C’è uno scollamento. Da una parte le criticità evidenziate per la situazione geopolitica da Valerio De Molli, Ceo di The European House – Ambrosetti, che non fanno dormire sonni tranquilli, dall’altro il sentiment dei Ceo delle aziende italiane che mostrano un ottimismo (seppure non ancora ai massimi livelli di fine 2021) che sa di ripresa.

Uno scollamento – incoraggiante – che emerge anche dal confronto con i Ceo delle aziende di tecnologia presenti al Forum di Ambrosetti che abbiamo ascoltato a valle della tre giorni di Cernobbio nel weekend del 2, 3 e 4 settembre. Per capire soprattutto quanto possa essere reale questa positività dal momento che sembra che nessuno degli accadimenti socio-economici e politici dell’ultimo periodo abbia inciso nell’orientare il clima e le aspettative della classe dirigente del Paese. “Non la caduta del Governo Draghi, non il rinnovo imminente del Parlamento, non l’insediamento a breve di un nuovo Governo, non le fiammate inflattive e, soprattutto, sul costo dell’energia, e nemmeno il cambio di rotta della politica monetaria delle Banche Centrali, tornata di nuovo restrittiva”, afferma lo studio di Ambrosetti.

Con un quesito di fondo, che ritorna nella nostra curiosità editoriale: il digitale è stato davvero sui tavoli che contano a Cernobbio o è stato solo chiacchiericcio da corridoi? Abbiamo parlato di strategie digitali con Silvia Candiani (Ceo di Microsoft Italia), Stefano Rebattoni (Ceo di Ibm Italia), Claudio Bassoli (Ceo di Hpe Italia), Giuseppe Di Franco (Ceo di Atos Italia) e Raffaele Gigantino (Ceo di Vmware Italia).  

La fiducia misurata da Ambrosetti

Ma partiamo dai dati di Ambrosetti, dalla ripresa della fiducia degli imprenditori a settembre 2022, misurata dall’Ambrosetti Club Economic Indicator, attraverso una survey somministrata a oltre 400 fra i principali capi azienda italiani e internazionali operanti nel Paese. L’indicatore va da -100 (massima sfiducia) a +100 (massimo ottimismo) e i dati dell’ultimo trimestre posizionano la fiducia attuale al 41,5, un cambio di passo rispetto al trimestre precedente, dovuto alla crescita del Pil oltre il +3,4%, alla ripresa dell’export (+20% nei primi cinque mesi dell’anno) nonostante la drastica riduzione delle esportazioni verso il mercato russo e quello cinese, alla lieve riduzione dell’inflazione (+7,9%, rispetto al +8,0% di giugno), con un “rallentamento” della crescita impazzita dei prezzi dei beni energetici (dal +48,7% registrato a giugno al +42,9% di luglio). Certo un miglioramento rispetto a un punto di partenza nefasto.

Valutazione della situazione attuale del business – settembre 2022: 41,5 - Fonte: Ambrosetti Club Economic Indicator
Valutazione della situazione attuale del business – settembre 2022: 41,5 (Fonte: Ambrosetti Club Economic Indicator)

Tornano positivi gli indicatori sulle prospettive occupazionali. Il tasso di occupazione al valore massimo dal 1977 (60,1%) registra sia una riduzione del tasso di disoccupazione (-0,2%, pari a -4mila persone) sia degli inattivi (-0,7%, -91mila) pur rimanendo una discrepanza strutturale tra il tasso di occupazione maschile (69,1%) e femminile (51,0%). Un problema atavico. 

Tornano positivi i dati legati alle prospettive degli investimenti nel breve periodo (26,6) anche se con molta cautela (14,9, un valore inferiore alle prospettive attuali). Rallentano la Germania, gli Stati Uniti (da due trimestri la variazione del Pil è negativa) e la Cina (cresciuta solo dello 0,4% nel secondo trimestre): tre fattori che rischiano di porre un significativo freno alla ripresa mondiale e italiana.

Prospettive del business a sei mesi – settembre 2022: 14,9 - Fonte: Ambrosetti Club Economic Indicator
Prospettive del business a sei mesi – settembre 2022: 14,9 (Fonte: Ambrosetti Club Economic Indicator)

“I prossimi mesi saranno dirimenti per capire in quale direzione andrà il Paese” sostiene De Molli, mettendo tra le questioni aperte il Pnrr (“il primo vero banco di prova, un piano che dovrebbe attraversare più legislature avendo un orizzonte quinquennale, contro una durata media dei governi italiani di 1,7 anni”), non tanto per quanto riguarda gli investimenti pressoché avviati (questione più tecnica) ma il piano ambizioso di riforme strutturali (questione più politica) per raggiungere entro dicembre 2022 le 55 condizioni fissate (di cui 23 inerenti a riforme e 32 a investimenti).

