Oramai è diversi trimestri che gli analisti “rimandano” a tempi migliori la ripresa del mercato pc. Ed i primi tre mesi di quest’anno non fanno eccezione. Anzi, il calo in questo settore si fa ancora più marcato e per la prima volta segna un sostanziale tracollo anche per Apple che negli altri periodi aveva continuato a difendersi. Lo documentano in particolare i numeri di Canalys ed Idc. Nel primo caso, per notebook e desktop, si parla di una contrazione di pezzi immessi sul mercato di circa un terzo (33%) rispetto al medesimo periodo dell’anno precedente, mentre nel secondo caso di spedizioni in contrazione per il 29%.
La domanda resta debole, ed i rivenditori faticano ad esaurire le scorte accumulatesi; in particolare sono i notebook a pagare di più (-34%), rispetto ai desktop (-28%), ma fa riflettere soprattutto la “ripresa” rimandata, ancora una volta, alla seconda metà di quest’anno – e solo tiepida -, con maggior vigore previsto l’anno prossimo. Si parla di 54 milioni di pezzi complessivi immessi sul mercato tra gennaio e marzo 2023, 41,8 milioni di notebook e poco più di 12 milioni di desktop. Sono i numeri di quello che si prevede sia il peggior trimestre di quest’anno.
Apple peggio di tutti
Per quanto riguarda i singoli vendor, è Apple il brand ad aprire nel modo più critico l’anno con una contrazione di oltre il 45% rispetto al primo trimestre 2022. Tra le peggiori performance di sempre. Mentre in questa tornata è HP a reagire meglio (-24,1%) ed è il secondo vendor, dietro Lenovo che pur ha perso circa il 30%. Dell Technologies è il terzo vendor di pc (-31,1%) e Asus il quinto (-29,3%), con gli altri vendor che pagano cara la contrazione e la relativa concentrazione sui brand più importanti lasciando sul mercato quasi il 39%, in termini di pezzi immessi sul canale.
Quasi quattro rivenditori su dieci affermano di avere un inventario pc che non riesce a rinnovarsi in meno di cinque settimane, per quasi due su dieci si arriva addirittura a nove settimane. Concretamente non ci sono ‘rivoluzioni’ tecnologiche in atto nel comparto, di nessun tipo, e le novità sui processori non sono sufficienti per convincere famiglie ed aziende a mettere mano al portafoglio, anche considerato il contesto economico e l’inflazione persistente. Le buone notizie sono rimandate quindi a fine anno.
Non diversa è l’analisi di Idc nel determinare le cause di performance di settore così negative, pur a fronte di numeri previsionali leggermente migliori.
Gli analisti in questo caso riferiscono di circa 56 milioni di pezzi (desktop, notebook, workstation) in spedizione al canale o direttamente ai clienti finali. Di Idc raccogliamo però la riflessione in relazione agli sforzi di cambiamento intrapresi dalle aziende che si sono impegnate a lavorare alle supply chain e a delocalizzare la produzione anche fuori dalla Cina. La ripresa, anche per Idc, è da spostare in ogni caso a fine anno anche per un previsto miglioramento dell’economia globale ed alla definitiva migrazione da parte delle aziende a Windows 11 (pur con Windows 12 oramai prossimo).
Secondo Idc sarebbe meno marcata la pessima performance di Apple (-40%), mentre per i primi tre vendor di fatto le prestazioni risultano allineate ai numeri di Canalys, tranne per quanto riguarda i vendor minori che lascerebbero sul mercato appena il 26% dei pezzi in meno rispetto al primo trimestre del 2022 (rispetto a quasi il 39% registrato da Canalys).
Apple, dopo due trimestri favorevoli per market share, nell’ultimo periodo ritorna vicino alle quote di mercato di Q2 2022 (ed oggi sono della Mela circa 7 computer su 100 venduti), ne beneficia HP che recupera due punti percentuali nel confronto omogeneo. Anche in questo caso l’analisi per market share tra Idc e Canalys è coerente, salvo le performance dei vendor minori che secondo Idc avrebbero addirittura riguadagnato un punto percentuale, mentre Canalys vede in calo.
Dalla crisi dei chip al mercato saturo
A rimarcare la scarsa prevedibilità del mercato (e delle supply chain), seppur in altro specifico comparto – quello dei semiconduttori – sono i risultati di Samsung che chiude il primo quarter dell’anno con quello che, per quanto riguarda i profitti operativi, è senza dubbio tra i peggiori trimestri, addirittura dal 2009.
L’azienda coreana ha annunciato il taglio della produzione dei chip (in particolare delle memorie Dram e Nand), quando fino appena a pochi mesi fa si parlava di chip shortage e vede i ricavi contrarsi per poco meno del 20%. Durante il periodo Covid, Samsung ha incrementato la produzione dei chip in modo sensibile, in relazione all’aumento della domanda, ora invece registra un eccessivo accumulo di scorte, mentre anche il ricambio degli smartphone non aiuta a mantenere il “consumo” di chip in linea rispetto alle attese. Ed il prezzo dei componenti è crollato.
A tagliare la produzione, beninteso, non è solo Samsung. Hanno già deciso questa via anche Micron Technology e SK Hynix. Samsung lo fa, secondo fonti autorevoli, di circa il 25%, mentre gli analisti Gartner avevano previsto per i semiconduttori un calo “single digit”.
Le tensioni geopolitiche fanno pensare a questo settore come a uno tra quelli a più scarsa predicibilità. Completamente sbilanciata da decenni verso l’estremo oriente, la produzione dei chip in occidente sembra oggi tra le priorità da affrontare, ma in una congiuntura di mercato non più favorevole mentre – soprattutto, in uno scenario fin troppo fluido e mutevole – non sono per nulla chiare nemmeno le intenzioni dei vendor (come Intel) che ancora in pieno chip shortage si sono sbilanciati nell’annuncio di investimenti anche in Europa. Proprio il vecchio continente in verità si trova stretto a tenaglia tra oriente (Cina soprattutto) e Usa impegnati a non perdere il controllo sulle tecnologie alla base della produzione dei macchinari che servono per fabbricare i chip. All’Europa mancano oggi ancora sia le tecnologie, sia la capacità di produzione dei chip. Carenza che a fronte di equilibri instabili come quelli attuali è a sua volta critica, tanto quanto quella energetica.
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