Il report Veeam Data Protection Trends 2020 fotografa la percezione delle grandi aziende su cinque macro aree: la protezione dei dati (data protection), l’impatto per la perdita dei dati e la mancata disponibilità applicativa, i progetti di trasformazione digitale, il backup non solo inteso come protezione delle informazioni, e il cloud anche come risorsa per indirizzare questi bisogni.
Veeam ha commissionato la ricerca a Vanson Bourne che ha coinvolto oltre 1.500 aziende (decisori di business e IT) a livello globale (22 Paesi) di tutti i comparti; si tratta di realtà medio/grandi con oltre 5mila dipendenti, la maggior parte non clienti dell’azienda. La ricerca è interessante perché fanno parte del campione anche 246 realtà italiane e perché individua alcuni trend che guideranno le strategie aziendali nel corso dell’anno.

Ne parla Alessio Di Benedetto, responsabile della prevendita per la region del Sud Europa di Veeam. L’azienda (oltre 4mila dipendenti) ha chiuso il 2019 con un fatturato di oltre 1 miliardi di dollari, conta come clienti oltre l’80% delle aziende Fortune 500 (sono 375mila complessivamente) e da 12 anni cresce con un approccio al mercato al 100% attraverso il canale, in 160 Paesi. Dall’offerta software di backup per la protezione dei workload virtuali, il portafoglio si è evoluto ed oggi Veeam offre a tutto tondo soluzioni di cloud data management in grado di assicurare la disponibilità del dato in ogni ambiente.

Alessio Di Benedetto Veeam
Alessio Di Benedetto, responsabile della prevendita per la region del Sud Europa di Veeam

“I trend per quanto riguarda i temi oggetto dell’indagine – attacca Di Benedetto – risentono naturalmente degli eventi importanti a livello globale ed in questo senso l’emergenza sanitaria, rispetto all’inizio dell’anno – in cui si discuteva delle tensioni politiche tra i Paesi (soprattutto in medio oriente e riguardo la guerra commerciale tra Usa e Cina) – ha spostato il baricentro dell’attenzione sull’importanza dell’accesso ai sistemi per proseguire l’attività di business. Governance, compliance e sicurezza sono diventati quindi centrali, tanto più per l’impatto diretto sui progetti di digital transformation.

Ecco, in questo contesto il report evidenzia uno shift significativo verso lo spostamento dei server su cloud gestito (dal 32% al 41%) a scapito dell’utilizzo dei server fisici, con l’Italia sostanzialmente allineata alla tendenza. Interessante il dato relativo alla percezione del gap sulla reale disponibilità applicativa tra quanto velocemente si vorrebbe recuperare la disponibilità delle stesse e quanto tempo invece serve realmente per farlo. E’ un gap percepito dal 73% delle aziende intervistate (68% quelle italiane) con il 69% delle aziende (65% in Italia) che vivono il cosiddetto “protection gap” ovvero la differenza tra la quantità di dati che pensano di poter perdere e la frequenza effettiva dei backup necessari per non perderli.

Backup e server, come cambia lo scenario nei prossimi due anni
Backup e server, come cambia lo scenario nei prossimi due anni

“Le sfide sulla data protection e il data management si legano in Italia, come nel resto del mondo, non solo a carenze di budget, ma anche alla carenza di competenze specifiche e di risorse umane – dettaglia Di Benedettocon il problema, per il 25% degli intervistati, di carenze di staff da indirizzare alle nuove iniziative”. Nei dodici mesi a venire i timori legati alle minacce di cybersecurity (27%), le sfide sulla corretta implementazione delle norme richieste dai regolamenti (30% in Italia) e legate all’incertezza riguardo gli scenari geopolitici (31%) sono quelle che preoccupano di più le nostre aziende. 

Per un’azienda su due una moderna strategia di data management deve prevedere l’utilizzo di risorse cloud, sia per il disaster recovery (48% in Italia), sia per gestire in modo efficiente i workload (49% in Italia) e per spostare i carichi di lavoro tra cloud diversi (48%). Le aziende rimarcano inoltre il bisogno di poter sostenere queste sfide sfruttando strumenti agili di orchestrazione ed automazione anche per indirizzare correttamente i progetti di digital transformation (DT). Solo il 23% delle aziende ritiene di essere a buon punto in proposito, con il 45% di esse invece ancora in fase di implementazione e circa il 30% in fase iniziale.

La DT è vista come funzionale non solo al risparmio dei costi, ma soprattutto all’offerta di nuovi servizi, e al miglioramento di quelli esistenti anche in termini di operations interne. “Anche in questo caso, però, – evidenzia Di Benedettotra le difficoltà le aziende denunciano la mancanza di competenze e risorse sufficienti (il 46% delle aziende del campione italiano), con il 35% di esse che lega le difficoltà ai vincoli dati da sistemi e tecnologie legacy ed il 27% alla mancanza di budget”. La proposta di Veeam per questo punta sulla facilità d’uso e sull’integrazione con i tool di AI per sfruttare automazione ed orchestrazione a proprio vantaggio, oltre che ad importanti iniziative di canale per supportare la formazione dei clienti in risposta alla mancanza di competenze.

