Il nome svela già gli intenti della ricerca: The Happiness Report, voluto da Oracle e Gretchen Rubin – autrice di libri e podcast sull’auto-realizzazione e la felicità – e realizzato da Savanta, si tratta di un sondaggio condotto worldwide (tra i Paesi c’è anche l’Italia, oltre a Francia, Germania e UK, per l’Europa) su oltre 12mila consumatori tra cui anche circa 3.100 business leader del comparto marketing/servizio ai clienti e vendite. Al campione sono state poste domande generali sull’impatto della pandemia sulla felicità e sull’apertura a vedere un’emozione come l’umorismo inserita nelle attività di pubblicità e marketing, nelle vendite e nel servizio clienti come parte dell’esperienza complessiva.
Interessanti i risultati: le persone sono alla ricerca di esperienze che le rendano felici. E fin qui non ci sarebbe tanto da sorprendersi; singolare invece che vengano premiati i brand che usano bene l’umorismo. In questi casi i clienti si fidelizzano di più al marchio, fino a promuoverlo attivamente e a reiterare gli acquisti, mentre, al contrario, si allontanano dai brand che non lo fanno.
Traduciamo le idee in percentuali, focalizzandoci sui dati che riguardano il nostro Paese. Oltre nove italiani su dieci (92%) cercano esperienze che li facciano sorridere, e una percentuale assimilabile preferirebbe che i brand fossero divertenti; mentre oltre sette su dieci sceglierebbe un brand che usa l’umorismo per fare comunicazione. Allo stesso tempo, ben il 91% dei manager italiani non sembra allineato a queste esigenze e si dichiara restio ad usare l’umorismo nelle interazioni con i clienti.
E questo anche per la mancata disponibilità di dati, informazioni, strumenti per usare l’umorismo con successo, tra i motivi principali. L’85% dei manager lamenta questa carenza, ma oltre la metà si sentirebbe più tranquillo a usare toni divertenti con i clienti se avesse più visibilità sulle caratteristiche dei clienti e avesse accesso a tecnologie evolute come l’intelligenza artificiale.
Si tratta di numeri e percentuali significativi, probabilmente da collegare in modo intelligente anche al contesto critico da cui siamo appena usciti. Infatti, il 49% degli italiani (il 45% a livello mondiale) dice di non provare una vera felicità da oltre due anni e oltre nove italiani su dieci hanno cercato gratificazione nel fare shopping online.
Una compensazione solo in parte efficace: il 47% ha dichiarato che ricevere a casa il proprio pacco lo ha reso felice, ma oltre un acquirente su dieci ha difficoltà a ricordarsi quali acquisti abbia fatto online ed il 32% degli italiani dichiara di non sapere o ricordare più cosa voglia dire sentirsi davvero felici. Un obiettivo che porterebbe i clienti a “ricambiare” in modo significativo gli sforzi dei brand.
Tutte intorno al 75/80% infatti le percentuali tra chi comprerebbe nuovamente i prodotti del brand, lo raccomanderebbe o spenderebbe di più. Comportamenti facilitati anche dal fatto che per 9 persone su 10 in Italia e nel mondo è più probabile ricordarsi di un contenuto pubblicitario umoristico, mentre al momento appena il 17% degli spot offline e il 13% delle pubblicità online prodotti dai brand usano di proposito toni divertenti.
Anche sui social, l’umorismo funzionerebbe, pare.
Il 77% degli intervistati seguirebbe un brand divertente sui canali social media (ma appena nel 10% dei casi i manager delle aziende italiane dichiarano che il loro brand usa lo humour sui social). Simile anche l’apertura della forbice (ed il contrasto con quanto si fa) se si parla di email marketing. Un oggetto divertente farebbe aprire il messaggio inviato in oltre sette casi su dieci ma solo il 20% delle aziende usa toni divertenti in questa attività, mentre addirittura il 63% del campione italiano apprezzerebbe l’umorismo perfino con i chatbot e gli assistenti digitali.
Un aspetto, questo, su cui ci sia consentito esprimere la nostra secca opinione personale: i chatbot in Italia, oggi, consentono di fare davvero molto poco, nulla di più di quanto non si riuscirebbe a fare da soli online, contribuendo non poco al nervosismo dei clienti. Le persone hanno bisogno di ottenere risposte in tempi molto brevi e non c’è customer care migliore di quella basata su una pronta risposta al telefono da parte di una persona di buona volontà in carne ed ossa, ma davvero pare sempre chiedere troppo alle aziende in questo senso.
“La customer experience continua a evolversi, ma alla fine tutto dipende da un’unica cosa: rendere felici i clienti – commenta Rob Tarkoff, executive VP e GM di Oracle Advertising and Customer Experience (CX) –. Nel perseguire la felicità per i clienti entrano in gioco molti fattori diversi e in questa ricerca abbiamo deciso di analizzare proprio l’umorismo, perché risulta uno dei più interessanti. Come dimostrano i risultati, la maggior parte dei manager aziendali vorrebbe farli sorridere o ridere di più, perché si rende conto che ciò è fondamentale per stabilire un vero rapporto. Per avere successo in questo, i brand devono mettere i dati al centro della propria strategia di customer experience“. Senza dubbio, ma alla base dovrebbe rimanere la capacità di soddisfare concretamente le richieste di assistenza in tempi rapidi, con un reale “contatto” con l’azienda. Un aspetto ancora troppo sottovalutato, ben più del bisogno di “umorismo”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA