo che ogni elemento sia verificato in termini di sicurezza e conformità. “L’obiettivo – aggiunge Angelelli – è fornire libertà e velocità senza rinunciare alla protezione: il rischio di vulnerabilità legate al codice resta alto, e la sicurezza deve essere intrinseca ai processi di sviluppo”.

Il paradigma zero trust diventa così una componente strutturale dell’architettura, supportata da funzionalità di distributed firewall, live patching e confidential computing. Broadcom ha investito in modo significativo su tutti gli asset architetturali, con il lavoro di oltre 5mila ingegneri e 8mila brevetti dedicati. “Questa convergenza – riprende Angelelliconsente alle aziende di gestire applicazioni ad alta intensità computazionale, come i modelli AI, monitorando in tempo reale l’utilizzo delle Gpu e bilanciando dinamicamente le risorse”. Derba riprende però anche il tema tanto discusso in questi ultimi anni della sostenibilità economica e della transizione contrattuale con Vmware di Broadcom. “Il modello subscription non è una penalizzazione – spiega – ma un modo per allineare valore e consumo. Oggi offriamo ai clienti contratti flessibili, fino a dieci anni, con la possibilità di termination for convenience, senza vincoli. Nessun altro vendor fa lo stesso”. I benchmark trimestrali mostrano risparmi medi tra il 40% e il 50% sul totale delle infrastrutture, risultati ottenibili solo a patto di affrontare la trasformazione organizzativa necessaria per rompere i silos interni: “È un percorso impegnativo, ma chi lo intraprende ottiene benefici reali in termini di agilità e Tco”.
In Italia oggi Broadcom collabora con un ecosistema di partner che va dai grandi operatori nazionali come Polo Strategico Nazionale e Telecom Italia fino ai provider europei come OvhCloud e Aruba Cloud. L’obiettivo è sostenere la crescita di un cloud sovrano in grado di rispondere alle esigenze di sicurezza e compliance locali. “Il modello vincente – conclude Derbasarà quello ibrido. Le aziende non stanno abbandonando il cloud pubblico, ma lo stanno riequilibrando. L’ibrido, costruito su basi solide di governance e sicurezza, rappresenta l’approccio che consentirà alle imprese europee di innovare in modo sostenibile e controllato”.

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