“La strategia di VMware incentrata nei primi anni prevalentemente sul concetto di virtualizzazione oggi poggia su una vision decisamente più ampia e omnicomprensiva incentrata sulle applicazioni. Quelle che le aziende si trovano a dover creare molto più rapidamente rispetto al passato. Basta pensare che tra il 2018 e il 2023 se ne svilupperanno più che negli ultimi quaranta (fonte: Idc). Allo stesso tempo tutte le organizzazioni si trovano a dover gestire sia le applicazioni legacy/standard sia le nuove basate su container e Kubernetes, in un mondo in piena evoluzione sempre più ibrido e multicloud“, così Rodolfo Rotondo, Senior Business Solution Strategist di VMware, scatta una precisa istantanea sul momento attuale ed introduce il tema centrale del “cloud iperconvergente” e dei pilastri della Cloud Foundation di VMware. Fanno parte della Cloud Foundation sostanzialmente tutte le soluzioni VMware in grado di rendere reale il mantra “any app, any device, any cloud” (Digital Foundation) per creare, gestire, mettere in esecuzione e proteggere ogni applicazione e quindi usufruirne su ogni dispositivo e in qualsiasi cloud.
HCI e Cloud Foundation, come ridurre la complessità
L’approccio di VMware all’hybrid cloud si basa sul principio secondo il quale un’infrastruttura coerente, con operazioni coerenti, è essenziale per la perfetta esecuzione e gestione delle applicazioni tra gli ambienti. Le organizzazioni traggono vantaggio dalla possibilità di offrire capacità dinamica, di consolidare o migrare l’infrastruttura on-premise ma anche di sviluppare e testare le applicazioni su un unico modello per infrastruttura e operazioni.
In questo modo davvero possono poi scegliere l’ambiente o la destinazione migliore per le applicazioni. Inoltre un approccio unico, per private cloud e public cloud, è essenziale e si rivela funzionale allo scopo di assicurare un funzionamento semplice e coerente, la compatibilità su ambienti on-premise e off-premise e la predisposizione al deployment di VM e container e per qualsiasi requisito delle applicazioni di nuova generazione.
Si tratta ovviamente di un processo in fieri, in maturazione da diversi anni ed in continua evoluzione. VMware, anzi, proprio su questo messaggio e su questo obiettivo misura la propria consistenza, riconosciuta dal mercato, ed è consapevole che il processo di “semplificazione” in atto, nella gestione dei pilastri fondativi, sia un vero e proprio work in progress. Rotondo: “Container e Kubernetes rappresentano un tassello importante di questo processo evolutivo ma anche solo una parte dell’equazione. La vera sfida è rendere disponibile queste applicazioni (anche quando sfruttano FaaS e Paas), in un mondo sempre più eterogeneo”.
Oggi una grande azienda si affida ad almeno due cloud provider di peso ma appena si estende il concetto di cloud le connessioni da e verso altre nuvole sono molteplici e, pur indispensabili, contribuiscono ad incrementare la complessità. “La Digital Foundation, nella sua parte infrastrutturale che governa e permette di creare ed eseguire le applicazioni vede alla base l’iperconvergenza, e VMware vSAN, per intendersi. E’ la base per un approccio semplificato ai nuovi scenari ed aiuta ad abbattere i silos”.
Le soluzioni HCI di VMware offrono quindi a ogni cliente la possibilità di estendere a qualsiasi ambiente modelli di gestione e virtualizzazione comprovati, in modo da supportare qualsiasi applicazione. Con VMware Cloud Foundation a fornire un unico stack software completamente integrato che consente alle aziende di utilizzare al meglio le piattaforme in cui hanno già investito, gestire i rischi massimizzando i vantaggi trasformativi, rendere gli ambienti a prova di futuro per le applicazioni native per il cloud e l’hybrid cloud.
“Avere su un’unica applicazione la parte computazionale, lo storage e il networking – specifica Rotondo – permette una facile replica all’interno dei data center, riduce le problematiche relative alla certificazione dell’hardware (sono tantissimi gli hardware certificati VMware o addirittura con a bordo già VMware)”. In pratica scalabilità ed il ciclo di vita di hardware e software risultano semplificati e permettono di riservare competenze specifiche a task specifici per la gestione dell’infrastruttura. Da una parte si dispone di un’interfaccia familiare legata alla virtualizzazione VMware, a cui si aggiungono nuove capability e sostanzialmente risulta facilitata la gestione complessiva. Rotondo: “VMware ha fatto della “scelta”, della possibilità per il cliente di affidarsi di fatto a qualsiasi vendor e scegliere qualsiasi cloud un punto di leva nello sviluppo della proposition e si ritrova in ognuna delle soluzioni”.
