La crisi profonda della sanità pubblica italiana, raccolta nel rapporto Istat-Sha (dedicato ai sistemi dei conti in sanità) è il punto di partenza del dibattito che ha animato la scorsa settimana la Digital Health Conference a Milano, perché seppure l’accento della manifestazione fosse sulla strategicità della tecnologia per trasformare la sanità italiana (con dati alla mano dell’analisi 2024 condotta da NetConsulting cube lungo lo stivale), la risposta che tutti cercano è come far fronte alle inefficienze di un sistema sanitario che vede crescere di anno in anno il numero delle famiglie che pagano le cure di tasca propria (+10,5%), rinunciano a visite ed esami (4,5 milioni di persone, più della metà per motivi economici), non fanno prevenzione (+18,6%) in regioni non in grado di garantire livelli di assistenza adeguati (solo la metà riesce), con personale sanitario demotivato, in fuga verso il settore privato o all’estero.
Parlare di digitale in questo scenario sembra un dettaglio ma non lo è, secondo i partecipanti all’evento milanese che ha radunato a Milano Cio e direttori generali della sanità pubblica e privata, che sta intraprendendo da anni un percorso di trasformazione spinta anche dai fondi del Pnrr, prossimi al termine (il 2026 non è poi così lontano). Finanziamenti che stanno portando benefici a tutto ciò che concerne l’integrazione del dato e una maggiore collaborazione tra il settore pubblico e privato, rivolta alla ricerca di efficienza, ottimizzazione dei costi, risparmio energetico. Sostenibilità. Ma accanto alle nuove progettualità, rimane cruciale la questione dei costi di manutenzione della tecnologia esistente. Vecchio e nuovo, una complessità che richiede la definizione di una governance precisa che riguarda applicazioni, infrastrutture, tecnologie hardware e software, per gestire in tempo reale un patrimonio tecnologico senza inefficienze.
Un mercato da 4,2 miliardi di euro
E’ un quadro complesso quello della sanità digitale, che vede ogni anno crescere l’attenzione e gli investimenti. “Il perimetro del mercato che noi consideriamo della sanità digitale comprende tre ambiti: l’informatica tradizionale (Ict), l’esternalizzazione dei processi gestionali e di controllo (Bpo) e i dispositivi medici che hanno hardware e software connessi – esordisce Annamaria Di Ruscio, amministratrice delegata di NetConsulting cube, raccontando i dati della ricerca sulla sanità digitale in apertura dell’evento organizzato insieme a G-Galley -. E’ un mercato che vale quasi 4,2 miliardi nel 2023, che cresce del 9,4% seppur con velocità differenti nelle varie componenti: +9,4% per l’Ict, +11% per i dispositivi medici, mentre decresce dell’1,3% l’area Bpo”.
Un mercato nel quale la sanità territoriale è la vera protagonista che sostiene la crescita, responsabile di più della metà del giro d’affari (2,2 miliardi di euro) accompagnata dalle regioni che generano un mercato complessivo da 700 milioni di euro, mentre le strutture private spendono 1,1 miliardi di euro in tecnologia.
Focus degli investimenti digital in quattro 4 ambiti: cybersecurity (+17%) che continuerà a crescere a doppia cifra nei prossimi anni; cloud (+19,9%) mercato che genererà una spesa complessiva di 266 milioni destinata a raddoppiare nel 2027; analytics, con 158 milioni (+21,8%) e Iot (276 milioni di euro, + 11%).
Alcuni passi fatti: Fse, dati e interoperabilità
Alcuni passaggi sono ormai nelle corde di tutte le amministrazioni. Tra questi il fascicolo sanitario elettronico (Fse), che sembra uno strumento consolidato, in crescita la sua diffusione e la percentuale di documenti che lo alimentano, anche con immagini radiologiche e dati di telemedicina. “Il Fse non è visto più come un obbligo ma come uno strumento utile per tutti gli attori coinvolti ed è questo l’aspetto di valore e differenziante rispetto alle interlocuzioni dello scorso anno” precisa Di Ruscio, seppure ogni regione si muova in autonomia sia per questioni di budget sia di competenze, con situazioni critiche che riguardano l’integrazione dei dati provenienti da ambulatori, reparti e da tutto ciò che concerne la degenza.
