I dati rappresentano una risorsa strategica per la crescita economica e lo sviluppo delle imprese. La disponibilità e analisi dei dati può infatti fornire informazioni preziose sui consumatori, sui mercati, sulle tendenze e sulle opportunità economiche, utilizzate dalle aziende per ottimizzare prodotti e servizi e dai sistemi nazionali per mettere in campo politiche e investimenti efficaci, oltre che per infiniti altri obiettivi, come il monitoraggio e il miglioramento della sostenibilità ambientale. Alla base della data analysis, le nuove leve tecnologiche come l’intelligenza artificiale, l’IoT o la telemedicina, i cui dati hanno il potere di trasformare l’economia, migliorare la qualità della vita delle persone e aumentare la produttività.

A fronte dell’indiscusso valore dei dati, le imprese non sembrano però avere sufficiente proattività nel loro utilizzo e mostrano una generalizzata mancanza di data maturity. A confermarlo è un sondaggio effettuato da YouGov per conto di Hewlett Packard Enterprise effettuato su circa 8.600 decision maker di imprese del settore privato e pubblico di 19 paesi a livello globale. In particolare, il sondaggio, rileva la capacità di creare valore dai dati dell’organizzazione sulla base di criteri strategici, organizzativi e tecnologici.

Hpe delinea il quadro della maturità

Ebbene, il primo dato che emerge è che solo il 3% delle imprese ha oggi un pieno livello di maturità in un range che registra un valore medio di 2,6 su una scala di 5 e dove il dato italiano riflette tendenzialmente quello mondiale.

Nel modello di maturità sviluppato da Hpe, il livello più alto, definito data economics, identifica quelle organizzazioni che sfruttano strategicamente i dati per ottenere risultati sulla base di un accesso unificato a fonti interne ed esterne che vengono analizzate con sistemi di analytics avanzati e di intelligenza artificiale. Il livello di maturità più basso, chiamato data anarchy, fotografa invece le aziende nelle quali i pool di dati sono isolati l’uno dall’altro e non vengono analizzati sistematicamente per generare insight o risultati. 

Fonte: Hpe Data Maturity Survey commissionata da Hpe a YouGov
Fonte: Data Maturity Survey commissionata da Hpe a YouGov

Entrando nel dettagli dei risultati, il 14% delle organizzazioni ha il livello di maturità più basso, il 29% è a livello 2 (data reporting), il 37% al livello 3 (data insights), il 17% al livello 4 (data centricity) e solo il 3% raggiunge appunto il livello 5. In Italia, i risultati sono in linea con il contesto mondiale, con qualche piccola differenza anche positiva, come il fatto che le aziende con la massima propensione alla data economy sono al 4% e quelle relative alla data anarchy sono il 13%; la fascia data reporting è ivece al 31%, la data insights al 34% e la data centricity al 17%. 

Fonte: Hpe Data Maturity Survey commissionata da Hpe a YouGov
Fonte: Hpe Data Maturity Survey commissionata da Hpe a YouGov

Le conseguenze di una mancata capacità di valorizzazione dei dati penalizza le aziende limitando la loro capacità di raggiungere obiettivi chiave come l’aumento delle vendite (30%), l’innovazione (28%), il miglioramento della customer experience (24%), il miglioramento della sostenibilità ambientale (21%) e l’aumento dell’efficienza interna (21%), rileva l’analisi di Hpe.

Nel nostro Paese, i dati riflettono risultati migliori delle imprese su alcuni fronti, con un aumento delle vendite del 34%, dell’innovazione al 32%, della customer experience al 23% e l’aumento dell’efficienza interna del 20%, mentre si evidenzia mediamente rispetto al dato globale una maggiore incapacità di utilizzo dei dati al fine del miglioramento della sostenibilità ambientale, con una percentuale ferma al 17%. 

Gap strategici, come colmarli

Definire gli aspetti da migliorare nella gestione dei dati al fine di dare più efficacia al business è molto importante. Il sondaggio di Hpe offre per questo una visione dettagliata dei gap strategici, organizzativi e tecnologici che le organizzazioni devono colmare per sfruttare i dati come asset lungo tutta la value chain.

