L’ufficializzazione della neonata associazione italiana di costruttori di data center è un grand opening nella sede di Vertiv alle porte di Milano, un momento che raccoglie non solo le 50 aziende che oggi hanno già aderito al patto associativo ma anche amministratori, associazioni europee, analisti. E’ Emmanuel Becker, come presidente di Ida (oltre che amministratore delegato di Equinix) – a sottolineare la missione di “favorire la digitalizzazione del nostro Paese” partendo dalla posizione in cui l’Italia si trova in Europa: terza per economia dopo Francia e Germania, ma fuori dal podio se si guarda all’economia digitale. “Non siamo bravi in questo – commenta Becker -. Ma questo gap ci permette di vedere grandi opportunità sul nostro mercato. Ida ha la pretesa di portare un incremento del digitale a livello europeo e globale, perché Italia non si può permettere di essere nelle retrovie”.
Il punto di partenza è scritto nel claim dell’associazione: “Non c’è business senza digitale e non c’è digitale senza data center”, con diversi obiettivi.
Il primo è rappresentare il settore: “Spiegare chi siamo e cosa facciamo, sembra banale ma spesso l’incomprensione impedisce lo sviluppo” continua Becker.
Il secondo è favorire lo sviluppo del digitale e il necessario sviluppo del data center: “In Italia ci sono decine di migliaia di data center, dai piccoli ai grandi, ma manca la capacità di federare tutti gli sforzi. Dobbiamo favorire lo sviluppo in modo più strutturato dei data center nel nostro Paese”.
Il terzo è essere più efficienti e portare nuovi attori in Italia: “Questo mondo digitale può migliorare in termini di energia e sostenibilità – precisa -. Spesso si commenta che il data center consuma energia, ma non avremmo questa efficienza se i data center non esistessero. Mettendo insieme tutti i provider possiamo lavorare insieme per creare un migliore efficientamento”.
Il quarto è il commitment sull’energia e sulla sostenibilità. “Ognuno degli associati deve sentirsi responsabilizzato sulla sostenibilità dei data center per garantire un uso del digitale più sostenibile”.
Infine, quinto e ultimo punto è affrontare la problematica delle risorse, trovare profili, formarli, portarli a un buon livello di competenze. “Vogliamo collaborare con scuole e università per favorire le competenze legate al mondo del data center. Senza sostenibilità e education non c’è futuro”.
Senza dimenticare la voglia di fare sistema con l’Europa e la pubblica amministrazione italiana.
Le questioni in campo
La nascita ufficiale di Ida mostra alcune lacune del settore, a partire dalla necessità di fare sistema sul territorio, anche nella stessa sede di Vertiv, centro di aggregazione di aziende che operano nell’IT. Sistema anche con associazioni europee come la Dutch Datacenter Association (Dda) e la Spain Datacenter Association (SpainDC), per un confronto al fine di definire una politica comune europea che spinga la crescita dei servizi cloud e digitali, che poggiano su infrastrutture solide ma che necessitano di normative adeguate. “Dobbiamo dialogare con il parlamento europeo, coordinare le azioni in Europa, dove le sfide della digitalizzazione nei vari Paesi sono molto simili” precisa Stefano Mozzato, direttore colocation and hyperscaler strategic segment di Vertiv -. La sostenibilità dei data center parte da efficienza energetica, manutentiva ed economia circolare”.