Dati e app, anche quelli “non critici” sono importanti

Al centro resta il tema della perdita dei dati legata all’interruzione dei servizi. Il 95% delle organizzazioni denuncia di averne subite nel corso dell’anno per una media di diverse ore (circa 255 minuti), sul 10% percento dei propri sistemi; pur avendo speso circa 485mila dollari di media su tecnologie di data protection e data management.

Un dato interessante al riguardo è che oggi le aziende considerano ad alta priorità circa il 51% dei propri dati, ma di fatto il costo del downtime delle applicazioni critiche come di quelle non critiche vale cifre quasi equivalenti. Un dato che sottolinea come effettivamente tutti i dati siano importanti. Tanto che per circa il 74% dell’intero parco applicativo le aziende affermano di poter tollerare un downtime inferiore ad un’ora. Gli effetti che preoccupano di più sono quelli relativi al danno sulla customer confidence e al brand (complessivamente per il 49% delle organizzazioni), ma anche (per il 10%) si stima l’impatto sulla fiducia degli stessi dipendenti.

Gli utilizzi del backup

Se proteggere il dato con il backup è mandatorio per il business, e per i regolamenti vigenti, è vero anche che “il backup è utilizzato dalle aziende non solo come ‘copia’ di riserva”, gli utilizzi più diffusi riguardano infatti la possibilità di sfruttare il backup spostandolo su un sito remoto per una strategia di disaster recovery, ma anche per esempio per il data-mining. I dati di backup servono per i progetti di auditing interni ed esterni senza impattare sulla produzione, ed ancora per testare le patch, la reportistica e ancora le copie di dati vengono utilizzate per lo sviluppo di nuove applicazioni basandosi su dati reali di produzione, così come per disporre di data set messi al sicuro dopo un periodo di “quarantena” e di analisi specifiche con i prodotti anti-malware.

La ricerca racconta che circa il 42% delle informazioni viene effettivamente conservata per motivi di retention di lungo termine, ed il 33% per esempio per il riutilizzo nei progetti di DevOps, un utilizzo quest’ultimo proiettato in crescita nei prossimi due anni. Solo una percentuale tra il 10 e il 14% delle aziende non prevede di riutilizzare i dati nei prossimi dodici mesi come viene evidenziato nella seguente infografica. 

I possibili utilizzi del backup secondo le caratteristiche dei dati
I possibili utilizzi del backup secondo le caratteristiche dei dati

Data protection e cloud, connubio vantaggioso

Il cloud in questo contesto si rivela digital enabler visto con particolare favore da parte delle aziende. Di Benedetto: “Se ancora il 14% delle aziende non ha una strategia di backup ed il 32% utilizza strumenti on-premise per farlo, circa il 54% delle organizzazioni si affida a servizi di cloud-backup gestiti da un provider o direttamente. Nel 2022 però le aziende prevedono di sfruttare i servizi cloud (gestiti da un provider o internamente) nel 77% dei casi, con un evidente shift verso il cloud“. Sono percentuali che rispecchiano anche le intenzioni delle aziende italiane. Anche per quanto riguarda invece le strategie di business continuity e disaster recovery, i dati che le aziende prevedono di affidare ai cloud provider entro i prossimi due anni sono circa il 43%, scendono al 18% dal 26% quelli affidati alle facility di disaster recovery hot-site e dal 30 al 27% la percentuale di quelli gestiti in ottica di business continuity e disaster recovery sui propri data center. 

Un esempio significativo, sul totale delle aziende coinvolte nell’indagine circa l’80% usa almeno un servizio di Office 365 e ben il 68% delle realtà che lo fanno si affidano ai servizi di backup built-in in Office 365 (il 27% invece utilizza soluzioni di terze parti). E’ un ultimo dato significativo. Di Benedetto ricorda che la responsabilità sulla protezione dei dati non è del cloud provider ma del titolare dei dati, e i rischi anche solo di una cancellazione involontaria dei dati, propagata in cloud, potrebbe avere effetti negativi davvero importanti”.

Il backup su Office365
Il backup su Office365

Gap tra disponibilità applicativa attesa e reale, effettiva protezione dei dati rispetto a quella desiderata, skill shortage e scarse risorse umane disponibili sono quindi i punti chiave critici che l’approccio al cloud – ma soprattutto l’utilizzo di soluzioni in grado di orchestrare ed automatizzare le procedure – potrebbero correttamente indirizzare, in un contesto in cui è importante tenere conto che “riportare” on-premise i dati dal cloud per proteggere le informazioni si rivela sempre più costoso. I servizi oggi disponibili non offrono solo cost saving ma oltre alla protezione in cloud consentono anche di accelerare le possibilità di business. 

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