Mai come in questi tempi difficili l’indice parla. Ti fotografa puntuale, ti aiuta a prendere decisioni, ti mette in discussione. Due in particolare meritano attenzione questa settimana, restringendo il campo al nostro settore: digitale, IT, tecnologico. Utili.
Il primo, articolato e complesso, è il nuovo indice Idc che misura la resilienza digitale delle aziende a livello mondiale (Digital Resiliency Investment Index di Idc, ottobre 2020) dimostrando come la crescita costante degli investimenti in tecnologie migliori la capacità di rispondere e adattarsi alle interruzioni del business delle aziende. Ma frantuma, così facendo, non solo la definizione di resilienza utilizzata pre-Covid, ma anche la relazione passata tra i Cxo e Cio. Un bel saggio di teoria.
Il secondo di Vanson Bourne (Digital Transformation Index di Dell Technologies, ottobre 2020) fotografa quanto davvero le aziende abbiano capito che la tecnologia possa fare la differenza e vogliano investirci in futuro. Con uno spaccato interessante sui dati italiani. Un bel passaggio dalla teoria alla pratica.
Partiamo dall’Index Idc, in modo dettagliato
Il Digital Resiliency Investment Index di Idc mostra come la capacità di resilienza delle aziende cresca al crescere degli investimenti in cloud, collaboration, sicurezza. Ma anche come ragionare solo a breve termine, nell’emergenza, sia ben diverso dal gettare le basi per una resilienza futura e una trasformazione digitale reale.
Quello che abbiamo visto in questi mesi è stato il “frantumarsi” delle strategie impostate dalle aziende prima del marzo 2020, in precedenza considerate certezze. Le più evidenti argomentate da Rick Villars, Group VP Worldwide research di Idc.
1 – La business continuity così come era pensata in passato (garantita da data center in siti secondari, backup tradizionale e replica dei dati) si è rivelata inadeguata e la necessità di garantire le operation da remoto con accesso a dati e risorse ha evidenziato colli di bottiglia difficili da gestire (prestazioni di rete, assenza di dispositivi, gestione accessi, sicurezza) innescando un forte aumento dell’uso di strutture basate sulla colocation con solide opzioni di interconnessione di rete.
2 – La supply chain ha subìto uno scossone, in molti casi interni ed esterni. Così, la collaboration ha velocemente preso il sopravvento per gestire da remoto personale e risorse (con la conseguente spinta su soluzioni as a service, smart working, cambio di cultura aziendale) e le aziende hanno lavorato sul rapido sviluppo e sulla distribuzione di nuove applicazioni per rispondere alla richieste del business (app pubbliche, private, e-commerce, e-banking, didattica…).
3 – La necessità di essere resilienti in breve tempo ha messo in discussione il concetto stesso di resilienza. Cosa significa davvero? Due le accezioni in passato: Ceo e CxO, concentrati sulla resilienza aziendale, la definivano come “la capacità di un’organizzazione di rispondere alle interruzioni dell’attività, ripristinare le operazioni aziendali in modo tempestivo e mantenere il proprio obiettivo”. Cto e Cio, concentrati sulla resilienza IT, la etichettavano come “la capacità di un’organizzazione di mantenere livelli di servizio accettabili attraverso e oltre le gravi interruzioni dei propri sistemi IT”. Oggi questa distinzione non esiste più: la resilienza aziendale non è diversa dalla resilienza IT.
La definizione si fa così unica, nelle parole di Stephen Minton, VP Customer Insights & Analysis di Idc. “La resilienza digitale si riferisce alla capacità di un’organizzazione di adattarsi rapidamente alle interruzioni del business sfruttando le capacità digitali non solo per ripristinare le operazioni aziendali, ma anche per sfruttare le mutate condizioni. Come ha dimostrato l’emergenza Covid-19, la capacità di rispondere rapidamente ed efficacemente a cambiamenti imprevisti nell’ambiente aziendale è fondamentale per il successo a breve termine di un’organizzazione. Per prepararsi a future interruzioni dell’attività, le aziende hanno però bisogno di piani che consentano loro di adattarsi invece di rispondere solo. Gli investimenti nelle capacità digitali non solo consentono a un’organizzazione di adattarsi alla crisi attuale, ma anche di trarre vantaggio dalle mutate condizioni a contorno”.