Partendo da questo quadro, il confronto con cinque Ceo italiani alla guida di filiali locali di grandi multinazionali tech si snoda su tre punti. Quanto fatto fino ad oggi dalle loro realtà, quando verrà fatto nei prossimi mesi e il Pnrr, quanto reale è. 

Stefano Rebattoni, Ibm: “se non ora quando”

Non nasconde Stefano Rebattoni, amministratore delegato di Ibm Italia, lo scollamento tra prospettive a inizio anno e il ribaltone dei mesi successivi, che però non ha messo in discussione il ruolo del digitale. “Il 2022 era iniziato con prospettive e indicatori economici che poi la guerra scatenata dalla Russia in Ucraina, l’inflazione e le difficoltà nelle catene di approvvigionamento hanno poi modificato – esordisce -. Ma a fronte delle tante incertezze all’orizzonte, la certezza che tecnologia e capitale umano siano le leve con cui affrontare le sfide che abbiamo di fronte non è venuta meno. Anzi”.

Dopo la pandemia, le organizzazioni pubbliche e private hanno acquisito maggiore consapevolezza: investire nella trasformazione digitale non è più percepito come un costo ma come un investimento necessario. Specie quando si parla di efficientamento, risparmio energetico e sicurezza informatica. “Certo, la variegata realtà delle piccole e medie imprese, ossatura portante dell’economia italiana, va ancora accompagnata in questo percorso di innovazione tecnologica, ma rispetto all’anno scorso sono molti i progressi fatti”.

Stefano Rebattoni, amministratore delegato IBM Italia
Stefano Rebattoni, amministratore delegato Ibm Italia

“L’impegno che, come Ibm, portiamo nel Paese è quello di realizzare un’innovazione digitale per il reale. Un digitale che si occupi di questioni concrete, legate alla vita di tutti noi”. Alcuni esempi. Il Gruppo Hera, a Bologna, utilizza l’intelligenza artificiale di Ibm sui camioncini che raccolgono la plastica, per riconoscere immediatamente se il carico è idoneo oppure no, risparmiando costi, tempo e, soprattutto, migliorando la raccolta differenziata. Metropolitana Milanese, che gestisce le risorse idriche del capoluogo lombardo, utilizza il cloud ibrido e l’intelligenza artificiale per monitorare le infrastrutture che trasportano acqua per eliminare sprechi e individuare con anticipo dove fare manutenzione. Manutenzione predittiva realizzata anche per Autostrade con l’obiettivo di rendere più sicuri ponti e viadotti. “Solo alcuni esempi, accomunati dagli obiettivi raggiunti: ottimizzazione di costi e risorse, energia compresa, abilitata da tecnologia e nuove professionalità con competenze digitali. La dimostrazione pratica di ciò che possiamo ottenere facendo leva su innovazione e capitale umano. Pensiamo poi al quantum computing e alla sua capacità di supportare la ricerca di nuovi materiali che catturino la Co2 per combattere i cambiamenti climatici. Anche in questo caso, abbiamo la grande opportunità di far fronte a problematiche concrete attraverso tecnologia e nuove competenze professionali”.

Ma veniamo alla preoccupazione di De Molli sul Pnrr e la sua attuazione. Rebattoni è incisivo sull’impegno preso, che coinvolge l’intero ecosistema dei business partner di Ibm. “Il Piano di ripresa e resilienza resta il contesto in cui tutti, in questo particolare momento storico, siamo chiamati a mettere le migliori energie per fare dell’Italia un Paese migliore. Stiamo facendo la nostra parte, mettendo a disposizione tutte le competenze, tecnologie, ricerca e sviluppo. Viviamo il tempo del “se non ora quando” e, nonostante le difficoltà, abbiamo l’opportunità di cambiare in meglio. Tocca a tutti noi lavorare in ottica di ecosistema aperto e condiviso per cogliere queste opportunità”.

