Le direttrici di business della divisione GTS di Ibm, gestita da Stefano Rebattoni (general manager Global Technology Services in Italia), sono dettate dalle evidenze del mercato (le stesse sottolineate dal Rapporto Anitec-Assinform presentato ieri a Milano).

Da una parte, la contrazione della componente di business tradizionale dovute a logiche fisiologiche di mercato, che hanno visto negli anni restringersi i campi in cui proporre attività di outsourcing (per fusioni, operazioni di efficientamento o ottimizzazioni di costi in grandi banche o industrie). Dall’altra, la crescita del mercato legato alle nuove tecnologie cloud che hanno fatto sì che il valore del mercato tradizionale fosse raggiunto dal cloud quest’anno. “Il punto di intersecazione tra mercato tradizionale e mercato cloud avvenuto nel 2018 fa del cloud il nuovo mercato di riferimento, accompagnato da tutte le sue logiche evolutive, che riguardano cognitive computing, blockchain, cybersecurity e analytics”.  

Una divisione “laica per definizione” scherza Rebattoni, che gestisce clienti enterprise complessi (banche, assicurazioni, PA, industria, travel) in molti casi legati ancora ai mainframe, ma che spinge per l’apertura verso il cloud in ottica open. “In molte realtà, particolarmente nelle banche, è difficile il passaggio oltre il mainframe per questioni di sicurezza – esordisce Rebattoni di recente incontrato a Milano -. Ma il nuovo fronte di sviluppo applicativo è il cloud, soprattutto per le new digital bank, agili, flessibili, senza sportello, anche se la parte di back end su tecnologia mainframe resiste per tutte”.

Evoluzione sui servizi

Stefano Rebattoni, global technology services manager di IBM Italy
Stefano Rebattoni, global technology services manager di IBM Italy

L’evoluzione dell’organizzazione GTS da System a Service Integrator segna un passaggio importante per Ibm a livello mondiale – ribadito anche dalla lettera agli stakeholder della Ceo, Ginni Rometty, in occasione di Think2019 – un cambiamento necessario sia interno sia esterno, per rispondere alle esigenze di trasformazione digitale del mercato.

In questa logica diventa strategica la struttura di delivery sia verso le grandi aziende enterprise seguite da account interni di Ibm, sia verso le aziende del segmento commercial, dove i partner sono punto di riferimento e di ingaggio. “Abbiamo trasformato insieme la divisione GTS, creando un’offerta che rispondesse alle necessità critiche dei clienti, posizionandoci come service provider con nuove competenze focalizzate sul business, e stressando le nostre capacità legate alle tecnologie di intelligenza artificiale e cloud. Abbiamo sperimentato e fatto Poc su applicazioni di AI molto specifiche, spostandoci vero il cognitive computing. Watson ha chiuso il suo chapter 1 – sintetizza Rebattoni –, una fase in cui grazie ad applicazioni specifiche si è fatto conoscere, raccogliendo feedback positivi, e ora ha come sfida quella di evolvere dalle applicazioni di AI alle soluzioni di cognitive enterprise che interessano gli ambienti di produzione. In questo scenario verso il cloud la posizione di Ibm è quella dell’orchestratore con un ruolo di advisor, consulente, sviluppo e gestione dei progetti presso i clienti”.

Il peso del cloud

Un approccio che vede il cloud centrale, in ottica multicloud e hybrid cloud, con una strategia di massima apertura, sancita dall’acquisizione di Red Hat lo scorso anno per 34 miliardi di dollari. “Il cloud è per definizione aperto e Ibm in questo quadro si propone di fare consulenza, manutenzione, orchestrazione per gestire la complessità dei cloud adottati dai clienti”.

L’evoluzione della divisione GTS verso una strategia di multicloud ibrido si è affinata in un arco di tempo di quattro anni: 2016 anno di focalizzazione sul cloud IBM (SoftLayer) e sui servizi di integrazione, 2017 anno di spinta di Watson con la IBM Services Platform, 2018 anno di adozione dell’approccio multicloud e 2019 spinta definitiva su opensource, containerizzazione e servizi certificati con l’attuazione delle strategia post acquisizione di Red Hat. “Oggi le aziende enterprise chiedono semplicità, agilità e consistenza agli ambienti IT, ibridi e complessi – precisa Rebattoni -. Il 94% dei clienti enterprise sta già usando il multicloud così come 80% del workload si sta spostando in cloud. Queste evidenze ci spingono a sostenere i clienti nella loro trasformazione digitale, grazie al fatto che abbiamo la tecnologia, la piattaforma e i servizi”. Su questi tre pillar, vengono declinati i cinque step del viaggio verso il cloud in cui la divisione GST accompagna il cliente (“advise, move, build, managed e govern the cloud” precisa il manager).

Competenze e partner

Il ruolo di orchestratore non può prescindere da un canale con competenze. Così l’ecosistema dei partner tecnologici di riferimento internazionali si accosta a partner locali, portando a una rivisitazione dei managed service business partner, che per necessità devono riposizionarsi. “Per questa ragione abbiamo triplicato il budget education sulle persone, sia interne che esterne, e abbiamo investito per creare gli Ibm Studios in Piazza Gae Aulenti, un polo di innovazione italiano, un luogo di co-creation dove Ibm mostra la forte volontà di fare squadra e di aprirsi al mercato – incalza il manager -. Le stesse persone di Ibm hanno un percorso di retraining obbligatorio da compiere e ogni dipendente della divisione GTS deve fare lui stesso un percorso verso il cloud accreditandosi al Cloud Enablement Program”.