I vantaggi di un approccio coerente al cloud
Se l’iperconvergenza rappresenta il primo passo del tutto allineato a come i cloud provider pubblici operano oggi, e porta anche notevoli vantaggi in termini di riduzione dei costi, allo stesso tempo contribuisce ad innalzare l’asticella delle aspettative con importanti soddisfazioni anche per quanto riguarda le performance. “Sì, a tutto tondo, questo modo diverso di concepire l’infrastruttura – standardizzato ed estremamente scalabile – è l’elemento precursore del modello operativo cloud ideale. E contraddistingue la nostra vision così come riconoscono anche gli analisti di Gartner che la premiano”.
Estendendo il concetto, la Cloud Foundation di VMware si pone in questo scenario come elemento costitutivo, come primo mattone che si adatta agli scenari on-premise, come al cloud di tutti gli hyperscaler (Aws, Azure, IBM, Oracle, Alibaba, etc.) come pure agli oltre 4.300 cloud provider a livello globale che utilizzano tecnologia VMware. A partire da una base solida non sarà un problema spostare i workload da on-premise al public cloud, ma anche tornare indietro.
Il cloud va comunque gestito e modellato sulle reali esigenze. 451 Research inquadra molto bene infatti come a fronte di una riduzione dei Capex, con il cloud pubblico sia necessario tenere sotto controllo gli Opex e quindi valutare bene dove eseguire i diversi carichi di lavoro. VMware con CloudHealth offre a questo proposito gli strumenti per comprendere realmente quanto sta effettivamente costando il data center e per abbracciare un Financial Operating Model virtuoso. “Oggi effettivamente l’IT può essere paragonato ad un broker di servizi – prosegue Rotondo – e questo comporta una gestione del finance diversa rispetto a prima”.
La Cloud Foundation di VMware è mattone costitutivo trasversale anche per quanto riguarda la “dislocazione” del data center, e quindi traguarda in alcuni elementi costitutivi anche i nuovi scenari edge/faredge/core. In tutti questi layer vive una parte di Cloud Foundation, anche federata, con una serie di benefici per quanto riguarda la resilienza operativa. In qualsiasi locazione si operi la parte configurativa resta operativa in modo coerente. “La piattaforma ubiqua, l’elemento di infrastruttura consistente, che consente di creare, mettere in esecuzione e gestire sia le applicazioni legay sia quelle cloud-native, può vivere quindi in ogni cloud”. Ed è in fondo questa pertanto anche la definizione migliore e più concretamente visionaria di VMware Cloud Foundation.
La consistenza infrastrutturale attraverso ogni modello di delivery dell’infrastruttura stessa comprende quindi la parte computazionale, di rete e di sicurezza quella di orchestrazione, gestione e lifecycle management e presenta evidenti vantaggi. Come evoluzione della parte di iperconvergenza, da cui nasce, offre il vantaggio di un’integrazione con le soluzioni hardware che consente la gestione del ciclo di vita end to end dall’hardware al software. I pilastri della Cloud Foundation in estrema sintesi sono quindi la parte di computing che integra la parte di Kubernetes, la parte di iperconvergenza (storage, rete e sicurezza), la parte di orchestrazione e automazione dei workload e la parte di gestione end-to-end dall’hardware al software.
VMware lavora su due livelli di consistenza, quello infrastrutturale per la creazione di un vero e proprio cloud ibrido (comprensivo dei tool di management operativo) ma è possibile un ulteriore livello di astrazione e quindi su oggetti diversi on-premise, cloud nativi etc. attraverso i cloud services che permettono consistenza operativa attraverso diversità infrastrutturali e questo va incontro alle esigenze di interoperabilità. Rotondo: “Con i Blueprint applicativi è possibile come è composta l’applicazione, in una sorta di modello Infrastructure as a Code e così riuscire a fare il provisioning delle diverse componenti attraverso infrastrutture diverse”.
Oggi la tecnologia è sostanzialmente matura, sta cambiando invece ancora l’approccio, la mentalità, e in questo senso si vive ancora una fase di maturazione. Così come è vero che, in altri casi, capita di incontrare realtà che tendono invece all'”improvvisazione”.
E’ un dato di fatto però che alla base di qualsiasi trasformazione digitale in atto cloud e software rappresentino il cardine. Tra i casi d’uso italiani che hanno sfruttato il modello iperconvergente a proprio vantaggio merita di essere citata Sky (per lo streaming), ma ci sono anche validi esempi anche di utilizzo della Cloud Foundation con implementazione di soluzioni di remote desktop (VDI). A livello Europeo, l’IT di Porsche Informatik, il centro di controllo software di Porsche Holding, ha utilizzato la Cloud Foundation federata a livello geografico per gestire tutti i nuovi sviluppi dei progetti e-car puntando su rapidità e modernizzazione del DC.
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