Entra in vigore dal 1 novembre il Digital Markets Act fortemente voluto dal parlamento europeo, a pochi giorni dalla conferma dell’acquisto di Twitter da parte di Elon Musk e della caduta in borsa del valore di Meta/Facebook.
Due fatti di cronaca (da una parte) e l’entrata in vigore della nuova legge europea per regolamentare i comportamenti delle grandi piattaforme digitali nel nostro continente (dall’altra), quelle grandi big tech che portano i nomi di Google, Meta, Amazon, Microsoft… La concomitanza dei fatti, seppur casuale, mai è stata cosi apprezzata.

Ripercorriamo velocemente la cronaca.

1 – Twitter. Nei tempi imposti dal tribunale del Delaware, cioè entro il 28 ottobre per non finire in una causa agguerrita, Elon Musk ha confermato l’acquisto di Twitter dopo sei mesi di tira e molla per 44 miliardi di dollari (54,20 dollari per azione). Con che intento? Svecchiare la piattaforma, gareggiare con Facebook, modificare norme di pubblicazione (parla di “libertà di pensiero”), sregolare regole (oggi attenzione a etica, diritti umani, moderazione di contenuti, divieto a contenuti pericolosi, censura di profili, come quello di Donald Trump bannato dopo l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021), entrare in politica, trasformare Twitter nell’app X con funzionalità anche di e-commerce e micropagamenti e… Chissà che altro. Solo ipotesi circolano attorno all’eclettico miliardario, ora uomo solo al comando. La cronaca sta raccontando di licenziamenti per la metà dei dipendenti (“Purtroppo non c’è altra scelta quando l’azienda perde 4 milioni di dollari al giorno” il twitt di Musk lo scorso venerdì) ma anche di dipendenti richiamati perché licenziati per errore, di liquidazioni milionarie per i top manager, di stretta su account falsi e fake news, dell’introduzione dell’abbonamento a 8 dollari al mese per profili verificati. Ogni giorno una notizia, tutto in divenire, mentre Twitter si conferma lo strumento di comunicazione per politici, sociologi, virologi, professori, giornalisti. Uno strumento potente.

2 – Meta. Dopo che la trimestrale ha mostrato azioni in calo del 70%, secondo il Wall Street Journal di oggi, Mark Zuckerberg sta apprestandosi a licenziare migliaia di dipendenti già questa settimana. Una situazione tra le righe nella relazione del 26 ottobre agli azionisti, in occasione della presentazione dei dati. “Nel 2023 concentreremo i nostri investimenti su un piccolo numero di aree di crescita ad alta priorità. Ciò significa che alcune squadre cresceranno in modo significativo, la maggior parte delle altre squadre rimarranno invariate o si ridurranno. Complessivamente, prevediamo di concludere il 2023 con all’incirca le stesse dimensioni o addirittura con un’organizzazione leggermente più piccola di quella attuale”. Sembra che l’ondata di licenziamenti arriverà mercoledì 9 novembre, ma con malessere già evidenziato da luglio quando Meta – che gestisce Facebook, Instagram e Whatsapp – ha registrato il primo calo dei ricavi soprattutto a causa della dura concorrenza di Tik Tok. Ma al tracollo dei dati è complice anche il mancato successo del metaverso, non ancora decollato, nonostante sia già costato 15 miliardi di dollari di investimento.
Oggi i dipendenti totali di Meta sono 87mila nel mondo, cresciuti in modo esponenziale durante gli ultimi due anni di pandemia (+42.300 tra 2020 e il 2022). Vedremo cosa succederà.

3 – Digital Markets Act. E’ entrato in vigore il 1 novembre Digital Markets Act (Dma), il nuovo regolamento europeo per regolamentare i comportamenti delle grandi piattaforme digitali online e porre fine alle pratiche scorrette. Un regolamento voluto fortemente dalla commissione europea nel dicembre 2020, approvato dal parlamento e dal consiglio nel marzo 2022 a tempo di record, che entrerà in vigore il 2 maggio 2023. Dando sei mesi di tempo alle grandi piattaforme digitali per mettersi in regola.