Cludio Bassoli, Hpe: “la formazione non è un benefit” 

Come veterano del Forum Ambrosetti Claudio Bassoli, amministratore delegato di Hpe Italia, ha potuto osservare in questi decenni l’evoluzione della convention e l’attenzione che il digitale ha avuto via via nelle ultime edizioni. “Negli ultimi tre anni (partecipo al Forum da 28 edizioni) – esordisce – il tema del digitale è stato molto presente in sessioni dedicate o in modo trasversale su tutti i tavoli. Uno strumento a supporto delle strategie anche in momenti di mercato confusi. E’ emerso di fatto quest’anno un pendolo tra le diverse opinioni dei presenti. Se gli economisti hanno evidenziato i problemi che preoccupano le aziende (interruzione supply chain, inflazione, costo energia, temi legati al rialzo dei costi del denaro in Europa e Usa) facendo presagire un periodo di crisi economica, gli imprenditori che amano la programmazione hanno manifestato una ripresa della fiducia nel mercato: il 70% dei colleghi farà investimenti entro fine anno, in crescita del 20-30% rispetto allo scorso anno, e questo trend, anche se con minor vigore, continuerà anche per il 2023. Sono segnali importanti – ribadisce Bassoli -. Noi auspichiamo due elementi: innovazione e sostenibilità, partendo dall’energia”.
Ridurre consumi energetici senza dover modificare modelli di business può avvenire solo con una forte trasformazione digitale e con partnership con aziende energivore per avviare la trasformazione digitale necessaria. “Mi auguro di non dover parlare di energia nella prossima edizione del Forum, perché altrimenti significherebbe che la situazione sarebbe ancora più critica e che politica ed economia non avrebbero risolto la questione in Europa e in Italia”.

Claudio Bassoli, amministratore delegato di Hpe Italia
Claudio Bassoli, amministratore delegato di Hpe Italia

La risposta tecnologica di Hpe è la proposta di GreenLake che spinge il modello everything as a service, un approccio che permette alle aziende di ridurre del 33% i consumi digitali grazie all’impiego di intelligenza artificiale per gestire ed elaborare i dati, senza trasportarli ma laddove vengono prodotti, riducendo il consumo energetico. “Abbiamo da anni una visione che si basa su cloud ibrido, senza barriere di ingresso né di uscita, portando vantaggi energetici, tagliando del 70% il tempo di rilascio delle applicazioni, mantenendo aggiornate le infrastrutture, riducendo i cicli di formazione. Si è detto più volte che non è possibile pensare alla transizione green, disegnata a livello mondiale, senza il digitale: le reti grid o le smart city senza il digitale non si fanno. Ma devo ammettere che rispetto a quattro anni fa ormai il digitale è nell’agenda di tutti i consigli di amministrazione, se ne parla di più, ribadendo anche una atavica carenza di professionalità”. Per Bassoli non serve solo puntare sulla formazione e accelerare i percorsi universitari e degli Its, ma insistere sulla formazione continua di tutti coloro che sono nella fascia dai 30 ai 70 anni. Su questo tema servono programmi di sistema, in qualsiasi azienda. “Perché la formazione non è un benefit ma deve essere parte di ogni lavoro”.

Sul Pnrr, il coinvolgimento di Hpe è sia diretto sia indiretto tramite system integrator, con focus su tre aree: la cybersicurezza (“più digitalizzeremo la PA più bisognerà proteggerla”), la digitalizzazione della sanità a vari livelli, infine la costruzione delle piattaforme abilitanti nell’ambito dell’università e della ricerca sui temi del high performance computing e dell’algoritmica. “Abbiamo consegnato al governo Usa il supercomputer più potente al mondo – precisa e guardando all’Italia aggiunge -. Ci auspichiamo che il nuovo governo mantenga il Pnrr al centro. Punto di forza del piano è la velocità con cui presentare progetti accanto alle modalità di esecuzione del Pnrr. Auspico inoltre che si metta presto mano al codice degli appalti perché la PA non deve ragionare solo in base alla massima convenienza nell’acquisto, che si traduce nel massimo sconto, ma deve introdurre elementi qualitativi di sostenibilità, di economia circolare e di innovazione e non ultimo elementi di social innovation. La PA deve premiare le aziende che investono e fanno ricerca, non solo sconti”.

