Coincide con un momento difficile il debutto di Stefano Rebattoni come amministratore delegato di Ibm Italia, in carica da gennaio 2021. Difficile per il contesto economico e sociale in cui l’Italia versa (la pandemia non si arrende e il nuovo governo sta prendendo le misure) e per il ridisegno aziendale di Ibm stessa, a valle dell’annuncio dello split dell’azienda in due realtà focalizzate su business diversi, che avverrà entro al fine di quest’anno. “E’ un momento di grande trasformazione aziendale e di mercato – esordisce Rebattoni, in una chiacchierata mattutina – ed è importante capire dove Ibm stia andando”.
Un’azienda che, con un giro d’affari da 80 miliardi di dollari a livello mondiale, si appresta a dar vita allo spin off della parte di servizi infrastrutturali (che pesa circa 19 miliardi sul business complessivo) per rimanere focalizzata sulle tecnologie più innovative, nello specifico cloud ibrido e intelligenza artificiale, un mercato potenziale da mille miliardi di dollari.
Una strategia cloud (1) intrapresa con l’acquisizione di Red Hat nel 2019 (per 34 miliardi di dollari) che spinge ora la re-ingegnerizzazione di tutto il software Ibm (2), sia applicativo sia di sistema in modalità cloud nativa, basando lo sviluppo sull’architettura Red Hat Enterprise Linux e Openshift. E che, infine, implica la gestione dei servizi (3) sulla pluralità di cloud, privati e pubblici fino all’edge, anche in collaborazione con l’ecosistema dei partner.
Tre pilastri della nuova strategia rosso-blu di Ibm, che si sgancia dalla gestione dei servizi sulle infrastrutture legacy affidandole alla NewCo, annunciata lo scorso ottobre, focalizzata su eccellenza nella delivery e efficienza operativa. “La parte di servizi gestiti e progettuali è molto rilevante a livello italiano e dovremo ben capire come le due realtà opereranno e con quali sinergie – precisa Rebattoni – ma ad oggi nessun cliente si è detto preoccupato del cambiamento in corso” sottolineando come si lavorerà anche con terze parti comuni nella gestione di progetti e nella modernizzazione applicativa. “Ogni dollaro investito in piattaforme di orchestrazione ne genera dai 3 ai 5 dollari sul mercato software e dai 6 agli 8 dollari sui servizi. Ecco perché il mercato del cloud ibrido è un mercato stimato in mille miliardi di dollari” spiega, a beneficio dell’intero ecosistema.
Sintetizzando si potrebbe dire che la vecchia Ibm si dedicherà alle nuove tecnologie cloud e AI legate ai progetti di trasformazione digitale delle aziende, la nuova Ibm NewCo ai servizi storici che devono però rimare al passo con i tempi. “Saranno entrambi società leader nei rispettivi mercati, ed è certo che le due entità si muoveranno in modo collaborativo e partecipativo sui medesimi clienti” puntualizza Rebattoni.
Il Paese al centro del dibattito
Guardiamo all’Italia. Porta l’attenzione sui temi chiave di interesse generale per il Paese. La centralità dell’innovazione e della sostenibilità (“ci piace chiamarla Innovability”), il ruolo del digitale per far ripartire il Paese e la pubblica amministrazione (“abbiamo una presenza costruttiva in Confindustria Digitale o in Assolombarda”), investimenti in formazione, istruzione e capitale umano, accelerazione dei vari cantieri operativi aperti e dettagliati nel Pnrr, il Piano nazionale di Resilienza e Ripartenza (“le 59 opere prioritarie ora sono da mettere a terra”).
“Le nostre analisi ruotano attorno al Pnrr nel quale il digitale e l’innovazione giocano un ruolo cruciale – commenta Rebattoni -. Crediamo che ci sia una dimensione traversale tra i cantieri previsti proprio per la necessità di digitalizzazione del Paese”. Ma come rendere interoperabili cultura, servizi, formazione e lavoro per riallineare le competenze su nuove sfide e opportunità?
L’impegno di Ibm è a livello associativo fondamentale per interpretare e fare riflessioni su buone pratiche europee (Next Generation Eu) e italiane: “Una interpretazione a silos sarebbe un limite, il digitale è traversale – argomenta il Ceo -. Bisogna lavorare sul digitale per la sostenibilità – precisa -. Solo una PA agile ed efficiente può essere di supporto al business e al Paese e credo si debba lavorare molto sulle infrastrutture IT e sulla loro interoperabilità”.
La PA deve accelerare
E’ per un “cloud nazionale ma non nazionalista” Rebattoni, dal momento che il viaggio verso il cloud della PA deve essere aperto a più fornitori, multi cloud: “L’interoperabilità attraverso le piattaforma digitale è la grandissima sfida che abbiamo di fronte. Oggi banche dati e servizi risiedono in posti separati, devono integrarsi e per questo servono sia leggi sia infrastrutture adeguate”. Il riferimento va anche a Spid, PagoPA, AppIO che dovrebbero essere gli strumenti di dialogo tra cittadini e PA da gestire in modo trasparente e connesso. “Un cloud inteso non come fine ma come mezzo, per gestire la complessità in una logica aperta e di ecosistemi”.
Il giudizio è diretto. “La PA non è tra le prime realtà pronte all’alfabetizzazione digitale ma la trasformazione tecnologica sta diventando pervasiva ed è contagiosa – argomenta -. Basta vedere l’approccio all’open banking che sta trasformando le banche in ottica di grande apertura facendo leva anche su nuove competenze, o il mondo infrastrutturale con progetti importanti per ponti, strade, viadotti, o l’agricoltura, una delle realtà più dinamiche che si affiancano al mondo dell’industria e al manifatturiero”.
“Per la PA la classe politica rimane fondamentale e la sensazione che le realtà che hanno avviato una trasformazione digitale abbiano ottenuto un vantaggio competitivo è evidente, come Poste che ha l’ambizione di diventare un player di servizi. La PA non può esimersi da questo processo, anche perché la pandemia ha alzato l’attenzione dei cittadini sulla PA stessa”.
Abbiamo di fronte una grande opportunità, un doppio reset: “La consapevolezza a livello paese dell’importanza del digitale, ma soprattutto la consapevolezza che oggi questa necessità di svoltare sia diversa rispetto al passato e ci sia una percezione del tema maggiore a livello politico come a livello del singolo cittadino. Si è recuperato molto terreno sulla consapevolezza dell’opportunità del cambiamento ma bisogna scegliere i partner tecnologici giusti per indirizzare le competenze”.
L’impegno di Ibm parte così dalle scuole, superiori e università, sostiene il made in Italy che fa della tecnologia l’asset portante del proprio business (fintech, insurtech..), supporta i competence e innovation center nati con la compartecipazione di pubblico e privato (“se inizialmente guardavano alla tematica Industria 4.0 ora il tiro si alza verso nuove frontiere dal retail all’open banking”).
Il feedback dei clienti per decidere come impostare le nuove strategie rimane il primo strumento di decisione (“anche pre annuncio spin off, Ibm ha raccolto centinaia di pareri da grandi clienti in tutto il mondo”) e oggi sono gli stessi clienti che devono decidere quale strategia attuare, avendo spostato in cloud solo il 20% dei workload significativi e mantenendone ancora l’80% su sistemi legacy. Un dato che motiva il business della nuova Ibm sul cloud ibrido ma che legittima anche quello della NewCo. “Le due aziende che nasceranno avranno una logica molto operativa” conclude Rebattoni, che anticipa che a breve la NewCo avrà un nome.
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