Trascorsi oltre due mesi dalla nomina a country manager di Red Hat Italia, Rodolfo Falcone, nella prima uscita ufficiale, fa un primo punto sui risultati e sulle strategie dell’azienda e racconta le prime impressioni all’interno della sua nuova realtà.
Un contesto nel quale il manager è oggi al lavoro per dare il proprio contributo con una spinta commerciale, mettendo a frutto le esperienze maturate soprattutto in Commvault, dove ha acquisito il concetto di dato nel cloud, e in Servicenow.

“Vivere Red Hat fa sentire parte della digital transformation di oggi, abilitatori del cambiamento e protagonisti, perché la forza di Red Hat siamo noi stessi. Un’azienda fuori dagli schemi dove l’open source e l’individuo portano valore e fanno della community la linfa vitale; una sensazione che si percepisce da subito”, esordisce Falcone.

Community che rappresenta un patrimonio umano capace oggi di studiare nuovi facilitatori e applicazioni da portare sulle strutture di Red Hat, per dare ai clienti la possibilità di abbracciare l’Industria 4.0. Oggi su un organico di circa 200 persone in Italia, il 40% è rappresentato da ingegneri che lavorano in questa direzione. (A livello globale, per ogni rilascio ci sono 50 ingegneri a supporto dei clienti di Red Hat).

Si punta al raddoppio in 3 anni

A fine esercizio ormai prossimo (Red Hat chiude il bilancio al 28 febbraio), il country manager anticipa i risultati del mercato italiano, strategico a livello globale, e descrive le strategie messe in campo, alcune delle quali già delineate al Red Hat Open Source Day  di Milano.

Rodolfo Falcone, country manager di Red Hat Italia
Rodolfo Falcone, country manager di Red Hat Italia

I dati si confermano estremamente positivi: “Oggi cresciamo costantemente del 20% circa e l’ultima trimestrale Red Hat si preannuncia da record, con un incremento del 24% anno su anno. Se guardiamo ai prossimi tre anni sono abbastanza certo che non sarà difficile raddoppiare il volume dei ricavi totali. Del resto sto guidando una Ferrari – ironizza Falcone -, sottolineando quanto nel formulare queste stime incida il contributo di Ibm e le sinergie che le due imprese possono creare, con nuove collaborazioni sia interne che nelle diverse country per ingaggiare insieme i clienti. Ricordiamo che Ibm ha speso ben 34 miliardi di dollari per dare vita a questa collaborazione”.

“La progettazione congiunta potrà far leva sulle qualità di Ibm in termini di competenze verticali di mercato e orizzontali di processi, da mettere a fattor comune per i clienti che possono usufruirne in maniera congiunta o privilegiata con Red Hat”, conferma Gianni Anguilletti, vice president Med Region di Red Hat.

”Dalla fusione nulla è cambiato nella nostra strategia e nel nostro modo di operare e pur rimandendo due BU divise e indipendenti c’è infatti una forte complementarietà tra le due realtà, e mi auguro che nulla cambi in futuro. Gli effetti dell’alleanza oggi si rivelano migliori del previsto con sinergie che permettono di portare nuove risorse sotto il cappello di Red Hat e di raggiungere mercati diversi. Ibm veicola sul mercato 6 declinazioni di cloudpacks, big data e sviluppo che vedono protagonista Red Hat Openshift. Unica paura – sottolinea Anguilletti -, è che il cliente non capisca il senso dell’operazione”. 

Espandendo il canale, l’azienda sta ingaggiando global system integratori americani e corporate reseller italiani che si sono già attivati con corsi tecnici e commerciali per essere pronti sulle soluzioni. 

Nel merito della collaborazione con Ibm, Falcone spiega l’urgenza di mettere in campo strategie comuni per veicolare soluzioni congiunte verso i corporate reseller: “Sento la necessità di presentare al canale italiano le nostre soluzioni insieme ad Ibm e in modo itinerante, ed è quello che proporrò ai vertici per i prossimi mesi”

La progettualità sostiene i processi

La maggior parte delle aziende è oggi attenta al digitale e i clienti sono aperti all’ascolto. Tutte le Pmi hanno in atto progetti di trasformazione digitale, diventata ormai la principale voce di investimento. Serve ora un salto di qualità in termini di risorse e progettualità.

“Oggi ogni azienda ha se non il dovere il diritto di diventare una software house. Se teniamo conto per esempio che il valore di un’auto in futuro sarà fatto per il 50% dalla meccanica e per il 50% dai servizi – spiega Anguilletti -, ne consegue che tutte le aziende devono oggi considerare lo sviluppo di nuove applicazioni.
“Questo ci permette di essere protagonisti; la sfida di Red Hat è infatti oggi quella di dare una risposta puntuale e rimanere al passo con le aspettative del cliente”, 
conferma Falcone. 

Un mercato che lascia a Red Hat molti spazi, sia nel large enterprise (“qui siamo a metà del cammino, l’anno prossimo il fatturato raddoppierà”, dichiara Falcone), sia nel mid market (aziende con meno di 5mila dipendenti per Red Hat).

Cloud e mancanza di soft skill

“L’adozione dell’open hybrid cloud porta benefici a Red Hat Italia”, continua Falcone. Coerenti con il resto d’Europa, le Pmi italiane sono propense ad avere una strategia basata sul mondo cloud. Le aziende un po’ più complesse e con una storia IT capiscono l’importanza dell’open hybrid cloud per muovere i dati per esempio nei momenti di picchi di produzione o sposano l’edge computing per portare le tecnologie dal data center all’edge e superare il problema della latenza. La maggior parte dei clienti di Red Hat opta quindi sempre più per un approccio ibrido come strategia cloud preferita (nel public si sceglie tipicamente il modello ibrido). 

Con un portfolio vasto e la possibilità di dare risposte ad ogni impresa, l’unica criticità per Red Hat è rappresentata oggi dalla mancanza di risorse dietro tutto ciò che si muove, sottolinea Falcone. Mancano 400mila posizioni in Europa e “molto spesso le persone che cerchiamo sul mercato non ci sono. Come ad esempio architetti software con esperienza in sviluppo di nuove tecnologie devops, microservizi e container. Bisogna anticipare questa mancanza di talenti con digital skill e anticipare le esigenze future. Una problematica che solo il driver dei millennial e la loro entrata in gioco potrà in futuro colmare”, conclude Falcone.

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