Parlare di competenze digitali oggi non è parlare dei nuovi profili per affrontare le sfide dettate dalle tecnologie emergenti – prompt engineer per intelligenza artificiale o data scientist in ambito big data e cloud per citarne alcuni – ma fare i conti con un Paese che sulle competenze digitali di primo livello ancora ha molto da recuperare.
Sono stati pubblicati da Istat i progressi dell’Italia e degli stati europei in termini di competenze digitali, osservati grazie al coordinamento con tutti gli istituti di statistica europei. Dati che, dal 2021, la Commissione Europea inserisce nel rapporto Decennio Digitale 2030, un programma che ha l’ambizione di fare crescere l’Europa sul tema delle competenze ma che ad oggi vede l’Italia in una posizione di retrovia.
Non solo perché in termini di competenze digitali l’Italia è 23esima su 27 Paesi europei – davanti solo a Lettonia, Polonia, Bulgaria, Romania (figura 1) – ma perché ha meno laureati in Ict rispetto all’Europa (1,5% contro il 4,5%), ha un divario marcato tra uomini e donne, ha una incidenza bassissima dei laureati Ict sul totale degli occupati… e così via.
Partiamo dal capitale umano
Se si pensa che l’obiettivo del programma Decennio Digitale 2030 è di portare l’80% della popolazione tra i 16 e 74 anni ad avere competenze digitali almeno di base entro il 2030 (in tutti e cinque i domini dell’indicatore composito Digital Competence Framework 2.0 e cioé comunicazione e collaborazione, alfabetizzazione su informazioni e dati, sicurezza, risoluzione di problemi, creazione di contenuti digitali) l’Italia non fa un bella figura.
Nel nostro Paese, la situazione è ben al di sotto della media europea: nel 2023 solo il 45,9% degli adulti possiede competenze digitali adeguate, oltre un terzo (36,1%) ha competenze insufficienti e il 5,1% non ha alcuno skill. Il che significa che siamo arretrati di quasi 10 punti percentuali rispetto alla media europea, con valori nettamente inferiori ai 27 Paesi che compongono l’Unione, in tutte le classi d’età, anche se i più giovani hanno una alfabetizzazione digitale maggiore (il 59,1% tra 16 e 24 anni, contro il 19,4% degli adulti tra 65 e 74 anni).
A livello europeo (Eu27), si misura un lieve aumento delle competenze di base, complessivamente dell’1,6% dal 2021, con alcuni stati responsabili di crescite importanti (Ungheria +10%), altri con crescite più contenute (Germania +3,3%, Spagna +2%), altri stabili (l’Italia), altri in calo (Francia -2,3%, Lettonia -5,5%, Croazia, Slovacchia e Lussemburgo -4%).
L’indicatore rimarca la disparità di genere a favore degli uomini in quasi tutti i Paesi europei (in Italia pari a 3,1 punti), con uno svantaggio evidente a partire dai 45 anni. Discriminanti rimangono età e grado di istruzione: in Italia, tra i laureati il 74,1% ha competenze digitali almeno di base, quasi in linea con la media europea (5,7% in meno), mentre tra le persone con un titolo di studio basso (licenza media) la distanza con la media UE è di 11 punti percentuali (22,6% contro 33%).
Occupazione
Anche se l’Italia ha fatto un percorso di crescita arrivando a toccare i 155mila specialisti Ict (+19% rispetto al 2019), la sua crescita è rimasta inferiore rispetto ai 27 Paesi (+24,1%).
Rimane un divario importante anche tra gli occupati italiani rispetto alla media europea (-8%), pur essendoci la consapevolezza che le competenze digitali sono oggi richieste per l’accesso al lavoro e per la riqualificazione dei profili. “In Italia, nel 2023 i disoccupati in possesso di competenze digitali almeno di base in tutti e cinque i domini sono il 38,7% rispetto al 47,7% della media Ue27 – precisa Istat -. Il valore registrato per il nostro Paese risulta in linea con la Germania, ma distante dalla Spagna e dalla Francia di oltre 18 punti percentuali. La diffusione delle competenze digitali è significativamente più elevata tra gli occupati: in Italia, il 56,9% raggiunge un livello almeno di base nei cinque domini. Anche in questo caso, tuttavia, si osserva un divario ampio con la media dell’Ue27 (64,7%) e, tra le maggiori economie, con la Francia (67,5%) e la Spagna (75,4 %), mentre la Germania mostra valori poco superiori a quelli italiani”.
In Italia, come in altri Paesi europei, la quota più elevata di occupati con competenze digitali si osserva nei servizi di informazione e comunicazione e nelle attività finanziarie e assicurative (80% circa). Seguono il settore immobiliare (76,7%), la pubblica amministrazione, difesa e assicurazione sociale obbligatoria (71,8%). Industria e commercio si collocano sotto il valore medio europeo, mentre i valori più bassi si osservano nel settore agricoltura, silvicoltura e pesca (32,5%) e in quello delle costruzioni (43,8%) (figura 2).
Formazione
La formazione digitale nei vari settori in Italia è stata erogata al personale dal 54,7% delle imprese, contro il 65,3% di quelle europee.
Se si guardano le aziende con almeno 10 addetti nel 2022, il 19,3% ha erogato attività formative in quest’ambito, un valore in forte crescita rispetto al 2017 (+6,4%) seppure inferiore rispetto alla media europea (22,4% e con una crescita di solo +1,7 punti) in linea con la formazione nelle imprese di Francia e Spagna (figura 4).