Tornando al Digital Resiliency Investment Index, fin qui solo accennato, due i fattori presi in considerazione da Idc: gli investimenti in tecnologie digitali core e gli investimenti in innovazione digitale.
I primi (Digital Core Investment) comprendono la spesa per quelle tecnologie che garantiscono la continuità del business e la resilienza digitale (cloud, sicurezza, collaboration, progetti di trasformazione digitale) e il loro peso aumenta man mano che la spesa IT tradizionale e legacy si indirizza verso le nuove tecnologie. I secondi (Digital Innovation Investment) misurano mensilmente l’impegno delle imprese nel riallocare gli investimenti IT (attuali e previsti) sulle tecnologie innovative oltre la fase emergenziale, non in semplice risposta alla crisi, ma in un progetto di impresa.
Analizzando entrambi i fattori (in crescita), Idc prevede che la spesa per la resilienza digitale accelererà anche nel 2021 e questo porterà un impatto positivo anche sull’economia. “I prossimi mesi potrebbero esercitare una maggiore pressione su alcune aziende per rispondere alla seconda ondata dell’emergenza sanitaria – commenta Minton -. Quello che abbiamo imparato è che le aziende che avevano già adottato tecnologie cloud, digitali e collaborative si sono trovate nella posizione migliore per gestire una crisi che nessuno avrebbe potuto prevedere. La resilienza digitale dei prossimi 6-12 mesi rifletterà anche la velocità con cui le aziende saranno in grado di orientare i propri investimenti tecnologici fatti nel 2020, anche se con budget limitati dall’incertezza economica“.
Premierà chi ha osato tenendo conto che gli investimenti varieranno nel tempo in base al mutare delle condizioni. E Ceo, Cxo, Cto, Cio dovranno ragionare sugli investimenti in tre direzioni: mantenerli sulla parte core (per la tenuta del business), adattarli a ritmo delle mutevoli condizioni di mercato (per il cambio repentino nell’emergenza) e accelerarli verso nuove competenze (per abbracciare nuove opportunità).
Conferme anche dal Digital Transformation Index di Dell
Di questa accelerazione parla anche il Digital Transformation Index di Dell Technologies, la ricerca condotta da Vanson Bourne durante i mesi di luglio e agosto 2020, su un campione di 4.300 organizzazioni, in 12 industry e 18 Paesi.
Con uno spaccato anche per l’Italia. L’85% delle aziende del nostro Paese ha accelerato i progetti di digitalizzazione nel corso del 2020, meglio della media europea (75,3%) e meglio dei Paesi tecnologicamente più maturi come Germania (71,7%), Francia (70,7%) e UK (72,3%). Si è vero, partivamo da una posizione di svantaggio, ma significa avere abbracciato quell’accezione di resilienza rimarcata da Idc.
La psicologia tiene botta
Eccoci di nuovo alla resilienza. In condizioni complicate, che molti analisti amano definire volatili, incerte, complesse e ambigue (acronimo di Vuca: volatility, uncertainty, complexity, ambiguity), resilienza non è solo una necessità ripetuta da una parola in voga (a volte fin troppo abusata). E non è solo un termine che cela ottimismo (sia per Idc sia per Vanson Bourne).
Ma è un percorso tutt’altro che facile da compiere: perché mette in discussione pesantemente il pregresso (organizzativo, tecnologico, culturale) e anticipa grandi sforzi futuri (organizzativi, tecnologici, culturali).
Rimane per questo di fondo sempre valida la definizione che ne dà la psicologia: “La resilienza è la capacità di un individuo di fronteggiare eventuali avversità o eventi traumatici, senza perdersi d’animo. Sinonimo di elasticità e mobilità”. Direi anche di caparbietà (budget permettendo).
© RIPRODUZIONE RISERVATA