Silvia Candiani, Microsoft: “promuovere una società più equa”

Delinea in modo netto il terreno di gioco Silvia Candiani, amministratore delegato di Microsoft Italia. Se da parte la pandemia ha cambiato negli ultimi anni processi e modelli di business, dall’altro ha accelerato i processi di innovazione sia nel settore pubblico sia privato, mettendo luce in maniera ancora più tangibile i ritardi da colmare. A questa fase storica di incertezza, si stanno aggiungendo le ulteriori complessità che Ambrosetti ben ha evidenziato, come la crisi energetica a cui le organizzazioni devono far fronte in tempi rapidi. E da qui la strategia di Microsoft: “L’innovazione digitale, dal cloud all’uso intelligente dei dati e l’AI, resta lo strumento chiave per affrontare le nuove sfide, essenziale per abilitare una crescita sostenibile” esordisce Candiani ribadendo l’impegno a 
fianco delle organizzazioni pubbliche e private per favorire la crescita del loro business attraverso il digitale in maniera sostenibile, creando ambienti di lavoro più flessibili en inclusivi.

“Vediamo una forte accelerazione: le imprese in Italia stanno comprendendo le opportunità generate dalle piattaforme tecnologiche in termini di efficienza, scalabilità e sicurezza. Con The European House – Ambrosetti abbiamo elaborato una ricerca che mette in luce le tre aree di azione su cui è necessario concentrarsi per fare in modo che il digitale diventi una forza concreta di crescita, sostenibile e inclusiva, per il nostro Paese”.
In primis, lo sviluppo di competenze digitali, per favorire un’occupazione qualificata e allargare i benefici del digitale ai cittadini. È stato calcolato per esempio che mancheranno oltre 2 milioni di lavoratori con le giuste digital skill nel 2026, “un deficit che non possiamo permetterci”. In secondo luogo la promozione di ecosistemi digitali per accelerare la digitalizzazione delle Pmi e contribuire alla crescita economica italiana. In terzo luogo accelerare sul Pnrr, semplificando l’accesso ai programmi e fondi, “sono investimenti significativi su cui occorre procedere spediti”. 

Silvia Candiani, country general manager di Microsoft Italia
Silvia Candiani, country general manager di Microsoft Italia

E continua. “Al centro degli investimenti previsti nell’ambito del Pnrr, c’è una forte spinta verso l’innovazione digitale, motore di accelerazione per dare un nuovo impulso all’economia, alle imprese, alla pubblica amministrazione, al piano per la transizione ecologica e per promuovere una società più equa. I prossimi anni per l’Italia saranno decisivi per la sua crescita e competitività per uno sviluppo sostenibile e inclusivo.
La potenza dei dati e di altre soluzioni digitali, come il cloud e l’intelligenza artificiale, possono aiutare organizzazioni pubbliche e private a crescere e generare benefici per cittadini”. Lavora in questa direzione il programma Ambizione Italia #DigitalRestart pensato per i cittadini mentre si consolida il numero di partner con cui lavora in questa direzione.
Recentemente, per esempio, è stata rilanciata con Unicredit Together4Digital l’iniziativa finalizzata a mettere a disposizione delle imprese risorse finanziarie, competenze e strumenti digitali per una crescita economica sostenibile, supportandole nell’accesso ai fondi. “Obiettivo è raggiungere nei prossimi mesi, con servizi e attività dedicate, almeno 100mila piccole e medie imprese su tutto il territorio nazionale e trasversalmente a tutti i settori produttivi e merceologici. Grazie agli investimenti e azioni del Pnrr, possiamo colmare il gap di innovazione con altre nazioni e sfruttare tutte le leve che la tecnologia offre ad imprese e pubblica amministrazione per modernizzarsi e affrontare le nuove sfide globali”.

Giuseppe di Franco, Atos: “poca automazione, scarsa produttività”

Lo scollamento tra andamento dell’economia e fiducia ritorna nel ragionamento di Giuseppe di Franco, Ceo di Atos in Italia, con alcune evidenze che sottolineano l’importanza della ricerca e sviluppo per allineare il digitale alle reali esigenze delle aziende e l’importanza di ripensare l’impostazione delle università. “C’è un percorso di trasformazione in atto che secondo la unanimità degli economisti coinvolti a Cernobbio porterà a una situazione di crisi del sistema economico occidentale, strutturale e perdurante. Dopo i toni euforici dello scorso anno in cui sembrava chiusa la partita Covid con i vaccini e il Governo Draghi era in carica, oggi, i tassi di crescita non incoraggianti preoccupano e frenano le aspettative di crescita di molte aziende. Come Atos, mi sento parte di questa contraddizione”. 
Anche se la visibilità su Atos è di sviluppo e di crescita nei prossimi mesi, non c’è dubbio che non è facile operare in un contesto in cui si parla di stagnazione economia complessiva. “Il digitale verrà letto da molti come leva importante per gestire un periodo economico difficile – precisa Di Franco – ma è importante parlare di tecnologia anche in maniera più ampia, di green, decarbonizzazione e su questi temi Atos alza l’attenzione”. 

