Infrastruttura, app delivery, dati, operazioni di site reliability engineering (Sre), osservabilità e automazione, sicurezza. Sono i sei principali elementi di valutazione (per dodici metriche complessive) su cui si basa il Digital Maturity Index di F5, che valuta le risposte di 300 realtà già analizzate nella ricerca State of Application Strategy 2023 (condotta a livello worldwide). In particolare, F5 sviluppa un modello per misurare la preparazione delle organizzazioni a “prosperare come aziende digitali” basato su queste capacità tecniche e analizza poco meno di 300 organizzazioni selezionate tra quelle che hanno partecipato alla ricerca annuale. 

Il bilancio complessivo fa riflettere – e non poco – per diversi aspetti. Soprattutto perché anche a fronte di percorsi protratti nel tempo di investimenti per la trasformazione digitale, solo una minoranza di organizzazioni raggiunge un livello avanzato di maturità digitale.
Il 96%(sic!) è rappresentato da aziende che sono riuscite a fare bene e ad ottenere vantaggi anche significativi in alcune aree ma non in modo uniforme e non per tutte e sei quelle considerate (sono il 65% i cosiddetti ‘dilettanti digitali’), oppure – quasi un’azienda su tre (31%) – è rappresentato da realtà temporeggiatrici che indugiano in tutte le metriche utilizzate tra cui la distribuzione dell’infrastruttura, app delivery e sicurezza, la strategia di osservabilità, l’implementazione dell’automazione nelle aree chiave e l’utilizzo della telemetria per ottenere insight sui dati.

F5 Digital Enterprise Maturity Index
F5 Digital Enterprise Maturity Index

E’ appena il 4% quindi la percentuale di organizzazioni che la ricerca F5 qualifica come “doer” digitali. Attori in grado di agire nell’adottare e integrare la tecnologia al punto da renderla fondamentale (core), sfruttando dati e analisi, fornendo servizi digitali e sfruttando le tecnologie emergenti per entrare in nuovi mercati e ottenere un vantaggio competitivo. Stupisce di più il fatto che, tra queste, non ve ne sia alcuna che opera nell’ambito dei servizi finanziari, della sanità, dell’istruzione e dell’energy/utilities.

Un rilievo che trova parziale giustificazione nel fatto che alcuni di questi settori sono destinati a muoversi più lentamente di altri a causa di regolamentazioni e governance – in particolare i servizi finanziari e la sanità – particolarmente cogenti.
Non solo, come spiega Lori MacVittie, distinguished engineer di F5, “il fatto che così poche organizzazioni siano digitalmente mature sottolinea la complessità di questa transizione e l’estensione e la profondità delle capacità tecniche necessarie per avere successo ]…[“

E stupisce anche che, pure tra le più avanzate, le criticità si facciano sentire. E il loro percorso di trasformazione digitale proceda non senza problemi. Anche le aziende più mature sono in difficoltà: quando si tratta di generare insight basati dai dati – per esempio per la mancanza di visibilità (75% rispetto al 54% dei “dilettanti” e al 50% dei “temporeggiatori”) -, e per la frammentazione dei dati (66% contro 55% e 43%). Tra le aziende dilettanti digitali, invece, il problema risiede nella mancanza di osservabilità, evidenziata in più di un caso su due rispetto a solo al 25% di chi passa all’azione.

Le criticità sugli insights per le aziende mature
Le criticità sugli insights per le aziende mature

In primis sono cloud ed automazione a qualificare la maturità digitale delle aziende. Mentre la totalità dei ‘doer’ ha descritto le proprie organizzazioni come automatizzate, lo fa poi solo il 30% dei dilettanti e il 6% dei temporeggiatori e tra questi ultimi oltre la metà dichiara di non aver fatto alcun progresso nel percorso di automazione. E per quanto riguarda il cloud almeno un quinto delle organizzazioni lo utilizza per la continuità operativa e lo sviluppo, ma quasi quattro aziende sui dieci tra le temporeggiatrici non utilizza il cloud pubblico, così solo il 7% dei “dilettanti” e nessuna delle realtà che passano all’azione.

L'impatto del public cloud sulla maturità digitale
L’impatto del public cloud sulla maturità digitale

Se si vuole guardare all’utilizzo dell’AI, del ML e all’approccio per  la sicurezza la ricerca registra da una parte la convergenza tra attori digitali e dilettanti: in entrambi i casi, il 35% dichiara di utilizzare o pianificare l’uso di queste tecnologie (AI e ML) in ambito security e il 29% in ciascuna linea di business (Lob).

Lori MacVittie
Lori MacVittie, distinguished engineer di F5

Un quarto di chi temporeggia, invece, non ne fa uso, mentre sempre uno su quattro si affida a queste tecnologie per le operation e la sicurezza. E ancora, in questo ultimo ambito – la cybersecurity – i leader della DT utilizzano già un approccio di piattaforma. Lo fanno nove su dieci realtà per proteggere l’azienda e più di otto su dieci l’infrastruttura. Quasi tre su quattro applicazioni e Api. Invece, il 13% delle aziende temporeggiatrici non utilizza un approccio di piattaforma e con percentuali inferiori sempre rispetto ai “doer” i cosiddetti dilettanti. 

La ricerca sottolinea altresì che la maturità digitale è fortemente correlata a un aumento della produttività, della soddisfazione dei clienti, della generazione di ricavi e della resilienza. E tuttavia, quando si parla di DT, non si dovrebbe mai parlare di una gara o uno sprint, quanto piuttosto di una maratona. Ed in fondo, l’obiettivo primo della ricerca è proprio “raccontare più l’entità della sfida che il successo o il fallimento delle aziende”. Prosegue MacVittie: “Anche quelle indecise, che temporeggiano, mostrano segni di maturità in uno o due settori: ciò che manca è la coerenza nell’adozione e nell’integrazione degli approcci digitali in tutto il business, l’infrastruttura e le applicazioni.

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