La capacità di sfruttare e di valorizzare i dati rappresenta oggi un’opportunità concreta per le imprese, al fine di migliorare il loro posizionamento, rafforzare la relazioni con i consumatori e ottimizzare le operation per lanciare rapidamente nuovi prodotti o servizi.

Solo le aziende che realmente riescono ad estrarre valore dai dati monetizzandoli si possono configurare come Data Master. Questo vale in particolare per il mondo del Consumer Products & Retail, seppure il settore manifesti in Italia una limitata capacità di governare il dato e di controllarlo. Come evidenzia un recente studio di Capgemini e come racconta Claudio Corso, head of CPRD Market Segment di Capgemini Italia

Dall’ultimo report del Capgemini Research Institute “The age of Insight” emerge che a livello globale le aziende dei comparti Consumer Products e Retail mostrano un ritardo significativo nello sfruttare il loro patrimonio di dati a supporto dei loro processi decisionali. Qual è la situazione in Italia?

“L’Italia, che è parte del campione analizzato dal nostro studio, non si discosta particolarmente dal trend evidenziato a livello globale; è importante però sottolineare che stiamo al contempo osservando una costante crescita di consapevolezza in merito al ruolo sempre più strategico che rivestiranno le iniziative in questo ambito come abilitatori chiave delle decisioni di business”.

Esistono differenze tra i due comparti?

“Le aziende del Consumer Products (spesso disintermediate da canali di vendita esterni e per cui l’esigenza di colmare “l’ultimo miglio” in termini profondità di conoscenza del consumatore e comportamento d’acquisto rappresenta sempre di più un obiettivo chiave) sono quelle che in media hanno avviato prima iniziative strategiche in questo ambito; non è un caso infatti che, come anche emerge dal nostro studio di settore, le aziende del comparto CP possano vantare una maggiore presenza percentuale di Data Master rispetto al comparto Retail (16% vs 6%); ci sono però altri indicatori specifici che vedono posizionate meglio le aziende del Retail, come ad esempio la capacità di introdurre nuovi prodotti e servizi facendo leva sull’utilizzo dei dati (38% delle aziende Retail vs 31% delle aziende CP). 

Inoltre, parlando dei due comparti, è importante sottolineare come il confine tra i due si stia assottigliando ed emergano continuamente modelli di business ibridi ed innovativi, spesso abilitati dagli strumenti digitali e dal cloud, oltre che dall’utilizzo dei dati”.

Quali sono le maggiori difficoltà delle aziende italiane di questi due settori nel diventare organizzazioni data-powered? Qual è l’impatto dell’emergenza sanitaria? Questa emergenza le ha spinte a sfruttare meglio i dati?

“La sfida principale per le aziende Italiane (e non solo) è rappresentata dalla capacità di allineare in maniera armonica l’intera organizzazione verso questo obiettivo, lavorando non solo sulla modernizzazione tecnologica dei propri sistemi informativi e sull’arricchimento del patrimonio dati con fonti esterne, ma anche sulla cultura basata sui dati (con potenziamento dei team che operano con i dati nei punti nevralgici aziendali) nonché sulla fiducia nei dati stessi (con focus su etica e governance dei dati).

Claudio Corso, head of CPRD Market Segment di Capgemini Italia
Claudio Corso, head of CPRD Market Segment di Capgemini Italia

Anche su questi temi, così come su tanti altri legati in senso più ampio alla digitalizzazione, a valle di un primissimo comprensibile momento di assestamento, l’emergenza sanitaria ha paradossalmente rappresentato un acceleratore in termini di adoption di nuovi strumenti e avvio di modelli innovativi per fronteggiare la situazione senza precedenti in cui ci siamo trovati; l’aumento delle iniziative di Direct to Consumer hanno incrementato la quantità e la qualità dai dati relativi ai consumatori ed ai loro comportamenti, rappresentando in alcuni casi l’unico punto di osservazione delle tendenze dinamiche di consumo; l’utilizzo ponderato dei dati attraverso canali digitali ha inoltre aiutato molti brand a colmare la distanza fisica dai propri consumatori in assenza dei tradizionali luoghi di acquisto, sviluppando community virtuali a rinforzo della brand awareness.

Tutto ciò ovviamente in aggiunta al boom registrato dal commercio elettronico, che ha raggiunto una porzione ampissima di consumatori che, in assenza dell’emergenza sanitaria, non si sarebbero ancora per molti anni avvicinati a questo canale, che invece è per molti oramai diventato consuetudine (e che rimarrà tale anche a quando ci lasceremo alle spalle le principali limitazioni date dall’emergenza)”.

In quali fasi le difficoltà sono più significative? Raccolta, elaborazione, gestione della qualità, integrazione, collaborazione?

“Tutte queste fasi hanno una loro importanza e solo il corretto indirizzamento di tutte le dimensioni permette veramente alle organizzazioni di scalare ad un livello più avanzato; tuttavia osservando anche i trend degli ultimi anni per questo tipo di iniziative, le sfide più importanti le troviamo nella collaborazione estesa all’interno dell’azienda e nella gestione della qualità; in termini di raccolta ed integrazione da anni ormai le aziende sono attive, ma l’eccessiva focalizzazione solo a queste fasi ha spesso rappresentato motivo di insuccesso di parte delle iniziative; in un contesto di riferimento in cui la proliferazione di dati eterogenei è sempre più la normalità… la chiave di volta deve essere data dall’attenzione alla qualità del dato accompagnata da un progressivo e graduale arricchimento ed ampliamento. 

Lo slogan, ormai molto diffuso, che meglio rappresenta questo approccio è “Think Big, Start Small, Scale Fast” che… non a caso è la linea guida con cui abbiamo avviato alcuni anni fa il PDC con Unilever”. 

Per saperne di più scarica il whitepaper The age of insight: How Consumer Products and Retail organizations can accelerate value capture from data

Leggi tutti gli approfondimenti della Room Get the Future You Want

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Condividi l'articolo: