Si è aperta l’edizione 2020 del Digital Health Summit, l’annuale evento di riferimento per l’ecosistema della sanità italiana. Una quattro giorni che prosegue in settimana in una versione tutta digitale, per consentire ancora una volta un confronto sul tema della trasformazione digitale del settore sanitario, quest’anno inevitabilmente focalizzato sul post Covid-19.
La stanza virtuale di inaugurazione dell’evento accoglie un primo DHS Talk, un grande tavolo per fare il punto sulle proposte programmatiche che associazioni, stakeholder e sistema dell’offerta auspicano per il futuro della sanità. Un momento di dibattito necessario a definire quali siano le leve da utilizzare in questo contesto.
E’ Annamaria Di Ruscio, amministratore delegato NetConsulting cube – sul palco al fianco degli altri ideatori dell’evento, Alberto Ronchi, presidente AISIS e Paolo Macrì, presidente GGallery – a moderare il dibattito e dialogare con gli ospiti connessi.
“Con questa iniziativa vogliamo abbracciare l’Italia in un confronto che dia continuità con il passato – esordisce Di Ruscio -. L’emergenza Covid-19 ed il suo impatto sul mondo sanitario, dell’economia, del lavoro e della società in generale non poteva che essere il punto di partenza ed il cuore della riflessione dell’edizione di quest’anno. Non si tratta di un evento celebrativo, né di accusa, ma di un atto assolutamente propositivo per mettere a fattor comune esperienze, lezioni apprese ed esperienze di resilienza”.
“L’obiettivo che ci poniamo in questa quinta edizione si prefigura ancora più importante – dichiara Ronchi -: raccogliere e condividere le esperienze ed innovazioni dei protagonisti della voce dell’offerta e del sistema sanitario per superare la crisi e porre le basi per la sanità del futuro“.
“La presenza di oltre 600 partecipanti iscritti ad oggi è un segnale che la decisione di resistere e di ripetere il DHS in questa modalità alternativa, anche grazie al supporto dell’Advisory board, è quella giusta, anche per dare una risposta alla community che ce lo richiedeva”, sottolinea Macrì.
Tra esperienze virtuose e criticità
Si apre così un’ampia discussione che vede protagoniste le esperienze positive seppur nei drammatici mesi scorsi, da replicare per ripensare una sanità migliore dopo l’emergenza Covid-19. Emerge in particolare l’importanza di un corretto modello di sanità territoriale, di prossimità, che deve essere il punto di riferimento per il malato.
A rappresentare il punto di vista di chi lavora in prima linea su questo fronte: dottori di medicina generale, pediatri, medicina di gruppo, strutture intermedie di cura, ospedali di comunità, opportunamente dotati di tecnologie e strumentazioni, integrati nella filiera della salute regionale.
A rappresentarle, tra gli altri, Massimo Annicchiarico, direttore generale dell’azienda ospedaliera San Giovanni Addolorata, che si concentra sul tema della resilienza: “Nel suo pieno significato, resilienza vuol dire adattamento, ma non necessariamente risolutivo. Nel contesto che stiamo vivendo, il rischio è dunque quello di ritornare allo status quo una volta superata la pandemia. I temi di cui discutiamo oggi, come la mancanza di competenze, le criticità nelle attività di procurement (strategico è infatti potere disporre di un modello di procurement agile, che premi competenze e vera capacità di innovazione, disseminazione e tecnologie duali, time-to-market); e il ritardo del digitale sul territorio, sono le stesse di cui discutevamo in epoca pre-Covid. Gli esiti della fase che viviamo saranno dunque davvero un patrimonio? Me lo auguro ma non è scontato e temo invece che il rischio sussista. Le transizioni vanno gestite, altrimenti sortiscono solo effetti quantitativi e non qualitativi”.
Nino Cartabellotta, presidente Fondazione Gimbe – una realtà che vuole favorire la diffusione e l’applicazione delle migliori evidenze scientifiche con attività di ricerca, formazione e informazione scientifica, per contribuire alla sostenibilità di un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico -, parla dell’impatto della pandemia da Coronavirus e della necessità di conoscerne le dinamiche per interpretare i dati al fine di contenere una seconda ondata. Un obiettivo ostacolato da molte criticità: “I tagli alla sanità del passato sono stati scaricati sul personale sanitario, indebolendolo alla base – spiega -. C’è poi una costante concorrenza stato-regioni che non aiuta. Bisogna conoscere a fondo le dinamiche della pandemia per mettere in atto delle strategie. E il rilancio non deve essere solo una questione di denaro, ma di riprogrammazione dei processi, con logiche indipendenti dai finanziamenti. Pertanto, la riforma del sistema sanitario va fatta prima dei finanziamenti, definendo in anticipo in quale cornice debbano essere impiegati”.
In rappresentanza delle istituzioni, interviene Mauro Grigioni, responsabile del Centro nazionale tecnologie innovative in sanità pubblica dell’Istituto Superiore della Sanità, a confermare la necessità di una programmazione dei processi dove la tecnologia diventi la chiave per mettere a frutto l’esperienza Covid. “Telemedicina, App e televisita sono gli asset al centro di questa pandemia, che hanno però messo in evidenza come la connessione non sia presente in tutto il paese in modo uniforme. Connettere il territorio è dunque un must, insieme a quello di creare un sistema informativo unico e condivisibile. Bisogna partire dal territorio per una pianificazione strategica e una gestione condivisa dei dati. Big data engine per la cura personalizzata, uso diffuso di 5G e Iot possono generare proposte creative. Molte regioni lo hanno già fatto per prendere decisioni tempestive sul territorio.”
