Il tema del lavoro è oggi più che mai sentito nel contesto attuale e orientare le persone nel mondo del lavoro si è fatto un lavoro tutt’altro che semplice. Il gioco di parole ci sta, soprattutto perché dove trovare, cercare, intraprendere nuovi percorsi lavorativi si scontra inevitabilmente con la situazione economica e sociale, con il blocco dei licenziamenti che non durerà ancora a lungo, con intere filiere in sofferenza a un anno dallo scoppio dell’emergenza sanitaria dovuta a Covid-19. 
Gli ultimi dati disponibili in Italia, rilasciati da Istat, confermano la situazione: a febbraio si è registrato un aumento della disoccupazione anno su anno con 945mila occupati in meno rispetto al febbraio 2020 e un tasso di disoccupazione del 10,2%, anche se si è osservata un’inversione di tendenza degli occupati (+6mila) rispetto a gennaio 2021 (22.197.000). “Le ripetute flessioni congiunturali dell’occupazione, registrate dall’inizio dell’emergenza sanitaria fino a gennaio 2021 – si legge nella nota di Istat – hanno determinato un crollo dell’occupazione rispetto a febbraio 2020 (-4,1% pari a -945.000 unità). La diminuzione coinvolge uomini e donne, dipendenti (-590.000) e autonomi (-355.000) e tutte le classi d’età. Il tasso di occupazione scende, in un anno, di 2,2 punti percentuali toccando il 56,5%”.

Le preoccupazioni dei lavoratori

Marco Ceresa, amministratore delegato di Randstad in Italia
Marco Ceresa, amministratore delegato di Randstad in Italia

Un contesto complicato in cui Randstad, azienda da 20,7 miliardi di euro di fatturato di cui 1,7 in Italia, si trova a metà strada, nel mezzo tra domanda e offerta di lavoro: da una parte occupandosi di sopportare le aziende nella ricerca di candidati, dall’altra formando e stimolando le persone nello sviluppo del loro potenziale. Sta nel mezzo, in mesi in cui trovare lavoro per molti è la priorità.

Capire come il lavoro sta cambiando, anche a valle dell’emergenza sanitaria tuttora in corso è il perché della nostra chiacchierata con Marco Ceresa, amministratore delegato di Randstad in Italia ospitato al nostro Ceo Cafè, alla luce di un dato esplicito: l’emergenza sanitaria ha minato le certezze degli italiani sul lavoro, e oggi il 43% dei lavoratori teme di perdere il posto o non si sente sicuro del proprio impiego contro il 36% di un anno fa, la percentuale più alta tra i principali paesi europei come Regno Unito (39%), Spagna (39%), Francia (31%) e Germania (30%). Un dato emerso da una ricerca condotta da Randstad Workmonitor a fine 2020 in 34 Paesi del mondo, su un campione di oltre 800 lavoratori di età compresa fra 18 e 67 anni per ogni nazione.

“Il mercato del lavoro è in grande fermento, ci sono settori in grande crescita che chiedono di formare persone con competenze specifiche e altri in grande sofferenza come il mondo dell’hospitality e del turismo. Nel suo complesso non si può dire che il mercato stia andando male ma si può sostenere che è in grande cambiamento”. Ma senza dubbio l’emergenza sanitaria ha aumentando la sensazione di insicurezza dei lavoratori, l’attenzione alla tutela del posto e alla retribuzione, ma anche la richiesta degli italiani di formazione e di flessibilità. “La diffusione dello smart working dimostra come i lavoratori e le aziende stiano affrontando i cambiamenti imposti dalla crisi con grande capacità di adattamento. Le imprese devono impegnarsi per accogliere queste richieste e mettere i propri dipendenti nelle condizioni di esprimere tutto il loro potenziale”. E tra gli obiettivi per il lavoro post pandemia,  i lavoratori mettono al primo posto la protezione dello stipendio (54%), seguita dal rafforzamento delle politiche per la salute e dei protocolli di sicurezza sanitaria (41%) e dalla comunicazione trasparente (39%). La partecipazione a corsi di formazione, la disponibilità di un’assicurazione sanitaria, maggiore sicurezza seguono in scia.

Consapevolezza personale

Orientare le persone passa dalla capacità di ascolto, “dal capire a che punto sono della loro vita sia personale sia lavorativa, guardando anche alle competenze. Un conto se si ha di fronte un ragazzo giovani senza impegni famigliari o mutui da pagare, un conto se si deve collocare una persona che ha già una esperienza forte alle spalle e ha obblighi di diverso genere nei confronti della famiglia. Il nostro primo compito è riuscire a rendere le persone maggiormente consapevoli del loro potenziale, capire se hanno più ‘pensieri opportunità’ o più ‘pensieri vincolo’, se sono analitici o sistemici, e per fare questo serve una struttura dedicata non solo atta a soddisfare le esigenza dei clienti azienda ma anche le esigenze del lavoratori . E’ un tutt’uno: aiutare le persone a trovare un lavoro, scoprire i loro talenti e spingerle ad esprimere il loro potenziale”.