Essenziale rimane la questione dell’interoperabilità sia tecnologica sia organizzativa, per garantire che tutti i processi siano interconnessi, per un miglior funzionamento dell’intero sistema sanitario. Che va monitorato attraverso dashboard digitali che offrono visualizzazioni chiare e immediate delle performance per identificare aree di miglioramento, cambiamenti operativi, per favorire una cultura di responsabilità in cui le performance possono essere condivise, permettendo di prendere decisioni informate in tempo reale.
Sicuramente passi avanti si sono fatti sul tema dell’interoperabilità e della data strategy. “Dal momento che le prime azioni sul tema dell’interoperabilità sono state avviate, nel prossimi biennio ci si concentrerà sull’integrazione dei dati di tutti gli apparati e l’adozione di un clinical decision support system, cioè di un sistema di supporto alle decisioni cliniche. E’ in questa direzione che secondo noi deve andare il sistema sanitario nazionale: nella definizione di percorsi personalizzati, rendendo più efficiente tutto il patient journey – puntualizza Di Ruscio -. Interoperabilità sintattica e semantica registrano un gap tra sanità pubblica e privata. Per quest’ultima le progettualità sono già avviate, mentre la pubblica è in ritardo, con progetti pianificati nel biennio 2024-2025”.
Negli step più evoluti di interoperabilità è marcata la differenza tra chi ha effettuato l’assessment Emram (Electronic Medical Record Adoption Model) e chi no, premiando i primi che hanno avviato più progetti dimostrando un approccio volto alla pianificazione, alla misurazione e alla strategia a lungo termine, anche per la gestione dei dati, indicando una maturità digitale superiore. Un maturità che si misura anche in termini di un maggior allineamento tra direttori generali e Cio che devono lavorare in sinergia. “La stessa dinamica si registra per l’interoperabilità organizzativa. Anche in questo caso differenti velocità tra pubblico e privato con un privato decisamente avanti e un pubblico che sembra claudicante – continua –. La direzione tracciata sarà una naturale evoluzione verso l’aggiornamento dell’architettura dei dati, l’ampliamento dei dataset e, in particolare, l’integrazione con la Piattaforma Digitale Nazionale Dati (Pdnd). La domanda che sorge spontanea è se questo rappresenti veramente il primo passo verso la realizzazione dello European Healthcare Data Space”.
Allineamento sulla tecnologia
Oggi l’utilizzo della tecnologia in sanità – lato direttori generali – si lega a cruscotti per usi amministrativi, soprattutto in ambito finance, con rendicontazioni precise a scadenze anche mensili. Con una progettualità che riguarda anche il mondo HR e in particolare la pianificazione del personale per arginare il gravoso problema della mancanza di medici e infermieri. Una direzione sposata anche dai Cio – nonostante la differente velocità tra Nord e Sud – che nei prossimi 5/6 anni vedranno la tecnologia impiegata anche per terapie farmacologiche, gestione delle terapie intensive e delle emergenze. “C’è una crescente sintonia tra queste due figure fondamentali per le strutture sanitarie – precisa Di Ruscio -. Rimangono strategiche l’adozione di dashboard che permettano la governance ottimale degli apparati, per gestire manutenzione e ciclo di vita delle attrezzature ma anche per gestire la cybersecurity: oggi solo il 36% utilizza o ha intenzione di utilizzare un cruscotto per la sicurezza, a conferma che sul tema cyber c’è ancora molta cultura da creare”.