Giuseppe Di Franco, Ceo di Atos Italia
Giuseppe Di Franco, Ceo di Atos Italia

Di Franco lega la bassa produttività dell’Italia rispetto ad altri paesi europei alla mancanza di automazione dei processi e Atos sta lavorando su questo approccio in diversi vertical, in particolar mondo nel potenziamento di realtà nel mondo energy e utilities, per poter affrontare questioni aperte e rendere realizzabili progetti di bilanciamento delle reti e di trasformazione ecologia. Energia, green, rinnovabili sono temi sui quali mettiamo il digitale al centro e nella nostra identità tecnologica inseriamo anche il concetto di digital twin, elemento determinante dell’innovazione che vogliamo portare ai clienti, mostrando loro come la simulazione digitale di processi aziendali possa aiutarli a efficientare l’azienda, dando anche impulso alla decarbonizzazione delle loro attività”. Senza ancora propriamente parlare di metaverso

“Noi stiamo dando assoluta centralità alla nostra strategia di ricerca e sviluppo e credo che sia una delle leve fondamentali per gestire la situazione congiunturale e per crescere”. Da una parte investendo anche in maniera significativa al Sud, con una partnership con la Federico II di Napoli o con l’apertura della sede di Bari che conta già 100 assunti, dall’altro investendo sull’high performance computing, con l’impegno nella realizzazione del secondo supercomputer più veloce al mondo ubicato a Bologna, che permette di creare un legame tra ricerca e imprese mettendo a disposizione potenti capacità di calcolo alle aziende per lo sviluppo di nuove applicazioni. 
“Lo stesso Pnrr dà grande risalto al tema dell’high performance computing come elemento di accelerazione non solo in termini di infrastrutture per il Paese ma di sostengo allo sviluppo delle aziende. Oltre a questo tema ci stiamo impegnando nel portare avanti progetti di mobilita sostenibile, come parte del consorzio del Politecnico di Milano e di A2a per la gestione della loro infrastruttura”.

E qui entra in gioco il tema della formazione e delle competenze, con uno piglio critico rispetto al comune, dirompente. “Ragionamenti a mio avviso sulle competenze hanno anche un po’ annoiato – interviene Di Franco -: da 10 anni sono sempre gli stessi, come se il tema vero fosse convincere i ragazzi o le ragazze a studiare materie tecnologiche. Ma se 5 studenti su 6 che vorrebbero entrare al Politecnico vengono mandati via per numero chiuso, il problema non sono i ragazzi che non vogliono studiare ma la logica delle università che frena lo sviluppo delle competenze senza guardare le reali necessità delle aziende italiane. Il problema non è convincere i ragazzi a studiare queste discipline ma non dare loro la possibilità di farlo: avremmo bisogno di tre volte gli ingegneri che abbiamo ma nelle università italiane entra sempre lo stesso numero di studenti. Bisognerebbe mettere in rete le università, bilanciare i carichi tra gli atenei, prendere decisioni molto più complesse dei soliti dibattiti”.

Raffaele Gigantino, Vmware: “riprendere il controllo delle tecnologie”

La fotografia del momento fatta da Raffaele Gigantino, Ceo di Vmware Italia, non può che partire dallo stravolgimento delle modalità di lavoro dettate dal Covid che ancora oggi fanno vedere le loro conseguenze. “Non c’è dubbio che il 2022 sia stato un anno complesso in cui non solo la pandemia ha continuato a influenzare il business e le nostre vite, ma che ha visto nuovi fattori in campo, come la crisi energetica, lo shortage di materie prime e, purtroppo, la guerra. Abbiamo sicuramente dovuto adattare la nostra strategia ma mai come quest’anno il digitale è cresciuto in maniera esponenziale e le aziende hanno capito che si deve investire in digitale, come dimostrano gli investimenti che stiamo vedendo in questo ambito e che auspichiamo contribuiranno a guidare la trasformazione digitale e ad aiutare l’Europa e l’Italia a rimanere globalmente competitive e strategicamente autonome“.

