A circa un mese dal perfezionamento dell’acquisizione di Red Hat, Ibm mette a valore il portafoglio di competenze, soluzioni e servizi delle due aziende. L’obiettivo è di aiutare il mercato ad accelerare il processo di adozione del cloud ibrido.
Ibm quindi trasforma il proprio portafoglio ottimizzandolo per Red Hat OpenShift e questo permetterà alle imprese di sfruttare applicazioni che, sviluppate in codice una volta sola, potranno essere eseguite su qualsiasi cloud (pubblico o privato) ma soprattutto sul cloud di qualsiasi provider (Ibm Cloud ovviamente, ma anche Aws, Azure, Google Cloud, Alibaba).
Lo fa con l’annuncio di Ibm Cloud Paks, un set di soluzioni software pre-integrate e basate su Red Hat OpenShift, in grado di ridurre i tempi di sviluppo delle applicazioni critiche e le spese operative.
Paks al plurale perché con Cloud Plak for Data si agevolano gli insight e si offre un’architettura di virtualizzazione dei dati per l’AI; con Cloud Pak for Applications, appunto, si abbattono i tempi di sviluppo; con Cloud Pak for Integration si integrano app, dati, servizi cloud e Api e con Cloud Pak for Automation si automatizzano una serie di operazioni riducendo i processi decisionali. Infine con Cloud Pak for Multicloud Management si offre visibilità e governance necessarie alla riduzione delle spese operative di supporto.
Ibm guadagna che gran parte della propria offerta software – a partire da DB2, WebSphere, e Api Connect per Watson Studio e Cognos Analytics – sarà disponibile anche al di fuori dai datacenter e operativa anche su altri cloud.
Il disegno strategico
Dopo una prima fase, in cui l’obiettivo degli approcci al cloud è stato di abbattere i costi di server, storage e rete, ora con l’integrazione di OpenShift si offrono strumenti neutrali per riuscire a spostare nel cloud le applicazioni, anche quelle critiche e qui si innesta proprio l’offerta dei Cloud Pak.
L’azienda di Armonk si muove però su un doppio binario, pertanto la tattica prevede ovviamente anche di portare OpenShift su infrastruttura Ibm. Tre i passaggi chiave per estendere l’operatività di OpenShift sulle risorse infrastrutturali di BigBlue.
Il primo prevede l’apertura del servizio OpenShift sul cloud pubblico di Ibm, poi Red Hat OpenShift approda sui sistemi Ibm Z e LinuxOne (mentre è già disponibile sui Power Systems e sullo storage), infine i servizi, che saranno forniti dai consulenti certificati Red Hat e dai professionisti dei servizi applicativi cloud per quanto riguarda la migrazione dei carichi applicativi in ambienti cloud, e la gestione.
“In pratica con Red Hat, Ibm riesce ora a fornire gli strumenti che servono basati su open standard per portare anche le applicazioni più critiche in cloud, di qualsiasi tipo ma soprattutto anche di qualsiasi vendor” – spiega Arvind Krishna, senior vice president, Cloud e Cognitive Software di Ibm – cui si aggancia Jim Whitehurst, Svp Ibm e Ceo di Red Hat, “lo fa sbloccando le limitazioni con le tecnologie basate su Linux di Red Hat, container e kubernetes che costituiscono i mattoni fondamentali negli ambienti cloud ibridi”.
Un esempio delle potenzialità delle sinergie tra Ibm e l’acquisita Red Hat è l’accordo di alleanza strategica tra Ibm e AT&T siglata da Ibm nel secondo trimestre del 2019 che prevede che Big Blue fornisca l’infrastruttura di supporto per le applicazioni AT&T e di modernizzare le applicazioni software interne della divisione AT&T Business Solutions, rendendole compatibili per la migrazione su Ibm Cloud.
In questo caso la sinergia prevede che AT&T Business possa avere un maggiore accesso alle piattaforme Red Hat Enterprise Linux e OpenShift, che costituiscono la base dei servizi di portabilità dei carichi di lavoro e dell’interoperabilità tra le piattaforme cloud di produttori differenti, sia locali che remote.
© RIPRODUZIONE RISERVATA