Sembra ogni volta di “scoprire” l’acqua calda. Ed anche l’ultimo atto in ordine di tempo della Commissione Europea riguardo la nomina dei gatekeeper (le piattaforme online di grandi dimensioni che esercitano una funzione di controllo dell’accesso) nell’ambito del Digital Markets Act suscita una serie di polemiche, a nostro avviso inutili. Facciamo un passo indietro. La Commissione ha proposto il regolamento sui mercati digitali insieme a quello sui servizi digitali, a fine 2020. Entrato in vigore nel novembre 2022, il Dma è diventato applicabile da maggio 2023.

Come recita la CE, alcune grandi piattaforme online fungono da “gatekeeper” dei mercati digitali, ovvero ne controllano l’accesso e “la normativa sui mercati digitali intende garantire che tali piattaforme mantengano un comportamento corretto. Insieme alla normativa sui servizi digitali, costituisce uno degli elementi centrali della strategia digitale europea”. La normativa Dma, come accennato, è applicata dall’inizio di maggio; le società che forniscono servizi di piattaforma essenziali hanno avuto due mesi di tempo per notificare e fornire alla Commissione tutte le informazioni pertinenti e la Commissione ha sfruttato poi tutti e 45 giorni lavorativi predefiniti per adottare una decisione relativa alla designazione dei gatekeeper.

La determinazione di chi sono i gatekeeper è basata su una serie di criteri oggettivi e precisi; sono prese in considerazione aziende che detengono una posizione economica forte, con impatto significativo sul mercato interno e operano in più Paesi dell’UE; devono inoltre occupare una forte posizione di intermediazione, collegare quindi un’ampia base di utenti a un gran numero di imprese (45 milioni di utenti finali attivi su base mensile stabiliti o situati nell’UE e ad almeno 10.000 utenti commerciali attivi su base annua stabiliti nell’UE)  e detenere una posizione solida e duratura sul mercato. Significa che l’azienda esaminata deve aver risposto ai due criteri di cui sopra in ciascuno degli ultimi tre esercizi finanziari.
Più nello specifico per posizione economica forte si intende un fatturato annuo nell’Unione pari o superiore a 7,5 miliardi di euro in ciascuno degli ultimi tre esercizi finanziari, o una capitalizzazione di mercato media o valore equo di mercato equivalente pari a 75 miliardi di euro nell’ultimo esercizio finanziario, e se essa fornisce lo stesso servizio di piattaforma di base in almeno tre Stati membri.

La Commissione proprio in questi giorni ha identificato come gatekeeper Alphabet (Google), Amazon, Apple, Bytedance (tra le attività di impresa gestisce Tik Tok), Meta (Facebook) e Microsoft per 22 piattaforme complessive. Le aziende ora devono organizzarsi entro sei mesi e “garantire la piena osservanza degli obblighi sanciti dal regolamento sui mercati digitali per ciascuno dei loro servizi di piattaforma di base designati”.
Le decisioni non sono certo improvvisate, ma figlie di un processo di riesame durato un mese e mezzo condotto dalla CE dopo la notifica da parte di queste aziende (ed in più Samsung) del loro status potenziale di gatekeeper. In particolare, la Commissione ha determinato lo status di gatekeeper in relazione ai servizi di piattaforma di base specifici che riprendiamo come forniti dalla Commissione qui sotto. 

Valutazione delle piattaforme all'interno del DMA
Valutazione delle piattaforme da parte della Commissione Europea nei termini del Digital Markets Act

La stessa CE ha già avviato le valutazioni sulle osservazioni di Microsoft ed Apple che vorrebbero non fossero ritenuti punti di accesso Bing, Edge e Microsoft Advertising (per Microsoft) e iMessage di Apple. Per farlo le serviranno cinque mesi. Frutto di relative valutazioni anche le decisioni relative a Gmail, Outlook.com e Samsung Internet Browser che raggiungono le soglie di cui al regolamento sui mercati digitali, ma per questi servizi le aziende hanno fornito argomentazioni motivate per dimostrare che essi non costituiscono punti di accesso per i rispettivi servizi di piattaforma di base.

I gatekeeper devono rendere i propri servizi interoperabili per i terzi in situazioni specifiche”, consentire “agli utenti commerciali di accedere ai dati che generano utilizzando la piattaforma”, fornire alle imprese che fanno pubblicità sulla piattaforma gli strumenti e le informazioni necessarie per consentire agli inserzionisti e agli editori di effettuare verifiche indipendenti dei messaggi pubblicitari ospitati dalla piattaforma.

Al contrario è vietato “riservare ai propri servizi e prodotti un trattamento favorevole in termini di classificazione rispetto a servizi o prodotti analoghi offerti da terzi sulla loro piattaforma”, impedire agli utenti di contattare le imprese da cui si acquistano prodotti/servizi al di fuori della piattaforma o di disinstallare applicazioni o software pre-installati se lo desiderano (si pensi ai browser ‘predefiniti’ in relazione al sistema operativo che consente il funzionamento del device) ed infine è vietato anche “tenere traccia per motivi pubblicitari degli utenti finali al di fuori dei servizi essenziali della piattaforma, senza previo consenso dei diretti interessati”.

Le sanzioni previste – nel caso in cui il gatekeeper non rispetti gli obblighi sanciti dal regolamento sui mercati digitali – vanno da ammende il cui importo non supera il 10% del fatturato totale realizzato a livello mondiale dall’impresa fino a raggiungere il 20% in caso di recidiva. La CE può però adottare anche rimedi aggiuntivi, quali “l’obbligo per un gatekeeper di vendere un’impresa o parti di essa o il divieto per il gatekeeper di acquisire altri servizi correlati all’inosservanza sistemica”.

I gatekeeper designati ora hanno 6 mesi di tempo per conformarsi all’elenco completo di obblighi e divieti a norma del regolamento sui mercati digitali. Alcuni obblighi scattano in automatico al momento della designazione, tra cui quello di “informare la Commissione di qualsiasi progetto di concentrazione”. Dimostrare di rispettare le regole spetta alle aziende, che dovranno documentare le modalità adottate per ottemperare agli obblighi previsti dal regolamento.

Considerato il ‘lentissimo’ parto del Dma nel tempo e gli infiniti “vantaggi” di cui hanno beneficiato fino ad oggi le aziende nominate è lecito stupirsi di qualsiasi obiezione possano suscitare regolamenti ed eventuali provvedimenti futuri.

Parliamo di realtà che se da una parte hanno contribuito in modo incommensurabile allo sviluppo dei servizi online, lo hanno comunque sempre fatto tenendo come ‘bussola’ ferma la crescita dei ricavi e la concentrazione delle utenze. Ed è dimostrato dalla stessa attenzione dell’Unione, allo stesso tempo, come non sempre il modo di operare abbia consentito agli attori minori di crescere.

Ci preme però sottolineare anche come il limite che il Dma cerca di sanare riguardi il problema dell’interoperabilità. Fatto salvo il criterio per cui la sicurezza è priorità da salvaguardare per qualsiasi “app store” è a nostro avviso corretto che proprio in nome di quella “libertà” di mercato tanto sbandierata, soprattutto quando fa comodo, sia estesa la ‘competitività’ tra i fornitori di app su tutte le piattaforme.

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