Nelle aziende piccole del nostro tessuto produttivo si ricorre in modo importante a servizi offerte da fornitori terzi che hanno competenze specialistiche più mirate, come nell’ambito della cybersecurity (lo ha fatto il 59% delle aziende contro il 68% europee) o del commercio online (60% in Italia, rispetto a una media europea del 42,9%, 30% in Francia, 44% in Spagna, in Germania il 50%) (figura 3).
Competenze e pubblica amministrazione
Se guardiamo alla pubblica amministrazione, si conferma l’impegno nei confronti delle competenze necessarie per avviare i piani di modernizzazione e di trasformazione della PA, nella sua complessità organizzativa.
Gli indicatori relativi alla formazione Ict, confermano investimenti in competenza per il 23,9% delle PA locali (+7 % rispetto al 2018, pari al 16,9%), per il 17,3% dei comuni fino a 5mila abitanti, per il 57,6% dei comuni con oltre 60mila abitanti, per il 66,0% delle amministrazioni provinciali e per l’81,8% delle regioni e province autonome.
Le principali tematiche su cui si è svolta la formazione nelle PA locali sono quelle legate ad applicazioni e software specifici (71,4%), alla sicurezza Ict (49,4%) e al Web (42,2%).
Nello specifico, il 66,4% delle amministrazioni locali ha optato per una formazione specifica sulle piattaforme abilitanti previste dal Piano Triennale Ict (PagoPA, Anpr, ecc.), il 58,7% sui pagamenti telematici, il 44,9% sull’identità digitale e il 20,2% sul cloud computing (figura 5).
Crescono profili Ict nel lavoro
Il secondo obiettivo del programma Decennio Digitale 2030 – di arrivare a 20 milioni di specialisti Ict e a una maggiore presenza di donne in tali professione – vede l’Italia contribuire oggi con 970mila persone impiegate in occupazioni che rientrano nell’aggregato degli specialisti Ict, con l’obiettivo di arrivare a 1,7 milioni entro il 2030.
Ma nonostante questo sforzo (+19% di occupati Ict rispetto al 2019) l’impegno degli altri Paesi membri ha fatto scendere l’Italia nella classifica dalla 17esima alla 24esima posizione. Ne emerge un quadro di debolezza della posizione italiana, anche se sia pure con alcuni segnali di miglioramento (figura 7).
Permane la bassa diffusione degli specialisti Ict nelle imprese con almeno 10 addetti (13,4% contro un valore medio dell’Ue27 del 21,0%), la quota ridotta di specialisti con laurea (l’Italia è ultima nell’UE, e nettamente staccata dagli altri Paesi; nel 2023, questi erano il 42,1% contro un livello medio del 66,7%) anche se Italia e Germania sono tra i Paesi dove l’incidenza di specialisti con formazione universitaria è cresciuta di più negli ultimi quattro anni, rispettivamente, di 4,9 e 4,5 punti percentuali); pochi specialisti Ict di età inferiore ai 35 anni, il 29,3% contro il 37,3% della media Ue27; anche in questo caso, l’Italia è ultima tra i Paesi Ue27.
In Italia la quota dei laureati nelle discipline Ict è passata dall’1,3% del 2019 all’1,5% del 2022, a livello europeo dal 3,9% al 4,5%. E permane una presenza femminile modesta, in un contesto occupazionale comunque caratterizzato da una prevalenza maschile (nel 2023 le donne erano il 15,7%, contro il 19,4% della media UE27). e ancora pochi i laureati nelle discipline Ict.
“Una delle raccomandazioni della Commissione Europea presenti nella prima relazione sul Decennio Digitale è quella di intensificare la quota di laureati nelle discipline scientifiche, tecnologiche, dell’ingegneria e della matematica (Stem). Nel 2022 secondo il ministero dell’Istruzione e della Ricerca, i laureati in Italia sono 468mila, di cui 288mila appartengo all’aggregato delle discipline Stem, pari al 23,4% del totale. La maggioranza dei laureati nelle discipline Stem è concentrata tra ingegneria e architettura (14,2%), seguono le materie del gruppo scientifico e matematico (3,2%) mentre sono appena l’1,5% i laureati nelle discipline Ict. La quota di laureati nelle discipline Stem in Italia è poco inferiore alla media europea (26,5%)”.
L’Italia, in particolare, è in linea con la media europea per quanto riguarda i laureati nelle discipline di ingegneria e architettura e nel gruppo scientifico e matematico, mentre per i laureati nelle discipline Ict il Paese si colloca in fondo alla graduatoria, con una distanza dalla media di 3 punti percentuali.
Divari
Infine, il programma strategico della Commissione Europea prevede il superamento dei divari di genere nell’utilizzo delle Ict. In Italia nel 2022 solo lo 0,3% delle donne ha conseguito una laurea in tale ambito contro l’1,2% degli uomini. Tale disparità si riscontra anche a livello europeo: 1% delle donne contro il 3,6% degli uomini.
Va però segnalato che in Italia, come negli altri stati nelle discipline Stem si registra un vantaggio femminile che nel nostro paese è di 1,3 punti percentuali. Infatti sono il 4,5% le donne residenti in Italia laureate in scienze naturali, fisica, matematica, statistica, contro il 3,2% degli uomini.
Dall’analisi temporale emerge che dal 2019 in Italia vi è aumento dei laureati più accentuato rispetto all’insieme dell’Ue27 (il 12,4% contro il 4,7%). Questo riguarda anche i laureati in discipline Stem (+7,4% rispetto al +6,9%) e, in particolare, nelle Ict (+28,8% in Italia, +22,8% nell’Ue27).
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