Ma l’industria dei data center ha confini molto sfumati. Li delinea Andrea Calzavacca, head of loan advisory alternative investment di Cbre, con uno zoom su un mercato poco delineato oggi. Qualche dato ricavato da fonti diverse: sono 17.356 i lavoratori impiegati nell’industria dei data center, un numero immenso paragonabile ai 20mila lavoratori del trasporto aereo. “La previsione è che questo mercato occuperà a breve 30mila persone nei data center generando una industria che porterà business per 5 miliardi di euro ogni anno e che avrà un indotto anche su altre filiere come quella delle costruzioni” precisa Calzavacca. Per i prossimi 5 anni le previsioni di crescita sono importanti, c’è la domanda di potenza da parte delle aziende e c’èlo spazio per crescere sul territorio, lo testimoniano le aperture delle diverse cloud region di Aws, Oracle, Google Cloud, Microsoft (estate 2023), la crescita dei data center di Aruba. “Sei operatori di data center sono entrati nel nostro Paese negli ultimi tre anni – dettaglia – e abbiamo una lista di 20 operatori internazionali pronti a entrare in Italia. Non tutti lo faranno: i nuovi faticheranno a recuperare quote di mercato, i provider esistenti lavorano bene. Le barriere all’ingresso sono punti di debolezza dell’industria dei data center e Ida nasce anche per questo”.
Anche la riqualificazione di vecchi data center è un tema che affianca la creazione di nuovi. “Non c’è un vero equilibrio da ricercare – commenta Peter Lambrecht, vice president sales Emea di Vertiv -. Abbiamo data center in Italia che hanno più di vent’anni che sono terribili e c’è un mercato molto importante sulla riqualificazione di data center esistenti. Il ciclo di vita di un data center è attorno a 12-15 anni, e ci sono sicuramente siti industriali che possiamo riqualificare, dobbiamo chiederlo anche ai nostri politici come intervenire in quelle aree. E’ molto più semplice portare la fibra che l’elettricità in un data center, ma bisogna lavorarci”. E incalza Alberto Caccia, head of project & costruction management di L22: “Il data center è anche una opportunità per attivare operazioni di riqualifica, per sanare passività ambientali. Può diventare un’occasione di dialogo con le amministrazioni. Cercando siti con i broker si guarda spesso alla potenza, ma non si ragiona mai senza amministrazioni e gestori della rete. Bene che Ida possa anche attivarsi per cercare aree, per essere interlocutore con la PA”. Serve una certificazione di sostenibilità, che non vuole dire solo efficienza energetica ma sostenibilità del processo nel suo complesso anche nel caso di riutilizzo di siti dismessi (come a Settimo Milanese), valutando come vengono riutilizzati gli aggregati, come viene fatto il protocollo di demolizione. “Dobbiamo creare dei protocolli realizzabili, costruire strumenti più applicabili alla realtà per il dialogo con le amministrazioni” aggiunge Caccia.
Se si guarda la Lombardia, Milano sarà ampiamente impattata da questo business. Non solo per la necessità di utilizzare il cloud per fare girare al meglio il capoluogo lombardo (“impegnato nella realizzazione di un gemello digitale, nella creazione di partenariati pubblici privati che spingano il digitale” spiega Layla Pavone, coordinatrice del board all’innovazione del comune) ma anche coordinandosi con le aree in cui i data center sono attualmente operativi o lo saranno.
Il comparto di Castelletto a Settimo Milanese ha riprogettato l’area che storicamente ospitava Italtel in un campus di data center, grazie anche al recupero di capannoni dismessi da parte di Data4. “Ed essendo una area a basso rischio abbiamo lavorato sullo sviluppo di una nuova occupazione, i terreni sono stati oggetto di compravendite e oggi qui convivono tutti i data center, in mano a diversi operatori (4-5), che condividono coinquilini di un unico spazio anche se competitor” racconta Sara Santagostino, sindaca di Settimo Milanese. Questo ha portato a una riqualificazione di un comparto che è interessante per le comunità come era stata Italtel un tempo. Castelletto oggi è il punto finale di un contesto territoriale più ampio, nuova sfida per l’amministrazione che si appresta a deliberare una variante al piano di governo del territorio che tenga conto delle aree a interesse tecnologico e dello sviluppo territoriale a fronte dello sviluppo dei data center. “La cosa più importante è oggi comunicare l’importanza dei data center. Perché, per la maggioranza dei cittadini, l’operato non è percepito”.