Tra queste: la definizione di una data strategy; solo il 13% degli intervistati afferma che quella sui dati sia una parte fondamentale della strategia aziendale; l’allocazione di budget; quasi la metà delle aziende a livello globale (33% in Italia) non alloca alcun budget per iniziative relative ai dati o finanzia solo occasionalmente iniziative relative ai dati tramite il budget IT; avere un focus strategico su prodotti o servizi data-driven, segnalato solo dal 28% circa delle aziende; utilizzare metodologie come il machine learning o il deep learning; quasi la metà delle organizzazioni non le utilizza ma si affida a fogli di calcolo (29% vs 34% in Italia) o business intelligence e report preconfezionati (18% vs 15% in Italia) per l’analisi dei dati.

Tra le strategie da mettere in campo per la creazione di valore anche l’aggregazione di dati o insight provenienti da diverse applicazioni, location o spazi dati esterni. Ad esempio, i dati di telemetria generati dai sensori dei prodotti venduti possono aiutare il reparto R&S di un produttore ad allineare meglio la successiva generazione di prodotti alle esigenze dei clienti. Allo stesso modo, la condivisione tra strutture sanitarie degli insight generati dai dati dei pazienti può far progredire la diagnostica medica.

Claudio Bassoli, presidente e amministratore delegato di Hewlett Packard Enterprise Italia
Claudio Bassoli, presidente e Ceo di Hewlett Packard Enterprise Italia

“Esiste un ampio consenso sul fatto che i dati abbiano un enorme potenziale per far progredire il modo in cui viviamo e lavoriamo. Tuttavia, liberare questo potenziale richiede un cambiamento nelle strategie di trasformazione digitale delle organizzazioni – commenta Claudio Bassoli, presidente e Ceo di Hewlett Packard Enterprise Italia –. È dunque necessario che le imprese mettano i dati al centro dei loro percorsi di trasformazione per colmare le lacune attuali, rafforzare la loro autonomia e consentire la collaborazione tra ecosistemi di dati”.

Limiti tecnologici all’uso dei dati 

L’aspetto tecnologico impatta ed è spesso alla base del basso livello di data maturity delle imprese. Non esiste infatti un’architettura globale di dati e analisi, emerge dall’analisi: i dati sono isolati in singole applicazioni o posizioni nel 34% dei casi (39% in Italia). D’altra parte, solo il 19% (14% in Italia) delle aziende ha implementato un data hub o fabric centrale che fornisce accesso unificato ai dati in tempo reale in tutta l’organizzazione e per un altro 8% (13% in Italia) il data hub include anche fonti di dati esterne.

Considerato che le fonti di dati sono sempre più distribuite tra cloud ed edge, circa il 62% delle aziende ritiene che sia strategicamente importante un alto grado di controllo sui propri dati e mezzi per estrarne valore. Circa la metà dei rispondenti teme che i soggetti che detengono i monopoli dei dati abbiano un controllo eccessivo sulla loro capacità di creare valore e il 39% (in Italia 26%) sta rivalutando la propria strategia cloud a causa dell’aumento dei costi (42%), delle preoccupazioni sulla sicurezza (37% vs 26% in Italia), della necessità di un’architettura più flessibile (37% vs 29% in Italia) e della carenza di controllo sui propri dati (32% vs 26% in Italia).

Il ruolo di Hpe

In questo contesto, Hpe, ribadisce il proprio supporto alle organizzazioni per estrarre valore dai dati. La piattaforma edge-to-cloud Hpe GreenLake consente infatti di implementare un modello cloud-everywhere con la possibilità di scegliere la corretta posizione dei dati e delle applicazioni, fornendo contemporaneamente un modello operativo di orchestrazione tra edge, colocation, data center e cloud. “A causa della massiccia crescita dei dati all’edge, le organizzazioni hanno bisogno di architetture ibride edge-to-cloud in cui il cloud arriva ai dati, non viceversa. Hpe GreenLake offre alle organizzazioni la possibilità di accedere, controllare, proteggere, governare e liberare il valore dei dati ovunque, con un’esperienza coerente dall’edge al cloud”, conclude Bassoli.

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