Sviscerare il concetto di smart working, tra potenzialità, criticità e oltre le polemiche, per trasferire il messaggio del suo valore come grande opportunità da cogliere. Questo il tema dibattuto nel corso del webinar “Leadership e gestione remota nella nuova impresa digitale”, organizzato da Luiss Business School e Confindustria Digitale.
“Parliamo di un tema attualissimo che va affrontato oggi – esordisce Cesare Avenia, presidente di Confindustria Digitale -. Nel far fronte alla crisi, abbiamo visto che chi era preparato in termini di digitalizzazione se l’è cavata e questo dimostra l’indispensabilità di affrontare le criticità ma di cogliere questa grande opportunità oltre la pandemia; non farlo sarebbe un grave errore. Pensare di tornare alla normalità del prima, significa ignorare le difficoltà di crescita e innovazione che penalizzano da tempo il nostro Paese e sottovalutare la lezione che l’emergenza ci ha impartito. Un tema che non può essere argomento di divisioni politiche come sta succedendo ma deve andare al di là, per il bene comune”. C’è infatti anche preoccupazione per la possibile scadenza al 31 luglio della procedura semplificata per il ricorso al lavoro agile e si fa appello al Governo e alle istituzioni perché considerino l’opportunità di prorogare le semplificazioni normative.
“Lo smart working non va visto come un’opzione legata all’emergenza sanitaria – insiste Avenia – , ma come una concreta opportunità di cambiamento innovativo per il nostro Paese. Bisogna dare tempo alle imprese di pianificare le condizioni di prosecuzione delle attività produttive in un quadro certo, che faccia fronte alle esigenze lavorative, organizzative e di tutela della salute”. Come passo successivo, serve riaprire un percorso strutturale per l’implementazione dello smart working. “Come Confindustria Digitale avevamo già aperto oltre dieci anni fa un dibattito interno sul tema che andava in questa direzione e oggi come allora dobbiamo usare questo momento per fare da cassa di risonanza e reclutare ambasciatori pronti a divulgare il nostro messaggio”.
Luiss, guadagno netto sul digitale
Spunto di discussione è la ricerca presentata da Luiss Business School che analizza l’esperienza dello smart working durante il lockdown per verificarne l’impatto e le prospettive future. La maggior parte degli intervistati (66%) – su un campione di 450 professionisti di età media 36 anni, il 70% dipendenti o collaboratori – ritiene che lo smart working abbia guidato la produttività in modo significativo consentendo di svolgere tutte le mansioni da casa e abbia tutti i presupposti per andare anche oltre l’emergenza Covid-19. All’efficacia tecnologica si affianca anche un nuovo stile di leadership; i benefici si riscontrano in una maggiore capacità di equilibrio tra lavoro e vita privata, mentre i risvolti negativi sono una perdita della relazione sociale – in passato spesso principalmente legata al mondo lavorativo -, una mancanza di coesione e maggiori limiti allo sviluppo della carriera professionale. Nel complesso, il 75% delle persone coinvolte sarebbe disponibile a continuare a lavorare in smart working anche nell’era post-covid.
“Abbiamo velocizzati i processi verso il lavoro agile guadagnando in pochi mesi cinque anni – dichiara Paolo Boccardelli, direttore Luiss Business School -. Un processo che era già in corso ed evolveva con la digitalizzazione del Paese, seppure in epoca appena pre-Covid la classifica Desi ci vedesse in 25ma posizione sui 28 Paesi dell’Unione europea per quanto riguarda lo sviluppo del digitale e addirittura 28mi per skill digitali, una problematica che va affrontata come Paese e che si lega alla trasformazione del lavoro”.
E dopo il Covid? “Sullo smark working non vogliamo tornare indietro, anche se probabilmente ci sarà un rimbalzo. Vogliamo portare a casa un guadagno netto sul digitale”, sintetizza Boccardelli. Le previsioni dicono infatti che in futuro il 75% della ricchezza creata sarà su piattaforme digitali (il digital banking è passato dal 30% in epoca pre-pandemia all’80% in queste settimane) ma dicono anche che in tema di smart working e remote working, solo il 38-40% delle aziende investe nello sviluppo di skill, “bisogna lavorare sul capitale umano”.