Ma anche a Genova la questione smuove la sensibilità cittadina per l’approdo dei cavi sottomarini in prossimità del porto e l’ambizione di Ida sarà anche di lavorare con i comuni per capire il modo corretto in cui prendere le decisioni. “E’ nostra convinzione che ciò che non si misura non esista – racconta Alfredo Viglienzoni, sindaco di Genova, ricordando i due data center presenti in città, uno dei quali ospita la server farm del comune –. Ed essendo i dati la quarta utility dopo acqua, gas e luce, per la città è strategico gestirli nel migliore dei modi”. Progetti di digitalizzazione del front end con i cittadini, che riguardano fascicolo cittadino, esercizi commerciali, digital twin della città per mappare pioggia e bombe d’acqua, verificando le perturbazioni in tempo reale. “I dati sono uno degli asset per lo sviluppo della regione – precisa -. Molti cavi in direzione verso l’Europa sono approdati a Genova (Equinix e Vodafone ad esempio) dando vita a una infrastruttura in grado di ricevere altri cavi intercontinentali. Anche Tim Sparkle sta portando a Genova il primo di sette cavi. Il nostro porto sarà così in grado produrre potenza anche per alimentare altre strutture sul territorio”.
I diversi casi sono best practice che le 50 aziende associate possono tra loro condividere, per affrontare la problematica principale che catalizza l’attenzione di molti. Quella della sostenibilità dei data center, energivori per definizione. “Ma a monte del tema sostenibilità c’è il fatto che i data center sono oggi parte della soluzione della riduzione dell’impronta di CO2 – precisa Luca Venturelli, head of market strategic di Digital Realty, operatore di data center dal punto di vista infrastrutturale -. Dobbiamo prendere per mano chi deve fare ancora questo percorso, gli attori istituzionali e coloro che sono chiamati a regolamentare questo settore, per fare capire loro quali sono le esperienze concrete. Noi a Vienna utilizziamo il calore del data center per scaldare un ospedale vicino, la prossimità è fondamentale per questo progetto. Bisogna valutare caso per caso ma si possono creare le condizioni programmando lo sviluppo dei data center in luoghi adeguati. E’ un tema di territorialità, di partecipazione nell’industria con atti concreti”.
Per poi guardare anche al tema della sostenibilità finanziaria come porta in evidenza Federico Protto, amministratore delegato di Retelit-Irideos, che ha unito gli asset di Retelit sul mondo delle reti e della connettività a quelli di Irideos nel mondo dei data center. Si sa che le istituzioni finanziarie apprezzano investimenti in realtà attente agli obiettivi Esg, ma sarebbe superficiale non valutare il costo di questi. “Nel 2021 sono stati investiti più di 300 miliardi in attività sostenibili – racconta – e questo testimonia che sempre più fondi decidono di investire in società che hanno certificazioni Esg”. Ma non possiamo limitarci a questo dato, va valutata una progettualità più ampia che richiede un dialogo fruttuoso con le amministrazioni, non sempre facili da sostenere. “Posando i cavi a Bari non siamo stati in grado di raccontare cose fosse un cavo di Tlc all’amministrazione. Pensavano fosse invasivo e non che avesse un diametro piccolo pari a due monete – racconta Protto come aneddoto ma è esplicativo -. Un problema di scarso dialogo. Dobbiamo lavorare nell’ottica di aiutare anche le amministrazioni ad abbracciare nuove tecnologie, creando inclusione, aiutando la società a creare un ecosistema virtuoso che porta ritorni nell’arco di 5 anni”.
L’indotto riguarda anche nuovi lavori, dal momento che servono competenze mirate, senza dover pensare di rubare talenti ad altri settori Ict. Bisogna lavorare con chi fa formazione sul territorio e anche in questo ambito Ida potrà fornire il proprio contributo, mappando le necessità e prendendo contatti dalle scuole superiori alle università. Il mondo delle professioni che lavora nel data center è ampio, dà possibilità a ingegneri, elettricisti, data scientist, muratori, progettisti.
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