Da diversi anni ormai si dibatte in merito alla questione del libero accesso ad Internet che dovrebbe essere riconosciuto come diritto umano fondamentale al pari di quelli globalmente riconosciuti come il diritto alla salute o la libertà di espressione.

Lo sviluppo delle tecnologie e dei nuovi sistemi di comunicazione e informazione tendono sempre più alla formazione di una società digitale, la quale però ha bisogno di poter accedere senza ostacoli agli strumenti necessari a renderla tale.
E’ necessario capire innanzitutto che cosa rappresenti Internet per i cittadini: essa è innanzitutto uno strumento che amplia la libertà di espressione ed inoltre è ormai diventata una piattaforma attraverso la quale si studia, si lavora, si eseguono operazioni bancarie e postali, si entra in contatto con la PA e si acquistano o vendono beni di qualsiasi genere.

Internet è quindi, almeno in chiave teorica, uno strumento di inclusione sociale, che permette di vivere in una realtà digitale che altro non è che la proiezione della vita materiale. Il digitale e il materiale quindi non possono più essere considerati due linee parallele distinte ma anzi, al contrario, si intrecciano e sono due facce della stessa medaglia.

E’ per tale motivo che dovrebbe essere consentito l’effettivo accesso a tale piattaforma a tutti indistintamente garantendo l’accesso alle tecniche di connessione e fornendo le conoscenze di base dell’Ict, ossia le conoscenze relative ai sistemi di comunicazione che consentono agli utenti di creare, immagazzinare e scambiare informazioni. L’obiettivo dovrebbe essere quello di garantire una reale inclusione sociale digitale attraverso la formulazione del libero accesso ad Internet come diritto sociale.

Il problema è che, per quanto se ne sia parlato e per quanto la questione sia nuovamente di fondamentale importanza a causa del difficile momento storico che stiamo vivendo dovuto all’emergenza da Covid-19, ancora una volta è venuta alla luce una problematica organizzativa e di attuazione di una serie di disposizioni che sostanzialmente non hanno visto ancora concretamente la luce.

Accesso a Internet in Italia

La questione non è assolutamente nuova e nel corso degli ultimi anni è stata affrontata diverse volte, sia a livello nazionale che a livello europeo ed internazionale ma i risultati raggiunti non appaiono ancora soddisfacenti.

Stefano Rodotà - Giurista, politico ed accademico
Stefano Rodotà – Giurista, politico ed accademico

Per quanto riguarda l’Italia, appartiene alla Commissione per i diritti e i doveri di Internet, istituita nel 2014 e presieduta da Stefano Rodotà, noto giurista nonché Garante per la Privacy dal 1997 al 2005, l’elaborazione della Dichiarazione dei diritti in Internet del 2015, un testo che ha disciplinato per la prima volta il diritto dell’accesso ad internet fino ad allora non considerato minimamente nonostante la velocità degli sviluppi tecnologici degli ultimi vent’anni.

La Dichiarazione, all’art.2, riconosce l’accesso ad Internet come diritto fondamentale della persona e condizione per il suo sviluppo individuale e sociale, che ogni persona vi deve accedere in condizioni di parità e che le istituzioni pubbliche devono garantire il superamento di ogni forma di divario digitale tra cui quelli determinati dal genere, dalle condizioni economiche oltre che da condizioni di vulnerabilità personale e disabilità.

Ancor prima, nel 2010, è stato lo stesso Rodotà a proporre l’inserimento di un art. 21-bis all’interno della Costituzione che riconoscesse il diritto di accesso ad Internet come diritto fondamentale strettamente connesso con l’art. 3 sul diritto d’eguaglianza e con l’art. 21 sulla libertà di manifestazione del pensiero. Tale proposta è stata ripresa successivamente da altri parlamentari ma è rimasta finora ad uno stato embrionale e non ha avuto risvolti pratici.

Alcuni impulsi sono quindi stati dati e un punto d’inizio è stato apposto affinché si potesse concretizzare un qualche risultato ma ad oggi la suddetta Disposizione appare ancora molto lontana dall’aver trovato una specifica attuazione. Come anticipato, il problema è riemerso negli ultimi tempi caratterizzati dall’emergenza sanitaria da Covid-19 poiché si è reso necessario interrompere le attività quotidiane dei cittadini e trovare in tempi piuttosto brevi il modo di rendere possibile la loro prosecuzione da casa.

