“L’Italia, come mostrano i dati Eurostat, è da anni in prima fila nelle attività legate al riciclo e al recupero di materiali e sempre più imprese fanno della circular economy un elemento fondamentale nel proprio business model – spiega Fabrizio Negri, amministratore delegato di Cerved Rating Agency -. Diventa quindi cruciale capire se l’utilizzo di queste pratiche abbia anche conseguenze positive di natura economico-finanziaria”.
E proprio per soddisfare questo bisogno Cerved, agenzia di rating italiana specializzata nella valutazione del merito di credito di imprese non finanziarie italiane e delle emissioni di titoli di debito, ha analizzato oltre 2mila società con valutazione Esg effettuata da Cerved Rating Agency (anche tramite dati forniti dagli stessi soggetti).
Lo scenario entro cui si colloca lo studio è quello evidenziato da Eurostat. L’Italia è ben posizionata sia per la produttività delle risorse – nel 2023 ha generato ben 3,6 euro di Pil per ogni kg di risorse consumate (50 centesimi in più di Francia e Spagna quasi 1,5 euro in più della media UE) -, sia per il tasso di utilizzo di materiali circolari, dove si posiziona al secondo posto in Europa dopo la Francia con un tasso di riciclo del 18,7% e ben al di sopra della media UE (11,5%). Non solo, la quota di materiali riciclati e reimmessi nell’economia è aumentata costantemente negli ultimi dieci anni.
Dallo studio di Cerved emerge che chi adotta modelli di economia circolare ha in media un punteggio Esg olistico superiore di circa 20 punti rispetto a chi non li prevede (63,4 contro 43,9), superiorità che si mantiene, anche se con molto meno scarto, per chi è virtuoso anche “solo” sotto il profilo dell’intensità di rifiuti prodotti, o riciclati/recuperati.
Una conferma in pratica che le imprese contraddistinte da pratiche di circolarità risultano, empiricamente, più sostenibili. L’economia circolare conviene poi a banche e imprese: l’adozione di modelli di business circolari, infatti, riduce del 28% (da 4,37% a 3,12%) il rischio di credito per le aziende e fa risparmiare agli istituti di credito 4 euro su ogni 100 di finanziamenti erogati. E’ evidente quindi l’impatto dei principali driver di circular economy in termini di benefici finanziari e, di conseguenza, di rischio di default.
E Negri così aiuta la lettura dei numeri: “Il risultato non cambia se si protrae l’esame nel tempo: le aziende ‘circolari’ avevano già nel 2021 una probabilità di default inferiore (2,51% contro il 3,18% delle non circular), ma nel giugno 2024, dopo un susseguirsi di crisi e rischi sistemici, il gap è aumentato ulteriormente (2,61% contro 3,86%), nonostante un deterioramento generalizzato del merito creditizio”
Un profilo di rischio migliore si può tradurre poi in una serie di vantaggi, a partire dai risparmi di capitale. Sono i dati a spiegarlo: la media della ponderazione creditizia per le imprese virtuose è stata calcolata in 72,8% rispetto al 76,7% di chi non lo è, un differenziale che corrisponde a circa 390 basis point di risparmio di attività ponderate per il rischio, o Risk-Weighted Assets (Rwa) per le banche a favore delle imprese circolari.
Proseguire nell’analisi aggiunge ulteriori interessanti dettagli e benefici in termini finanziari: le imprese ‘circolari’, infatti, hanno una maggiore capacità di coprire la spesa per interessi passivi tramite il risultato operativo e generano più cassa – una volta e mezzo – da destinare all’investimento. Inoltre, risultano meno indebitate. Vale, ancora una volta, anche estendendo l’orizzonte temporale di analisi in prospettiva pluriennale.
Fonti rinnovabili per l’energia e capacità di riutilizzare i materiali durante il ciclo produttivo si riflettono in una maggiore resilienza complessiva soprattutto nei periodi di forte rialzo dei prezzi delle commodity. Si parla nello specifico di una maggiore capacità nel contenere il rialzo dei costi operativi durante il triennio 2020-2022, e di relative conseguenze positive in termini di marginalità operativa.
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