Introduce il concetto di “Life long employability”, un impegno preciso che fa seguire all’orientamento la formazione, l’inserimento (o il re-inserimento) nel mondo del lavoro, l’accompagnamento in ogni fase dell’esperienza lavorativa, la formazione continua e, appunto, il sostegno alle figure senior.

“Per potere allocare nel mondo corretto i profili, è necessaria una mappatura all’interno degli uffici HR delle aziende clienti e di cosa sta succedendo sul mercato, per capire quali sono i candidati da proporre e per fare questo è strategico avvalersi di analisti dei dati, per analizzare il bacino di mercato a cui possiamo attingere per proporre figure idonee”.

Tra queste serve mettere a fuoco le competenze richieste, in uno scenario in cui la mancanza di skill adeguati soprattutto in ambito digitale mette l’Italia tra gli ultimi Paesi europei, secondo la fotografia scattata dall’indice Desi che misura le competenze digitali. Non solo competenze nuove su profili giovani ma anche sul reskilling delle competenze esistenti di persone che devono rimettersi in gioco, magari anche non più giovanissime. “Quando io ho iniziato a lavorare non era cosi importante la conoscenza digitale, oggi qualsiasi lavoro tu faccia è importante sapere gestire il mondo digitale e IT. Molti lavori sono cambiati, basti guardare al marketing, una disciplina inizialmente basata sull’intuito ora una disciplina rigorosa che fa tesoro dell’analisi dei dati. Per qualsiasi lavoro oggi sono fondamentali le competenze digitali“.

In Randstad la formazione parte dalle scuole per orientare le persone, di qualsiasi età. “Abbiamo costituito un Its a Milano, che post diploma prevede un percorso di due anni nel quale le persone possono lavorare insieme alle aziende, per rispondere alle domande delle aziende con una formazione adeguata. L’Its non è solo per giovani ma anche per chi deve rinnovare le proprie competenze e si articola su tre filoni di studio: analisi dei dati, cybersecurity, come diventare uno sviluppatore java. A mio parere è un progetto molto interessante che conta oggi 180 studenti”.

Competenze per i Cio e i Ceo

Il digitale rimane fondamentale anche nella formazione dei profili in azienda, perché cambia il ruolo del Cio che ha nuova visibilità nei confronti del management. “Ma le competenze digitali non possono essere lasciate solo nelle mano dei Cio, ma devono diventare patrimonio anche degli HR manager così come dei Ceo, che devono a loro volta investire tempo nel formarsi su nuovi comportamenti e nuove tecnologie. Nello stesso modo, gli stessi Cio devono capire cosa succede in azienda per trovare soluzioni per far funzionare meglio l’azienda. Tutto sta succedendo in modo veloce, ma bisogna prepararsi per tempo. La maggior parte delle imprese prevede di aumentare il budget destinato all’innovazione rispetto a quello dedicato all’operatività, sia fra le aziende che attualmente spendono di più nelle operation sia fra quelle in cui le risorse sono ripartite in misura superiore all’innovazione o in ugual misura a entrambe le aree, con aumento medio compreso fra il 5% e il 10%”.

Gli investimenti principali saranno legati alla cybersecurity, spinta dallo smart working e dall’uso dei dispositivi personali per accedere alle risorse aziendali, che richiede l‘aggiornamento dei sistemi di protezione e la definizione di un piano di disaster recovery con lo sviluppo di competenze dedicate per analizzare e risolvere eventuali vulnerabilità nei sistemi informativi. Segue il cloud, con la necessità di integrare l’esistente e il nuovo, e profili in grado di gestire progetti di digital transformation, soprattutto orientati ad acquisire tecnologie agili per operare in modalità smart.

“Noi in Randstad avevamo gia strumenti per lavorare da casa, fuori filiale, preparati per tempo ben prima dell’emergenza sanitaria – precisa Ceresa. Secondo una ricerca Randstad l’ambiente di lavoro ideale post pandemia per tre italiani su quattro dovrà essere flessibile, con la possibilità di lavorare sia da casa sia in ufficio (per il 48% dei lavoratori) o con autonomia e flessibilità di scelta di luogo o orario di lavoro (26%), mentre solo l’11% vorrebbe lavorare sempre nella propria abitazione e il 15% sempre in ufficio”.

