Innovazione e MarTech, un legame indissolubile per portare valore e ridurre il paradosso della scelta che oggi si verifica ogni volta che si deve comprare qualcosa. Qual è e quale sarà il ruolo del marketing alla luce di questa evoluzione tecnologica? Ne parliamo con Giuseppe Stigliano, amministratore delegato di Spring Studios. Prima di ricoprire la sua attuale posizione, è stato amministratore delegato di Wunderman Thompson società nata dalla fusione di J. Walter Thompson con Wunderman, Executive director Europe in Akqa Group e, in precedenza, direttore dell’ufficio di Milano di H-Art, una delle prime digital company italiane nata all’interno di Akqa.
Qual è la tua visione del marketing nell’attuale contesto MarTech?
Il marketing è stato per tanto tempo considerato da molti “l’arte della manipolazione”, il cui l’obiettivo era fare in modo che la gente comprasse più prodotti possibili in modo da alimentare il sistema e accelerare l’obsolescenza. In realtà, oggi sappiamo benissimo che questo non è marketing, ma una sua degenerazione, un utilizzo improprio di determinati strumenti. E non è peraltro sostenibile.
Se assumiamo che l’innovazione sia creatività disciplinata al servizio delle persone, che la tecnologia debba portare valore e che il marketing non sia “making people want things”, cioè fare in modo che le persone vogliano le cose, bensì – grazie alla tecnologia e all’innovazione – “making things people want”, significa che siamo di fronte a un cambio di paradigma. Infatti, grazie alle marketing technologies è oggi possibile utilizzare i dati per inferire ciò che è rilevante per le persone, è possibile dare ai marketer le informazioni necessarie a comprendere i bisogni dei consumatori e a sviluppare prodotti di maggior successo.
Oggi la sfida non è tanto capire se la tecnologia debba entrare nel marketing, quanto piuttosto avere la digital maturity per capire in che modo le tecnologie emergenti debbano entrare nel nostro mondo, decidendo in maniera chiara quali sono le attività sulle quali l’essere umano fa e farà sempre la differenza e quelle che, invece, sono progressivamente da demandare a intelligenze artificiali o robot.
Componente umana, upskilling e reskilling, sono ancora importanti?
Le marketing technologies rappresentano una straordinaria opportunità, probabilmente paragonabile al salto che c’è stato dalla pellicola alla macchina fotografica digitale accelerato di dieci volte. La tecnologia non è neutrale, ha una sua tensione intrinseca, perché la tecnologia emergente è il risultato di sforzi precedenti profusi in una determinata direzione. Per esempio, abbiamo inventato lo smartphone perché avevamo bisogno/desiderio di essere sempre più raggiungibili e sempre più connessi, di uno strumento che ci semplificasse la vita; per ChatGpt è un discorso analogo: si tratta di un mezzo per un fine, attraverso il quale è possibile automatizzare e velocizzare alcuni passaggi chiave che ormai possiamo ritenere una commodity.
La sfida è comprendere in che modo l’essere umano può aggiungere una componente ulteriore, quali sono le sfumature che rimarranno appannaggio degli umani, qual è “il sale e il pepe” da aggiungere ad un testo che è preconfezionato da una tecnologia. Se pensiamo che il lavoro di ufficio stampa sia scrivere un comunicato stampa e pensiamo che questo task lo debba fare ancora un essere umano probabilmente stiamo sbagliando qualcosa perché è la parte forse più di commodity del lavoro di un professionista. Un discorso diverso è analizzare la rassegna stampa, elaborarla, fornirne un’analisi contestualizzata e arricchirla con la propria esperienza, analizzando e interpretando i fatti: questo è il lavoro che deve continuare a fare un giornalista, forte delle proprie conoscenze, esperienze e intuizioni.
Ci sono due riflessioni che vorrei riprendere da Luciano Floridi e che mi piacciono moltissimo: il primo è il concetto di pastorizia digitale e il secondo è l’idea che l’intelligenza artificiale non esiste.
Il concetto di pastorizia digitale prevede che, esattamente come i pastori governano le pecore e decidono dove pascolano, quando devono rientrare nella stalla, quando mangiano e quando si riproducono, così l’essere umano deve decidere e confinare l’intelligenza artificiale in determinati ambiti. Il secondo concetto vede l’intelligenza artificiale come un ossimoro, come un concetto contradditorio: o è intelligente, e allora è umano, o è artificiale e quindi non è umano. L’intelligenza artificiale non esiste perché la capacità di portare a termine bene un task non è intelligenza, l’intelligenza è quel qualcosa che si arricchisce di una dimensione emotiva, empatica, creativa. In questo caso l’acronimo “AI” di artificial intelligence è corretto, ma la “A” dovrebbe stare per authentic e non per artificial. Questo è l’unico tipo di intelligenza.
Il problema, quindi, come peraltro sostiene anche lo stesso Floridi, non è la trasformazione digitale, ma la governance della trasformazione digitale e il ruolo che attribuiamo agli esseri umani. Quello a cui stiamo assistendo nell’ultimo periodo, invece, è una polarizzazione, o esclusivamente verso la tecnologia o esclusivamente verso la componente umana. La soluzione ideale è quella di gestire l’ingresso delle tecnologie nel marketing come se fosse un vaccino. Vaccinare significa inoculare una dose di virus nell’organismo in modo che l’organismo attivi una risposta immunitaria e quindi sia più forte di fronte ad attacchi futuri; di fatto è uno modo per rendere l’organismo future proof. Se però la dose è eccessiva, il vaccino viene rigettato o può compromettere l’organismo. Se è troppo ridotta non produce i risultati sperati.
L’ingresso delle tecnologie nel marketing deve essere concepito in maniera analoga: se si mette troppa tecnologia e l’azienda non ha un’adeguata maturità digitale si rischia di creare delle complessità difficili da affrontare, mentre se si introduce una quantità non sufficiente di tecnologia si rischia di fare solo un make-up. A questi due poli, si aggiungono però tutte quelle sfumature che richiedono una grandissima maturità digitale, un’adeguata comprensione delle tecnologie e una profonda conoscenza delle competenze delle risorse umane e del mindset aziendale per capire qual è la giusta dose di vaccino da iniettare che non può essere uguale per tutte le aziende, ma cambia addirittura per la stessa azienda a seconda delle geografie. Chi guida le organizzazioni oggi deve agire come Chief Calibrator Officer.
La tecnologia deve essere “invisibile”. Cosa significa?
La trasformazione digitale ha portato ad un processo di democratizzazione importante tale per cui le tecnologie sono oggi sempre più accessibili, indipendentemente dalla dimensione aziendale. Questo non vuol dire che tutte le imprese debbano dotarsi delle marketing technologies ma la scelta deve dipendere dai volumi, dalle dimensioni, dalle ambizioni e dagli obiettivi aziendali.
Il mio mantra è che la tecnologia deve essere intesa come una barzelletta: se la devi spiegare vuol dire che non ha funzionato. La tecnologia deve essere “invisibile”, ossia deve entrare nelle routine di imprese e consumatori senza generare costi di apprendimento, senza creare forti squilibri. Questa è la chiave per la corretta implementazione e integrazione delle marketing technologies.
Chiudo con una citazione di Bill Gates: “La prima regola di qualsiasi tecnologia utilizzata per il business è che l’automazione applicata a un’operazione efficiente ne aumenterà l’efficienza. Ma allo stesso modo l’automazione applicata a un’operazione inefficiente ne amplificherà l’inefficienza”.
* Autrice: Alice Mazzucchelli, Criet Senior Research Consultant, Università degli Studi di Milano-Bicocca
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