Pur sapendo che cybersecurity e privacy rappresentano pilastri fondamentali per garantire la protezione dei dati sensibili dei pazienti e la sicurezza delle infrastrutture digitali ma anche per preservare la fiducia nel sistema sanitario, garantendo la conformità alle normative sulla protezione dei dati personali. Un approccio che va a vantaggio anche della telemedicina che poggia su architetture di rete e disponibilità di banda tali da garantire una connessione stabile e una condivisione dei dati in tempo reale, in modo omogeneo nei vari territori.
La telemedicina, personalizzata
L’orizzonte della telemedicina si scontra ancora con le aspettative degli operatori del settore e dei pazienti. “La telemedicina rappresenta una risposta attesa da molti, con l’obiettivo di migliorare la gestione territoriale e affrontare problematiche assistenziali – spiega la ricerca -. Tuttavia l’uso del dato in telemedicina è ancora residuale, le progettualità principali sono ancora in fase di avvio, pertanto questo ambito più innovativo subisce ancora dei rallentamenti”.
La telemedicina permetterà di rilevare in tempi celeri segnali di deterioramento clinico (per prevenire complicazioni e pianificare ricoveri) fino alla definizione di una medicina di precisione con percorsi di cura personalizzati (“I direttori generali riconoscono in questo approccio la capacità rivoluzionaria della medicina personalizzata di trasformare l’assistenza sanitaria e definire un nuovo paradigma”, precisa Di Ruscio).
Ma prioritaria per arrivare alla cura personalizzata rimane l’analisi dei dati vitali che arrivano dai dispositivi medici con cui lavorare nell’ottica del miglioramento della cura. Fondamentale sarà poi monitorare i progressi per dettare piani personalizzati per il futuro. “In un contesto più ampio, è importante notare che, nella sanità generale, l’interazione con il paziente è attualmente trascurata. Il focus principale rimane sul monitoraggio della qualità dei percorsi di cura, evitando criticità nel processo – spiega Di Ruscio -. Tematiche come il riconoscimento del sentiment e la traduzione automatica sono considerate secondarie rispetto a queste priorità, creando un coro univoco di attenzione su cui gli attori del settore sono chiamati a lavorare. In definitiva, il panorama della telemedicina si presenta ricco di potenzialità, ma richiede un’attenta pianificazione e un impegno concertato da parte di tutti gli stakeholder coinvolti”.
Il tema delle liste d’attesa e dell’AI
Con l’approvazione del decreto sulle liste di attesa (4 giugno 2024), tema cruciale per il miglioramento dell’accesso ai servizi sanitari, sono stati potenziati i progetti avviati da Cio che riguardano sistemi di prenotazione online, presa in carico dei pazienti, gestione integrata dei dati sanitari e il monitoraggio in tempo reale delle liste di attesa. Ma è solo il primo passo: anche per la definizione delle liste d’attesa, nei prossimi anni, saranno la telemedicina e l’intelligenza artificiale a identificare pattern e intervenire a priori nella definizione di strategie e risorse.
Ma sull’AI si va ancora cauti. Se da una parte i direttori generali, detentori della vision, prevedono investimenti in AI per ridurre i costi del sistema sanitario, migliorare la qualità di vita delle persone, i Cio chiamati a calare in concreto le progettualità, sono più riflessivi, si concentreranno sulla fase di raccolta e analisi dei big data. “L’intelligenza artificiale si profila come un fondamentale alleato per la creazione di nuovi modelli operativi nel sistema sanitario italiano, che siano in grado di migliorare l’efficienza operativa, l’efficacia, la performance delle strutture sanitarie (liste di attesa, percorsi di cura, diagnosi), la gestione della presa in carico e la qualità del servizio erogato ai pazienti, il miglioramento della gestione della relazione con il paziente. Ma – continua Di Ruscio – la difficoltà maggiore nell’approcciare l’AI è comprendere effettivamente come usarla non essendoci letteratura e certificazioni a garanzia dei risultati ottenuti. Tra gli ambiti di utilizzo, il 57% del campione dichiara di avere in previsione progettualità relative al clinical support decision, mentre le regioni investiranno molto nel Population Healthcare Management come elemento di cambiamento”.