Tra spazio fisico e virtuale
“Si è trattato di uno dei più grandi esperimenti sociali che l’umanità abbia mai effettuato in tutto il globo – interviene Stefano Venturi, presidente Steering Committee Competenze e capitale umano Confindustria Digitale –. Le imprese si sono fatte trovare tendenzialmente pronte a lavorare da remoto. Noi abbiamo raccolto i feedback delle aziende IT della nostra rete al fine di condividere le esperienze e trovare le best practice e le competenze corrette. Segnaliamo la necessità di rivedere le competenze manageriali direttive. Confindustria insieme alle imprese deve sviluppare una nuova cultura del lavoro su obiettivi e cambiare totalmente le relazioni sociali per la crescita di tutta la società italiana. Evolvere non solo nell’IT, nella banda larga e nella digitalizzazione in generale, ma soprattutto nella cultura digitale che contamini il lavoro per avere aziende resilienti e Paesi resilienti perché un ecosistema funziona se ogni singolo anello funziona. Le aziende devono evolvere anche come luogo fisico da riprogettare”.
Sul tema del luogo di lavoro come concetto astratto si sofferma anche Massimo Giordani, presidente di Associazione Italiana Sviluppo Marketing, parlando della “nuova cultura digitale e dell’ubiquità digitale quasi come concetto filosofico che oggi sperimentiamo. Una scissione tra spazio fisico e virtuale il cui costo marginale è pari quasi allo zero e dove la tecnologia cambia radicalmente il nostro principio di relazione sociale. Di solito l’uomo sovrastima i cambiamenti a breve termine e sottostima quelli a lungo termine; molto probabilmente, tra dieci anni lo scenario sarà completamente diverso e il passaggio sarà stato graduale”.
Il futuro, tra luci e ombre
Laura Di Raimondo, direttore Assotelecomunicazioni-Asstel sostiene una nuova modalità di lavoro ibrida e mette al centro il tema delle competenze. “In queste settimane abbiamo registrato un’accelerazione in tutti gli ecosistemi – dalla didattica, al lavoro ma non solo -, con una forte presa di consapevolezza delle opportunità del digitale. Gli utopismi della digitalizzazione si sono realizzati. La resilienza si è nutrita della discontinuità e non si torna indietro. I limiti che ci davamo sono stati superati sia dal punto di vista della tecnologia (il 5G deve diventare un pezzo portante della digital transformation del paese) che delle persone. Ora serve cambiare più nel profondo e investire sul capitale umano, imparando anche a disimparare. Smart working non vuol dire infatti ingabbiare le persone nei modelli vecchi ma dare spazio all’iniziativa e alle nuove competenze anche in soft skill e capacità oggi non mappabili, per essere pronti ad affrontare il futuro”.
A mettere in risalto le criticità e il ritardo accumulato dall’Italia sul lavoro agile ad oggi è Guelfo Tagliavini, consigliere Federmanager. “Lo smart working è l’ultimo anello della catena della riorganizzazione dei modelli, mentre è stato considerato come il primo; questo l’errore commesso. Il gap e l’impreparazione da parte del sistema Italia ha generato una cattiva applicazione dello smart working in emergenza, creando disagio e difficoltà”. Una tematica che Federmanager con Unindustria e l’università avevano avviato già nel 2012 dimostrando come il lavoro da remoto fosse uno strumento efficace a ridurre ad esempio l’assenteismo, e dal valore economico potenzialmente enorme (perso nel corso di questi anni), ma che solo pochi grandi gruppi aziendali implementavano, anche dopo il 2017 con l’introduzione della legge sul lavoro agile, con numeri pre-pandemia insignificanti: solo il 2% lo adottava, contro una media europea dell’8%. Oggi, nel corso della pandemia una nuova indagine rileva un altissimo gradimento da parte delle aziende, anche di piccole dimensioni. L’80% delle aziende ha applicato lo smart working e il 20% lo ha fatto su tutti i dipendenti.
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