Alla fine del 2021 Vmware aveva individuato fra le priorità e i trend per il nuovo anno l’affermarsi del lavoro distribuito – e la ricerca di un nuovo equilibrio nel gestirlo – come pratica diffusa dopo l’emergenza. E oggi non può che confermare che il lavoro ibrido è qui per rimanere. “Questo significa che la sicurezza, l’esperienza dell’utente e la convergenza sono oggi all’ordine del giorno di ogni consiglio di amministrazione. In questo abbiamo sicuramente dato un apporto in termini di innovazione con le nostre soluzioni per il digital workspace. Lo abbiamo fatto per numerose aziende e pubbliche amministrazioni”.
Cita Città Metropolitana di Roma Capitale e il Comune di Afragola, con soluzioni di lavoro agile ai dipendenti proprio all’indomani della pandemia; Aci Informatica, che in soli tre giorni ha reso lo smart working possibile per 1000 dipendenti ma anche Anas che ha introdotto strumenti, logiche di condivisione e nuovi modelli di lavoro. 
Ma rimangono ancora aperta la questione culturale e la necessità di concepire il lavoro ibrido come uno strumento per una visione di un mondo più sostenibile.

Raffaele Gigantino, country manager di Vmware Italia
Raffaele Gigantino, country manager di Vmware Italia

“Le tecnologie che abilitano il lavoro ibrido o distribuito consentono da un lato un risparmio importante di costi, come quelli per il trasferimento o per l’energia elettrica e dall’altro, ancora una volta, tengono in considerazione l’aspetto della sostenibilità, permettendo di ridurre le emissioni prodotte durante il tragitto casa-lavoro. Ma anche la migrazione al cloud computing e l’affermarsi di un modello di hybrid cloud permettono di ridurre i costi di alimentazione e di gestione del data center locale”. 

Secondo le stime di Vmware, ai data center si deve circa l’1% del consumo di energia elettrica mondiale e se la virtualizzazione ha portato risparmi, secondo uno studio pubblicato sulla rivista Science non vi è alcuna garanzia che questa efficienza continuerà con l’introduzione di nuove tecnologie a uso intensivo di dati, come l’intelligenza artificiale, l’apprendimento automatico, il 5G e la realtà virtuale. “Secondo i climatologi, dobbiamo dimezzare le emissioni globali di Co2 per evitare le conseguenze peggiori dei cambiamenti climatici. Le tecnologie IT rappresentano un componente fondamentale per il conseguimento dell’obiettivo di carbon neutrality, già raggiunto da Vmware ma siamo impegnati a raggiungere zero emissioni nette di carbonio per le operation e la supply chain entro il 2030. Una visione che si sta facendo cruciale per far fronte al caro energia e all’aumento dell’inflazione, perché ha un impatto positivo sui costi e sull’efficienza”.

Sulla transizione digitale, il Pnrr ha previsto uno stanziamento di 48,1 miliardi di euro, di cui 500 milioni perché la PA possa dotarsi di servizi e infrastrutture di cloud computing sicure, efficienti e affidabili. “Un passaggio al cloud che può offrire alla PA un ecosistema di interoperabilità sia infrastrutturale che applicativa che garantisca un’innovazione priva di vincoli per i servizi a cittadini e imprese, valorizzi le competenze presenti e consenta il rispetto degli obiettivi di migrazione del Pnrr. Ma detto questo vogliamo che i nostri clienti siano in grado di gestire la sovranità dei dati in modo semplice e sicuro. La nostra piattaforma multicloud gioca un ruolo positivo in questo scenario, offrendo una completa indipendenza del cloud. Facendo riferimento a quanto dichiarato da Francesco Bonfiglio, Ceo di Gaia-X, si tratta di “riprendere il controllo delle tecnologie digitali”, di disporre di un sistema che permetta la governance delle tecnologie esistenti, in particolare gli stack cloud, che oggi non hanno la trasparenza o l’interoperabilità necessaria; che è completamente inclusivo; che permette a chiunque di essere conforme a Gaia-X, purché apra i propri servizi e tecnologie per essere verificato e reso trasparente”.

È in questo quadro che rientra l’iniziativa Vmware Sovereign Cloud per sostenere lo sviluppo delle data economy regionali, offrendo ai cloud provider locali gli strumenti per creare ambienti cloud certificati, iniziativa alla quale ha aderito anche Tim.

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