Riprogettare il digitale, lato azienda
Nel corso della tavola rotonda, proposte e suggerimenti per il sistema salute arrivano dagli advisory board e dagli sponsor. “Qualche anno fa parlavamo di medicina di precisione, telemedicina, real world data, per uscire dalla dinamica a silos – interviene Massimo Scaccabarozzi, presidente Farmindustria -. Ci aspettavamo progressi che sono ancora inadeguati. Oggi si è diffuso il monitoraggio, l’uso di device e big data, ma siamo ancora lontani dall’obiettivo. Il covid ci ha portato una grande opportunità per progettare una strategia digitale univoca. Cosa dobbiamo fare ora?” Il manager detta alcune linee guida per il futuro: “Continuare a semplificare i processi di cura costruendo condizioni per la digitalizzazione, ma in sicurezza. Integrare il canale fisico con il digitale. Creare un piano regolatorio nazionale uniforme per i servizi di telemedicina e una piattaforma nazionale dati per abbattere i silos. E’ un’occasione che non possiamo sprecare”, afferma.
L’emergenza ha messo in luce il ruolo centrale dell’intera filiera del Life Science. Industrie farmaceutiche, dei dispositivi medici e dei dpi, sistema sanitario nazionale della cura e della prevenzione, da considerare un bene fondamentale per il benessere e la crescita del Paese. Occorre su questo fronte mettere a fuoco l’importanza delle infrastrutture, della ricerca, della capacità di attrazione dei talenti, del reshoring.
In rappresentanza del sistema dell’offerta, Giuseppe Banfi, managing director di Biogen Italia, realtà impegnata nell’innovazione in ambito neurologico nel servire i malati cronici ad alta complessità, sostiene: “Per portare valore nella sanità bisogna ripensare il percorso di cura e come la tecnologia può apportare istruzione sul potenziale del proximity care”.
Le sue sintetiche ricette: “evitare la demonizzazione pubblico-privato ma creare al contrario sinergie, focalizzandosi sull’importanza dell’integrazione dei dati”.
Giorgio Moretti, presidente di Dedalus, vuole dare un messaggio concreto e sottolinea lo sbilanciamento tra cura clinica e sanità. “Oggi sussiste una disparità di strumenti a sfavore della clinica, mentre osserviamo una presa di coscienza che le tecnologie possono disegnare modelli di clinica, non solo di sanità. Distribuire il dato clinico è possibile ma serve agire come Sistema Paese e con un confronto all’interno dell’Unione Europea per creare un ecosistema strutturale. Bisogna aiutare i medici ad aiutare i pazienti”.
Dario Buttitta, direttore generale Pubblica Amministrazione e Sanità di Engineering: tra le cose da mettere a fattor comune idealizza una “roadmap per dare vita al dato e offrire indicazioni strategiche per esempio sulle curve epidemiologiche. Trasversalità, con il cittadino al centro. Questa situazione ci ha insegnato che il paradigma della sicurezza che abbiamo va rivisto. Un ecosistema complesso richiede la revisione dei processi e un tavolo di regia come compito del governo centrale per definire le regole del gioco. Data governance e regole sulla protezione dei dati, in un approccio di riprogettazione e con tecnologie inclusive come passaggio epocale”.
Michele Porcu, senior director for Strategy & Transformation di Oracle, interviene a sottolineare: “Lavorare sull’integrazione di processo e organizzativa ma sulla base del dato, dove si rompono i silos regionali e nazionali per renderlo più fruibile, sicuro, con architetture resilienti ed affidabili, business continuity e disaster recovery per gestire la corruzione.
Il tutto su un modello di servizio enterprise anche per il mondo della sanità, che deve diventare la spina dorsale di tutti i sistemi per predire i percorsi futuri”.
Alessandra Mazzucco, Healthcare market partner di Reply, auspica una “visione europea, meno provinciale e nazionale. Tra le leve da usare per la digital transformation nella salute, la più importante è l’integrazione, perché i dati devono circolare e tutti gli attori collaborare affinché non si aggiunga complessità ma semplificazione. Potenziare i big data per sostenere una sanità di prossimità e acquisire la consapevolezza che la distanza porta ad una sfida, il gemello virtuale sulla spinta dell’intelligenza artificiale”.
Messe in luce su quest’ultimo fronte le potenzialità che il Digital Twin può portare alla Sanità, applicato ad esempio al superamento della logica attuale del Fascicolo Sanitario Elettronico, o applicazione a livello di ospedale, parlando di ospedale virtuale che sfrutta piattaforme per il pre-triage o per ricevere consulenze specialistiche di medici esterni; o ancora uno strumento per la sperimentazione dei farmaci, in particolare quelli di ultima generazione, testando benefici ed effetti collaterali.
Tanti dunque i temi trattati e ancora aperti, che danno spazio al digitale come strumento per garantire assistenza senza perdere in qualità, efficienza ed efficacia dei processi. Il dibattito è ancora aperto e sarà sviscerato in questi giorni come viaggio in 12 stanze virtuali dall’emergenza verso il futuro della sanità.
Approfondimenti e reportage nel sito dedicato alla manifestazione, Digital Health Summit 2020
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