Per prima cosa il Dma definisce quando una grande piattaforma online è considerata un gatekeeper e se gode di una posizione dominante per dettare regole e creare una strozzatura nell’economia digitale. In secondo luogo il Dma detta regole e comportamenti da seguire.

Chi sono i gatekeeper? Le società che gestiscono uno o più dei cosiddetti “servizi di piattaforma core” e cioè servizi online di intermediazione come gli app store (esempi Google o Apple), motori di ricerca, social network (appunto come Facebook o Twitter), alcuni servizi di messaggistica (come Whatsapp), piattaforme di condivisione video (Youtube), assistenti virtuali, browser web, servizi cloud computing (come Microsoft, Amazon Web Services, Google Cloud), sistemi operativi, mercati online (lo shopping di Amazon) e servizi pubblicitari.

Sono gatekeeper se rispondono ai tre seguenti requisiti: una dimensione significativa in termini di fatturato (1) pari o superiore a 7,5 miliardi di euro negli ultimi tre anni fiscali raccolti all’interno dello spazio economico europeo (See) o se hanno un giro d’affari di 75 miliardi di euro, fornendo il loro servizio digitale core in almeno tre stati dell’Unione europea. Una piattaforma che è un importante gateway tra aziende e consumatori, con 45 milioni di utenti (2) finali attivi mensilmente in Europa o almeno 10.000 utenze commerciali attive in un anno. Infine, devono essere realtà che sono consolidate (3) nel tempo, e hanno soddisfatto il secondo requisito in ognuno degli ultimi tre anni.

Il Dma stabilisce “cose da fare e da non fare” che i gatekeeper dovranno implementare nella loro quotidianità per garantire mercati digitali equi e una maggiore concorrenza, lasciando più spazio per innovare. Un gatekeeper, ad esempio, non potrà fare azioni che impediscano la concorrenza o pratiche sleali che impongano condizioni di accesso inique al proprio app store a svantaggio dei consumatori.

Il Dma entra nella fase cruciale di attuazione e inizierà ad applicarsi a partire dal 2 maggio 2023. Entro luglio, i potenziali gatekeeper dovranno notificare alla commissione i loro servizi principali che verranno valutati nei 45 giorni successivi. Laddove la commissione avrà ritenuto che un’azienda rientra tra i gatekeeper, questa avrà sei mesi di tempo per conformarsi ai requisiti del Dma, entro e non oltre il 6 marzo 2024.

Il regolamento sarà applicato attraverso una solida architettura di vigilanza, in base alla quale la commissione sarà l’unico esecutore delle regole, in stretta collaborazione con le autorità degli stati membri dell’Unione europea, e potrà imporre sanzioni e multe fino al 10% del fatturato dell’azienda e fino al 20% in caso di infrazioni ripetute. Su violazioni sistematiche, la commissione potrà imporre rimedi comportamentali o strutturali necessari a garantire l’efficacia degli obblighi, compreso il divieto di ulteriori acquisizioni.

E’ importante ribadire il senso della norma. Il Digital Markets Act mira a impedire ai gatekeeper di imporre condizioni inique a imprese e utenti finali e a garantire l’apertura di importanti servizi digitali. Un esempio, la norma prevede che tra le modifiche che i gatekeeper dovranno implementare sarà inclusa la garanzia che gli utenti finali potranno annullare facilmente l’iscrizione dai servizi della piattaforma o disinstallare servizi preinstallati predefiniti insieme al sistema operativo, oppure scaricare app store alternativi. Rimarrà il divieto di tracciare gli utenti finali al di fuori del servizio della piattaforma principale allo scopo di pubblicità mirata, senza che sia stato concesso il consenso effettivo.

“Norme comuni in tutto il mercato unico favoriranno l’innovazione, la crescita e la competitività e faciliteranno lo scaling-up di piattaforme più piccole, piccole e medie imprese e start up grazie a un quadro unico e chiaro a livello dell’Unione europea” recita il regolamento.

In momenti di cambiamenti sul mercato, come la burrasca Twitter e Meta fanno presagire, è tranquillizzante sapere che la legge rimane un paletto ben chiaro. E che per i gatekeeper l’Unione europea si è data regole certe. 

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