Non si tratta solo dello smart working ma anche della prosecuzione dell’attività scolastica e universitaria, dell’accesso alle Pubbliche Amministrazioni, dell’effettuazione di operazioni bancarie, di fare la spesa online o anche solo alla possibilità di effettuare una video chiamata ad un amico o una call di lavoro. Sembra semplice pensare a modalità di svolgimento da remoto di quelle che sono normali azioni quotidiane ma la realtà è stata che in effetti il nostro Paese non era sufficientemente preparato per lo svolgimento online delle suddette attività.

Uno dei problemi più evidenti è stato sicuramente quello di consentire una prosecuzione dell’attività didattica senza prolungate interruzioni per gli studenti e per evitare di inficiare l’anno scolastico in corso. Non solo la maggior parte degli istituti scolastici non ha disposto immediatamente degli strumenti necessari per la prosecuzione delle lezioni da casa ma un altro aspetto da non sottovalutare è che i beneficiari delle lezioni online non disponevano tutti dei medesimi strumenti necessari per lo svolgimento dell’attività didattica a distanza.

Questo è solo un esempio che si ripercuote su tutti gli altri aspetti della vita di un individuo e che non fa che creare dei divari sociali non indifferenti, attraverso un’operazione inversa di esclusione invece che di inclusione. In situazioni di emergenza, quindi, ciò che si può fare è solo aggiustare il tiro attraverso l’apposizione di “pezze” che in qualche modo evitino uno collasso totale del sistema. Eppure, dal momento dell’emanazione della Dichiarazione ad oggi sono passati ben cinque anni ed in tal senso sono tante le soluzioni pratiche che si sarebbero potute apportare.

Accesso a Internet, cosa dice l’UE

Per quanto riguarda invece le soluzioni apportate dall’Unione Europea, è stato emanato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio il Regolamento (UE) 2015/2120 sulle misure riguardanti l’accesso a un’Internet aperta, che modifica la direttiva 2002/22/CE e il regolamento (UE) 531/2012, con il quale all’art. 1 “definisce norme comuni per garantire un trattamento equo e non discriminatorio del traffico nella fornitura di servizi di accesso ad Internet e tutelare i relativi diritti degli utenti finali”.

Uno dei traguardi più importanti raggiunti da tale regolamento è stata certamente la previsione dell’art. 6 bis che, a decorrere dal 15 giugno 2017, ha disposto l’abolizione dei sovrapprezzi del roaming al dettaglio nei confronti dei clienti in roaming in qualsiasi Stato membro per l’effettuazione e la ricezione di chiamate, l’invio di Sms in roaming e per l’utilizzo di servizi di dati in roaming e nessuna applicazione di una tariffa generale per consentire l’utilizzo all’estero di apparecchiature terminali o servizi.

Qualche anno prima, il Consiglio per i Diritti Umani dell’Onu ha sancito con una risoluzione del 2012 la libertà di espressione in rete come diritto fondamentale dell’uomo: esso è stato il primo documento che ha invitato tutti gli Stati membri a tutelare la libertà di espressione online come parte integrante dei diritti inalienabili dell’uomo sottolineando come i diritti umani su Internet debbano essere protetti e tutelati allo stesso modo di come lo si fa nel mondo materiale.

Sebbene quindi degli sforzi siano stati fatti, più a livello teorico che pratico, occorre ora più che mai incentivare il libero accesso alla rete per abbattere le disuguaglianze che ancora imperversano in tale campo cercando di restringere ancora di più due limiti che caratterizzano la nostra società: quello infrastrutturale e quello culturale.

Probabilmente quello più difficile da abbattere è proprio quest’ultimo ma si auspica che le problematiche pratiche riscontrate negli ultimi mesi e la necessità di non far precipitare le nostre esistenze in un vortice senza ritorno costituiscano degli incentivi per trovare soluzioni idonee e durature volte ad una maggiore apertura al mondo digitale e che servano a migliorare e a facilitare la qualità della vita di tutti non solo ora che ne abbiamo estrema necessità ma anche e soprattutto per il futuro.

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