Fornire un quadro aggiornato su struttura e dinamica dell’interscambio di merci e servizi, sui flussi di investimenti diretti esteri e sulle attività realizzate dai principali attori sul territorio (operatiori, imprese import/export, multinazionali) è il primo scopo dell’Annuario Statistico Commercio Estero e Attività Internazionali delle Imprese, frutto della collaborazione fra Istat e Ice. Lo studio è disponibile online e offre statistiche e grafici per rielaborazioni personalizzate, oltre alle linee guida di lettura, con i relativi aspetti metodologici.

La presentazione di Gian Carlo Blangiardo, presidente Istat, dell’Annuario, giunto alla ventiduesima edizione, include anche i primi riferimenti orientativi sui dati dell’export e la congiuntura nazionale durante il picco della pandemia e la prima fase della ripresa; per esempio, fotografa la brusca contrazione tra marzo ed aprile 2020 rispetto al mese di febbraio (-45,8% per l’export e -32,3% per le importazioni), mentre già i dati di maggio segnalano un primo significativo miglioramento soprattutto per la voce relativa alle esportazioni (+35,8%), con l’import in ripresa del 5,6%.

Le imprese italiane e l’export

Per quanto riguarda invece il 2019, il commercio estero di beni a livello globale risulta in diminuzione del 3,0% rispetto al 2018, mentre all’interno del contesto internazionale l’Italia vede in aumento il valore in euro delle merci esportate (+2,3%) e una lieve flessione di quelle importate (-0,7%). Per un incremento dell’avanzo commerciale superiore di 13,7 miliardi di euro rispetto al 2018 ed un valore complessivo di 52,9 miliardi euro.

Esportazioni dell'Italia e quota dell'Italia su esportazioni mondiali (Fonte: Istat, 2020)
Esportazioni dell’Italia e quota di mercato in percentuale dell’Italia su esportazioni mondiali (Fonte: Istat, 2020)

Lo studio rivela che, al netto dei prodotti energetici, l’avanzo commerciale vale oltre 91 miliardi di euro. Cambia però la geografia delle esportazioni, in calo verso l’Africa Settentrionale, il Medio Oriente e l’Unione Europea ed in crescita verso l’America Settentrionale, l’Asia Orientale e l’Australia. Restano in ogni caso Germania e Francia i principali sbocchi di vendita per le merci italiane, seguite dagli Usa. 

In particolare poi, per quanto riguarda i raggruppamenti per industrie, nel 2019 si è ridotto l’interscambio di prodotti energetici (di circa tre punti percentuali) mentre crescono i saldi a vantaggio del Paese per quanto riguarda i beni di consumo non durevoli (+8,7 miliardi di euro rispetto al 2018), mentre tra i gruppi di prodotti manifatturieri, in cui l’Italia detiene le quote maggiori sulle esportazioni a livello mondiale, Istat segnala i materiali da costruzione in terracotta (23,90%), il cuoio conciato e lavorato (pelletteria), le pietre, i prodotti da forno (12,21%), gli articoli in pelle (escluso l’abbigliamento), tubi, condotti e profilati, cavi e accessori in acciaio ed infine serbatoi, radiatori e contenitori in metallo (9,66% sul totale delle esportazioni). Rispetto al 2018 più delle altre quote è cresciuta quella relativa all’esportazione del tabacco. 

Quote dell'Italia sulle esportazioni mondiali per tipologia di prodotto
Quote dell’Italia sulle esportazioni mondiali per tipologia di prodotto (Fonte: Istat, 2020)

Gli attori degli scambi così fotografati sono concentrati prevalentemente nelle regioni del centro-nord (88,8% delle esportazioni) con la Lombardia che matura una quota sulle esportazioni, da sola, del 26,7% seguita da Emilia Romagna (13,9%) e Veneto (13,5%). La distribuzione per valore di vendita conferma la presenza di una ampia e numerosa fascia di micro esportatori (oltre 78mila rispetto ai 135.760 complessivi). Solo poco più di 4.500 operatori contano un fatturato di esportato superiore ai 15 milioni di euro che vale però circa il 72% delle vendite complessive.