La rivisitazione del managed service partner porterà a una decina di partner che gestiranno il go-to-market. Se sul mercato enterprise la relazione con Ibm rimane molto forte, sul mercato commercial saranno i partner stessi che porteranno avanti la proposizione standardizzata di servizi industrializzati, che potranno interessare anche le medie imprese. “Rimangono strategiche nel multcloud le partnership con i vendor tecnologici – ribadisce Rebattoni -: Vmware, ServiceNow, Red Hat, Sap, AWS, Microsoft (Azure), Google Cloud”.

Perché Red Hat

L’acquisizione da parte di Ibm di Red Hat ribadisce la lunga collaborazione in ambito open source” spiega Rebattoni. Da una parte la forza di Ibm sul mondo legacy, dall’altra la forza di Red Hat nel mondo open: “nell’unione di queste due anime e nell’orchestrazione risiederà il valore. Si parla di sinergia e non di integrazione. A metà 2019 l’acquisizione diventerà operativa, ma già oggi si lavora su clienti comuni in logica di contaminazione”.

Ginni Rometty, President and CEO di IBM & James M. Whitehurst, CEO of Red Hat
Ginni Rometty, President and CEO di IBM & James M. Whitehurst, CEO of Red Hat alla firma dell’acquisizione

Da una parte, più della metà di tutti i workload mondiali girano su Linux e Red Hat ne detiene il primato, d’altra Ibm è presente da più di vent’anni nelle open community, all’interno della quale ha già in essere una partnership con Red Hat per il supporto su OpenShift. Ibm con Red Hat offrirà valore ai clienti nella gestione del multicloud ibrido, con tutte le componenti di flessibilità apertura e sicurezza e cresceranno le opportunità”. La roadmap prevede accelerazione del modelli di sottoscrizione, di supporto, e la creazione di servizi che incorporino le potenzialità di Red Hat con la tecnologia e il modello di delivery di Ibm.

Ibm sulla strada

A giugno, l’apertura degli Ibm Studios in Piazza Gae Aulenti (frutto di un investimento di oltre 40 milioni di euro in 9 anni) favorirà la collaborazione con imprese, associazioni territoriali, istituzioni, università, centri di ricerca, sviluppatori e studenti. “Tre aree dedicate a diverse tematiche per avvicinare Ibm alla città” auspica Rebattoni. A piano terra il client center, prima a Segrate, avrà demo specifiche con corner verticali sul manifatturiero e industria (ribadendo il forte collegamento con il competence center Made al Politecnico di Milano). Il secondo piano sarà definito cloud garage, immersivo e sperimentale. Il terzo spazio sarà dedicato agli sviluppatori. “Un impegno che ci vedrà per 9 anni a contatto con Milano, a piano strada, cercando di recuperare quell’allontanamento con le nuove generazioni che meno conoscono Ibm. Vogliamo aprire Ibm, nella stessa logica va anche la collaborazione con il competence center di Bologna”.  

I data center di Cornaredo, ospitati nelle strutture di Data4, rimarranno attivi (“oggi a capienza”), ma Ibm sta ragionando come potere scalare entro il 2020. “Per noi è molto importante razionalizzare e consolidare i data center esistenti”  conclude Rebattoni, elencando gli 8 data center tra Milano, Pero, Settimo Milanese, Cornaredo, Basilio, Verona e Roma. “La razionalizzazione porterà a tre siti, con un campus metropolitano su Milano concentrato a Cornaredo, con un rimando sul sito geografico di Roma”.  La sede storica di Segrate, ristrutturata, sarà affiancata anche da un una sede “agile” a Roma, senza perdere la vicinanza ai clienti. “La spinta di Industria 4.0, il percorso lanciato da Calenda nel 2016, ci ha portato a collaborare anche sul territorio con diverse realtà, con una imprenditoria locale che ci ha dato feedback utili anche per realizzare i competence center. Non è più un tema nuovo Industria 4.0, ma nonostante questo, vedo molta voglia di fare squadra”.

Dal punto di vista delle tecnologia, il futuro riguarderà sempre più il quantum computing “che sarà disruptive dal punto di vista computazionale, lavorando su una mole di informazioni strutturati e non strutturati, con una logica neuronale e non più binaria”. Difficile definire le potenzialità, ma nel centro di Zurigo dedicato al quantum computing molte aziende vengono a scoprirlo: qui possono vedere prototipi ma non fare Poc. “La nostra roadmap è a tre anni, molto pervasiva, una grande scommessa” conclude Rebattoni.
A inizio anno, al Consumer Electronics Show di Las Vegas, aveva debuttato Q System One, il primo computer quantistico di Ibm a natura commerciale, non destinato a laboratori e ricerca pura, ma accessibile al di là del mondo accademico, ovunque fosse richiesta una potenza di calcolo  fuori dell’ordinario. Un primo passo.

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