Il percorso sulle competenze
La tecnologia non può essere il solo fattore abilitante di progetti innovativi. Determinante è il tema delle competenze e la costruzione di team multidisciplinari. “Le leve indispensabili per la trasformazione digitale della sanità prevedono un percorso sinergico tra direzione generale, ingegneria clinica e IT – esordisce Giovanni Arcuri, Direzione Tecnica, Ict e Innovazione Tecnologie Sanitarie della Fondazione Policlinico Universitaria Agostino Gemelli -. Il dato al servizio di ricerca, diagnosi e cura, è un percorso circolare che attraversa tutti i reparti. Ogni attore coinvolto ha il suo ruolo ben definito, ma tutti protesi verso il raggiungimento di un obiettivo comune. Per questo il dato va letto attraverso tre componenti: la data engineering che prevede che i dati strutturati e non strutturati siano alla base di qualsiasi progetto e siano tra loro correlati in maniera strutturata per poterli usare in un lavoro multidisciplinare. La data science che prevede percorsi specifici dei dati, ad esempio estrapolando anche dai referti ambulatoriali dati utili per la ricerca. Infine, la data enrichment, un arricchimento delle piattaforma di ricerca con dati interni ed esterni”.
Secondo la ricerca di NetConsulting cube, il 31% dei Cio e il 16% dei direttori generali non prevedono assunzioni di nuovo personale. Qualora previste, le figure più gettonate sono negli ambiti architecture/IT strategy e personale con competenze di cybersecurity, IT service management e project management, proprio in ragione della necessità di ragionare sulla parte più organizzativa dei progetti più che tecnica specialista. I direttori generali oltre che sulla data science puntano a loro volta sulla parte organizzativa con il change management. Stessa situazione per l’ingegneria clinica. Un problema comune spesso è trattenere le risorse particolarmente qualificate e con un know-how appetibile sul mercato.
“In un sistema sanitario in cui stiamo chiedendo a professionisti di essere anche dei manager le aree da coprire sono pianificazione aziendale, business planning, principi di economia sanitaria ma non dimentichiamoci l’importanza delle competenze relazionali – precisa Federica Morandi, professore associato della facoltà di Economia dell’Università Cattolica -. Si deve essere in grado di ibridare le competenze. Tre i ruoli del domani nel settore sanitario: responsabile dell’innovazione, una figura che guida e promuove l’innovazione, fa da sentinella, capta l’innovazione e la spiega nella struttura. Il direttore sanitario 4.0 che si fa implementatore delle strategie per integrare i dati, figura apicale ma di coordinamento rispetto all’implementazione di cosa c’è di nuovo. Il patient journey manager, un coordinatore che lavora all’interno delle sanità a partire dalle case di comunità in grado di interagire con il paziente. I mondi delle università e delle aziende farmaceutiche dovrebbero essere allineate per far diminuire il gap: se si assottiglia significa che questi mondi hanno lavorato insieme, se si allarga significa che non hanno lavorato bene”.
I desiderata dei direttori generali
Le criticità da affrontare riguardano temi noti: il rallentamento delle gare che compromettono la tempestività dei progetti con conseguente aumento dei costi e scarsa pianificazione. La necessità di rispettare scadenze strette che porta a un’esecuzione affrettata dei progetti. La troppa burocrazia. Per non parlare delle resistenze culturali al cambiamento che richiede un lavoro importante sul change management per implementare nuove strategie e tecnologie. Un tema che si affianca alla necessità di aggiornare le competenze esistenti e attrarre nuovi talenti.
