Stiamo migliorando ma non quanto potremmo. È la sintesi del primo 1° Rapporto sulla Ricerca e Innovazione Ict in Italia realizzato da Anitec-Assinform in collaborazione con Apre (Agenzia per la Promozione della Ricerca Europea), che fotografa gli investimenti in ricerca, sviluppo e innovazione digitale nel nostro paese nel settore Ict. Migliorati rispetto al 2017, ma distanti dalla media europea. Guardiamo alle evidenze.
Il dato: in Italia le imprese Ict hanno investito nel 2018 2,6 miliardi di euro in Ricerca e Innovazione (R&I), un trend in crescita (+6,4% sul 2017) che seppure confermato nel 2019 si è arrestato quest’anno per l’emergenza sanitaria.
Il gap: l’investimento in ricerca nel settore Ict dovrebbe salire di almeno 3,5 miliardi di euro, con stanziamenti pubblici di mezzo miliardo nei prossimi tre anni e un procurement pubblico a sostegno della ricerca in crescita di 400 milioni di euro annui, con progetti digitali di riallocazione della spesa ordinaria. Solo così si colmerebbe il gap con l’Europa.
Il ritardo: il numero dei ricercatori dovrebbe crescere di 6.500 prolifi, penalizzati dalla diminuzione dei finanziamenti per i dottorati di ricerca nel nostro Paese.
Ambizioni che possono trovare sostegno nei fondi in arrivo (Next Generation EU) e nella stesura di politiche di intervento per la ricerca a sostegno dell’offerta, della domanda, della filiera Ict. Lo pensano in tanti, a partire da Marco Gay, presidente di Anitec-Assinform, alla luce dei dati: “I programmi di rilancio di cui si discute oggi, sulla base del Recovery Plan che adotterà l’Unione europea, assegnano un ruolo centrale al digitale e accentuano la priorità di rafforzare gli investimenti in Ricerca e sviluppo Ict, puntando su una solida collaborazione tra istituzioni pubbliche e attori privati con l’obiettivo di mantenere il passo con i Paesi guida. Vuol dire aumentare sensibilmente le risorse. O meglio vuol dire concentrare risorse ed energie su ambiti dove maggiori sono le possibilità di sviluppare massa critica e consolidare ecosistemi tecnologici di rilevanza almeno europea. Serve una strategia più ambiziosa per la R&S&I (Ricerca, Sviluppo e Innovazione) Ict, che valuti costantemente obiettivi, percorsi e orienti gli incentivi alle maggiori potenzialità”.
Lo pensa Gaetano Manfredi, Ministro dell’Università e della Ricerca, sottolineando l’evidenza dell’accelerazione indotta dalla pandemia al processo di transizione digitale per società, PA, imprese e cittadini (“non c’è più tempo per aspettare”), ma soprattutto una duplice necessità: competenze adeguate per governare la trasformazione digitale (“vanno rafforzate formazione specifica, facoltà di area Stem, competenze nei mondi della robotica, dell’intelligenza artificiale, della biomedicina, dell’energia”), competenze trasversali e diffuse per superare i silos tra competenze (“sia implementando le contaminazioni tra le varie classi di laurea sia favorendo un’efficace formazione digitale di tutte le categorie di lavoratori”).
Impegno pubblico e impegno privato
Chi ha investito di più in ricerca e sviluppo nel 2018 sono state le società di software e servizi IT (responsabili della metà dell’investimento complessivo) in crescita netta del 10%, mentre quelle di hardware investono meno del passato (+ 4,8%) e il mondo dei servizi Tlc delude: fermo, non aumenta l’investimento in R&D se non di un sol +0,3%. Un ulteriore dato su cui riflettere: l’86% della spesa complessiva in R&D è stata autofinanziata dalle stesse imprese Ict, attraendo anche capitali dall’estero più che in altri settori, mentre le aziende locali sono responsabile del 12% del totale dei finanziamenti internazionali.
Se guardiamo ai fondi pubblici per la ricerca Ict, il dato è molto positivo: sono cresciuti nel 2018 in modo significativo (801,7 milioni di euro, +26,7% sul 2017, di cui 403 alle imprese del settore Ict (+37,1%) e 398,7 (+17,6%) agli altri settori dell’economia) e gli incrementi sono superiori a quelli di Germania, Francia, UE e Stati Uniti.
“Serve spingere sul partenariato pubblico privato, molto diffuso in altri Paesi europei per poter accelerare i finanziamenti, anche se complessivamente la quota degli stanziamenti destinata al settore Ict è salita al 5,5% degli investimenti complessivi, in linea con i requisiti dettati dall’Agenda Digitale Europea, a differenza dello stanziamento per i settori non Ict rimasto sostanzialmente stabile” auspica Manfredi.
La quota di budget assegnata all’Italia dall’intero Programma Horizon è del 7,9%, pari a 4,1 miliardi di euro su 51,3 miliardi assegnati complessivamente a tutti i partecipanti (al 30 marzo 2020), ma rimane al di sotto del 2,5 % il tasso di successo delle iniziative rispetto alla media europea. “È un dato che invoca più attenzione sulla qualità della partecipazione del nostro Paese” precisa Gay.
Rimane di fatto un sottodimensionamento dei fondi stanziati in Italia con un rapporto tra stanziamento pubblico per R&D e Pil pari allo 0,045% contro lo 0,054% in Germania. “Per raggiungere l’intensità di finanziamento pubblico dell’Ict tedesca occorrerebbero almeno 160 milioni di euro in più all’anno” precisa la ricerca.
Dove incidere
Il Rapporto individua tre assi per recuperare terreno: interventi a sostegno dell’offerta di ricerca e innovazione (ampliamento finanziamenti diretti, agevolazioni fiscali, realizzazione di poli di innovazione come all’estero, 1), interventi a sostegno della domanda (riqualificazione della domanda pubblica con contenuti mirati alle nuove tecnologie, 2) e interventi di filiera (trasversali tra domanda e offerta, per sostenere l’innovazione, 3).
“Oggi abbiamo la conferme che sono i temi che noi da sempre cavalchiamo – competenze tecnologiche, cloud, blockchain, AI – siano ormai sulle prime pagine di tutti i giornali. Ma perché il percorso sia più stimolante, servono tre impegni: riqualificare le persone, accrescere le competenze, insistere sulla formazione dei nostri ragazzi” puntualizza Gay. “La condivisione degli impegni con l’Europa, gli obiettivi di digitalizzazione, sostenibilità ambientale ed energetica – spiega Manfredi – sono una spinta per procedere”.
“Gli obiettivi e le risorse del Piano di Rilancio dopo l’emergenza sanitaria ribadiscono l’urgenza di questi interventi perché è dall’innovazione che partirà la stessa ripresa dell’economia europea” precisa Gay. E rimarca Manfredi: “In questo scenario è fondamentale il ruolo della ricerca, per consentire anche alle realtà industriali medie e piccole, tanto importanti per il nostro sistema economico, di attestarsi a una dimensione tecnologica superiore. In questo senso è strategico sviluppare al massimo le potenzialità dei dottorati industriali. Serve un potenziale ponte tra aziende e persone qualificate, serve apertura mentale. Credo che ricerca, formazione e impresa debbano sedersi attorno a un tavolo per definire una visione nuova della società, nella quale i cittadini vogliono essere più coinvolti e il ruolo delle competenze sta ritornando ad essere centrale”
E conclude: “La società oggi richiede più equità: dobbiamo fare in modo che la transizione digitale diventi una grande opportunità per avere una società più equa”. Il digitale deve ridurre i divari territoriali (tra Nord e Sud ma anche tra Italia e Europa), generazionali (giovani e anziani), culturali (titoli di studio italiani e stranieri). “E’ un momento complesso ma anche affascinante”. Si chiede un contributo fondamentale al sostegno della ricerca, da parte di imprese e PA, per delineare il futuro.
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