Scelta oculata dei candidati

Alla base della scelta di un candidato ci sono sempre i valori che l’azienda propone e quelli che il candidato mostra. “Le competenze, soprattutto digitali, sono importanti per selezionare le persone da assumere ma dalla mia esperienza vedo che le aziende scelgono sempre le persone che mostrano di avere valori importanti. Per noi in Randstad valgono la coscienziosità delle persone, l’apertura alle novità, la prevedibilità delle loro azioni. E’  importante che i candidati sposino i nostri valori, della conoscenza, del sapere, della fiducia nei confronti dei propri mezzi e delle persone, ai quali si affiancano altri due impegni. Quello di fare tutto il possibile per soddisfare le esigenze di tutti stakeholder, non schierandoci mai solo dalla parte dell’azienda cliente o del lavoratore, accanto all’impegno di di mirare alla perfezione nel lavoro che facciamo, non essere mai grossolani”.

L’impegno viene preso anche verso la società (“abbiamo come punto di riferimento molto chiaro i 17 obiettivi di sostenibilità dell’Onu”) cercando di fare progetti concreti come quello da poco avviato di aprire una succursale in Basilicata, in un paesino che ha visto negli ultimi 20 anni dimezzare la propria popolazione (Aliano, da 2.000 abitanti a 800) per il fuggi fuggi lavorativo verso le città. “Questa decisioni risponde alla logica di creare opportunità in ogni luogo senza alimentare il fenomeno dello spostamento demografico per inseguire il lavoro. Inoltre, se negli anni ’60 nasceva 1 milione di bambini l’anno, nel 2020 si parla di 400mila nascite annue, un numero destinato a ridursi anche in futuro, che creerà carenze di profili quando le generazioni più anziane andranno in pensione. La tecnologia può essere un valido alleato per rispondere a questo fabbisogno”. Una piccola filiale che si affianca alle 23 già presenti in Italia (e alle 4.715 in 38 Paesi)

Post Covid, quale lavoro

Nei prossimi mesi i vertical di mercato più ricettivi saranno logistica, pharma e informatica. “La logistica cerca persone non solo operative ma anche per costruire le infrastrutture, il pharma per produrre vaccini e medicine accanto al mondo medicale che guarda a profili per host, infermieri, medici, figure essenziali in una popolazione che invecchia. Crescerà anche la richiesta di profili per il mondo alimentare che si conferma in grande fermento in Italia e che può assorbire un passaggio di persone dai settori della ristorazione e del turismo”.
In ambito IT le figure professionali più strategiche saranno profili ibridi, in grado di guidare le direzioni delle altre linee di business lungo il percorso di trasformazione digitale. I profili più richiesti: cybersecurity expert, Ciso, cloud engineer, solution architect, specialisti di big data e business intelligence, data scientist, innovation manager. Profili che saranno importanti anche nella PA (“dove abbiamo vinto il bando per trovare infermieri e medici, con 600 persone che stanno lavorando per i vaccini) soprattutto in ambito amministrativo visto che molti dipendenti pubblici sono prossimi alla pensione e serve sostituirli con profili con competenze informatiche e digitali.

“Ma la crescita della centralità dell’IT per la continuità del business aumenta anche la richiesta di soft skill come la capacità di comunicazione, dialogo e relazione, la gestione del tempo e dello stress, il lavoro di squadra, flessibilità, curiosità, proattività – puntualizza Ceresa -.  Le attitudini relazionali sono anche la prima caratteristica considerata durante la selezione dei candidati, poi le competenze professionali e la capacità di lavorare in team.
Per questo il curriculum ideale non deve parlare solo di professioni e competenze, ma anche di attitudini: deve raccontare come si è, come si ragiona, i tratti del carattere.

Dati Istat che preoccupano

Tornando ai dati Istat di inizio articolo è bene sottolineare che il dato allarmante – quasi un milione dei disoccupati a febbraio in più rispetto a un anno fa – si deve anche a cambio della metodologia di rilevazione della forza lavoro, da gennaio 2021, in  base a un nuovo regolamento dell’Unione europea che vale per tutti gli istituti di statistica degli stati membri. La principale novità è che nella nuova rilevazione i lavoratori assenti per più di tre mesi non vengono più considerati occupati mentre prima lo erano (se percepivano una retribuzione di almeno il 50%). In pratica, se fino all’anno scorso i lavoratori in cassa integrazione venivano conteggiati tra gli occupati (anche se si trovavano in cassa integrazione da più di tre mesi) da gennaio 2021 vengono conteggiati tra i disoccupati se stanno cercando attivamente un lavoro, o tra gli inattivi se non lo stanno cercando (un dato che è aumentato in modo allarmante in un anno, arrivando a 717mila). Una metodologia che suscita qualche perplessità perché le persone in cassa integrazione sono a tutti gli effetti ancora dipendenti dall’azienda ma, nello stesso tempo, si sostiene che la cassa integrazione prolungata (con assenza dal lavoro) possa essere considerata un’anticamera della disoccupazione.

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