Fondamentali rimangono skill in ambito sicurezza e privacy dei dati per proteggere dati sensibili, senza che questo venga vissuto come ostacolo per sviluppare la progettualità. Ovvio, ma è bene sottolineare, quanto sia cruciale la sostenibilità finanziaria ed economica dei progetti nel lungo termine, bilanciando i costi iniziali con i benefici futuri, garantendo un uso efficiente delle risorse disponibili e trovando un punto di incontro tra il mondo della domanda e dell’offerta di tecnologia. “Quello che auspichiamo per la sanità italiana e tutti gli attori coinvolti è un movimento rivolto al miglioramento continuo. E’ necessario un lavoro di collaborazione tra tutti i soggetti facenti parte di questo complesso e variegato ecosistema. Vi è una carenza nella messa a fattor comune delle informazioni tra domanda e offerta, fondamentale per sviluppare una visione d’insieme”, conclude Di Ruscio.
Due progetti, Nord e Sud
Una visione d’insieme necessaria anche all’interno dei percorsi definiti di long term care con l’obiettivo sia di migliorare la vita dei pazienti che devono seguire periodi prolungati di terapia sia a supporto della valutazione degli impatti e della programmazione. “La digital health è a cavallo tra i diversi attori dell’ecosistema: pazienti, service provider, media e grande industria, enti regolatori – racconta Furio Gramatica, direttore Sviluppo e Innovazione della Don Carlo Gnocchi -. Il tutto all’incrocio tra diversi regolamenti non ancora ben saldati tra loro, come l’AI Act. Oggi riabilitazione e cure a lungo termini sono sotto i riflettori della sostenibilità in EU, ma servono partnership pubblico-privato che preservino gli interessi di tutti gli attori. Quindi è fondamentale il misurare i dati per valutare gli impatti e intervenire nella programmazione, per supportare i pazienti nella fase dopo il ricovero o a distanza, migliorando la qualità della loro vita e evitando l’ingolfamento delle strutture. L’ecosistema della salute del dopo non è ancora settato e ancora non si sa cosa il digitale possa fare. Quindi fondamentale la partnership tra pubblico e privato e l’industria per definire questi passaggi”.
Ma l’ecosistema tocca anche il paziente stesso, dal momento che uno degli obiettivi principali del cambiamento rimane la personalizzazione dei piani di cura, adattando le strategie terapeutiche e gli interventi alle caratteristiche individuali di ciascun paziente, rafforzando l’adesione alle terapie e promuovendo una gestione più consapevole della propria salute. In questo modo, si mira a migliorare i risultati clinici e a ottimizzare le risorse, creando un sistema sanitario più efficiente e centrato sul paziente.
Un caso su tutti, il progetto già avviato in Puglia, Rete Parkinson, per gestire una patologia complessa che richiede un monitoraggio continuo e personalizzato dai dati del paziente. ”Il problema principale era la difficoltà di coordinare le informazioni tra i diversi specialisti e centri di assistenza, con il rischio di ritardi nella diagnosi e nella definizione di piani terapeutici efficaci – spiega Concetta Ladalardo, Cio di Regione Puglia -. La soluzione è stata l’adozione di una piattaforma digitale che centralizza e digitalizza i dati clinici dei pazienti, come diagnosi, prescrizioni, test clinici e progressi terapeutici. La piattaforma permette anche l’integrazione con altri sistemi sanitari regionali e nazionali, garantendo una continuità di cura e migliorando l’accessibilità delle informazioni. Questo sistema è strutturato per assegnare specifici Piani Assistenziali e Riabilitativi in base al livello di rischio e di avanzamento della malattia”. I benefici della piattaforma sono significativi: i pazienti possono recarsi in qualunque centro regionale senza preoccuparsi di portare documenti o dati clinici, sicuri di ricevere cure coordinate e aggiornate, mentre i medici hanno accesso a uno storico completo della malattia, facilitando diagnosi rapide e interventi mirati. A livello regionale, la Puglia può monitorare il quadro epidemiologico della malattia, ottimizzando le risorse e migliorando la governance sanitaria.
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