Istat registra il calo delle vendite all’estero, in valore, degli operatori con una classe di fatturato estero tra i 5 e i 50 milioni di euro (-0,2%), che si accentua però tra chi vende all’estero per un valore tra i 750mila e i 5 milioni di euro (-7,0%) e chi esporta per meno di 750mila euro (-6,9%), probabili segnali della sofferenza delle realtà esportatrici più piccole. Infatti nel 2019 è in aumento la concentrazione delle esportazioni realizzate dai primi mille operatori. Con gli operatori della classe di fatturato all’export più ampia (oltre 50 milioni di euro), che incrementano le vendite del 3,2%.

Contributo all'export dei principali operatori
Istat, il contributo all’export dei principali operatori (Fonte: Istat, 2020)

I mercati di sbocco

L’attività degli operatori per mercati di sbocco vede invece il 47,6% di essi esportare merci verso un unico mercato e solo il 17% operare in oltre dieci mercati, con una presenza comunque diffusa degli operatori nelle principali aree di scambio commerciale. Con questa distribuzione per settore: con oltre 38mila presenze all’estero, il settore dei macchinari e apparecchi Nca ( l’acronimo indica tutte quelle attività che non sono classificate in altre categorie) detiene il numero più elevato di operatori all’export nel 2019. Seguono gli articoli in gomma e materie plastiche, altri prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi con circa 28.500 presenze, i settori dei metalli di base e prodotti in metallo, esclusi macchine e impianti, con circa 28.300 presenze e i prodotti tessili, abbigliamento, pelli e accessori con circa 28.000.

Per quanto riguarda infine la struttura e le performance delle imprese che esportano, il contributo all’export, secondo i dati Istat, cresce sensibilmente all’aumentare della dimensione aziendale, espressa in termini di addetti. Le grandi imprese esportatrici (1.936 unità con almeno 250 addetti) hanno infatti realizzato il 48,8% delle esportazioni nazionali (il 47,9% nel 2017), le medie imprese (50-249 addetti) il 29,8% – come l’anno precedente – e le piccole imprese (meno di 50 addetti) il 21,4% (il 22,3% nel 2017).

Nel dettaglio può essere interessante riprendere il dato per cui nella manifattura sono circa 62mila le imprese esportatrici ed il 43,1% delle aziende esporta meno del 10% del fatturato mentre solo il 10,8% destina ai mercati esteri una quota pari o superiore ai tre quarti delle vendite.

L’incidenza delle imprese marginalmente esportatrici si riduce notevolmente all’incrementarsi della dimensione dell’impresa, rimanendo comunque rilevante per le medie (18,7% delle imprese tra 50 e 249 addetti) e grandi imprese (11,6% di quelle con 250 addetti e oltre). Sempre per quanto riguarda il manifatturiero, le imprese esportatrici presentano una propensione media all’export che si incrementa progressivamente al crescere della dimensione aziendale. Tuttavia la propensione risulta già elevata fra le micro-imprese (26,5%) e superiore al 40% fra le medie e le grandi.

Istat, la reazione delle aziende all’emergenza

Per quanto riguarda le strategie di reazione all’emergenza Istat, sulla scorta della dell’Indagine Situazione e Prospettive delle Imprese nell’Emergenza Sanitaria Covid-19, Istat segnala tra le aziende esportatrici più frequenti strategie attive di modifica dei canali di vendita o dei metodi di fornitura/consegna dei prodotti o servizi, degli ordini e accelerazione digitale e la prevalenza di adozione di strategie difensive come l’annullamento dei piani di investimento e processi di riorganizzazione delle attività.

Questo all’interno di un contesto economico duro che – per quanto riguarda le imprese con 3 o più addetti (oltre 1 milione), che spiegano il 23,2% del totale delle imprese per l’89,8% del valore aggiunto nazionale – vede il fatturato diminuito nel 71,5% delle imprese (rispetto al 2019); contratto di oltre il 50% (per una impresa su tre la riduzione è stata minore) nel 41,4% di esse, e azzerato nel 14,6% di esse. Solo il 5% di unità ha registrato un aumento dei ricavi (circa 50mila imprese, attive soprattutto nel commercio).
 

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