La Fondazione per la Sostenibilità Digitale presenta i risultati della ricerca Agrifood: la Sfida della Sostenibilità Digitale. Si tratta un’indagine condotta in collaborazione con l’Istituto di Studi Politici San Pio V, che mette sotto la lente il rapporto tra tecnologie digitali e sostenibilità nel comparto agrifood, attraverso l’analisi dei comportamenti e delle percezioni di quattro generazioni.
Lo studio è condotto utilizzando la metodologia Cati/Cami – si tratta di acronimi che indicano metodi di raccolta dati per interviste (rispettivamente Computer Assisted Telephone Interviewing e Computer Assisted Mobile Interviewing) – con un campione rappresentativo di 1.804 cittadini italiani intervistati nel marzo 2025. L’elaborazione dei dati è stata effettuata utilizzando l’indice Disi (Digital Sustainability Index), modello sviluppato dalla stessa Fondazione per misurare l’integrazione tra digitalizzazione e sostenibilità nei comportamenti dei cittadini.
Lo scenario agroalimentare
In un quadro macroeconomico positivo per l’agroalimentare italiano – con un valore aggiunto di 42,4 miliardi di euro nel 2024 che posiziona l’Italia al primo posto in Europa secondo Istat (davanti alla Spagna che registra 39,5 miliardi, alla Francia con 35,1 miliardi e la Germania che si ferma a 31,9 miliardi), e un impatto sul Pil nazionale pari al 19%, secondo dati Unioncamere – il tema della sostenibilità digitale emerge come nodo centrale per garantire uno sviluppo duraturo e inclusivo della filiera. Il settore agroalimentare italiano vale 586,9 miliardi di euro di fatturato nel 2024. La filiera estesa comprende agricoltura, alimentare, distribuzione, intermediazione e distribuzione e ha fatto registrare importanti trend di crescita nell’economia italiana. In percentuali l’8,4% in più rispetto al 2021 e +29% sul 2015, con impegnati 4 milioni di lavoratori in 740mila aziende agricole, 70mila industrie alimentari, oltre 330mila realtà della ristorazione e 230mila punti vendita al dettaglio.
Il ruolo delle tecnologie e l’utilizzo in Italia
Commenta Stefano Epifani, presidente della Fondazione per la Sostenibilità Digitale: “La ricerca mette in luce come la tecnologia possa svolgere un ruolo fondamentale nel rendere l’agrifood più sostenibile, ma anche come le diverse generazioni interpretino in modo diverso questa opportunità“.

Per questo pensare la sostenibilità in chiave sistemica significa potenziare efficienza ed efficacia lungo tutta la filiera, accettando al contempo una maggiore complessità gestionale.
Per affrontarla servono strumenti avanzati all’avanguardia e una solida cultura digitale condivisa. Il dato centrale che emerge è che il 67% degli italiani riconosce un contributo concreto delle tecnologie digitali alla crescita del settore agroalimentare. Un’opinione trasversale: la percentuale arriva al 71% tra Baby Boomer e Generazione Z, al 66% tra i rappresentanti della Generazione X e al 63% tra i Millennials.
Questo consenso generalizzato, tuttavia, si scontra con l’effettivo utilizzo quotidiano delle tecnologie, fortemente condizionato dall’età e dal livello di alfabetizzazione digitale.
Infatti, solo il 48% della Generazione Z e il 33% dei Millennials si dichiarano utenti digitali attivi e sensibili ai temi della sostenibilità. Tra le fasce più mature, l’adozione cala drasticamente: il 32% della Generazione X e il 52% dei Baby Boomers, infatti, utilizzano poco le tecnologie e attribuiscono minore importanza alla sostenibilità. Uno degli indicatori più significativi della ricerca è l’uso delle app e delle piattaforme digitali applicate all’agrifood.
Le app di food delivery, ad esempio, sono ancora poco diffuse: il 25% degli italiani non conosce questi servizi e il 39% li conosce ma non li utilizza. Solo il 26% ne fa un uso regolare. I più attivi risultano Millennials e Generazione Z, con una scarsa conoscenza rispettivamente del 12% e 18%.
Tra i Baby Boomers, invece, il 46% non conosce affatto queste app, e solo una piccola parte le utilizza. Ancora più eclatanti le differenze per le app di prenotazione di ristoranti e alberghi. Tra i Baby Boomers solo il 22% le utilizza, mentre il 74% non ne fa uso e il 45% non le conosce. Generazione X e Millennials mostrano una maggiore familiarità, con tassi di utilizzo rispettivamente al 52% e 42%. Anche la Generazione Z si attesta su un 41% di utenti attivi. Tuttavia, anche in questo ambito si evidenzia un divario culturale, non solo tecnologico, che potrebbe limitare l’accesso a servizi ormai essenziali.

Sono ancora più interessanti però i dati relativi alle applicazioni più verticali al servizio del comparto: per esempio per lo scambio di prodotti in scadenza, il monitoraggio delle liste di acquisto etc.. Le app orientate alla sostenibilità, come FairBnB o Cityaround, registrano un tasso medio di utilizzo regolare pari all’11%. I più virtuosi sono i giovani della Generazione Z (23%), seguiti dai Millennials (17%), mentre la Generazione X si ferma al 15% e i Baby Boomers al 9%. App e piattaforme di scambio di prodotti in scadenza, come MyFoody o i gruppi di quartiere, risultano pressoché sconosciute al 52% degli italiani. Il 28% non le può utilizzare per indisponibilità geografica. Solo il 3% della Generazione Z ne fa un uso regolare, contro l’1% dei Baby Boomers. Una potenziale leva per ridurre lo spreco alimentare che resta in gran parte inutilizzata. Anche le applicazioni per monitorare la scadenza dei prodotti e aiutare nella lista della spesa, come Ubo (UnaBuonaOccasione), sono poco conosciute: il 50% degli italiani dichiara di non conoscerle. La percentuale sale al 67% tra i Baby Boomer e al 48% nella Generazione X. La scarsa diffusione di queste app vanifica il potenziale del digitale come strumento per una gestione domestica più sostenibile.
L’utilizzo di tecnologie come QR Code o Rfid per ottenere informazioni sui prodotti alimentari registra forti disuguaglianze: solo il 12% dei Baby Boomers li utilizza regolarmente, mentre il 59% non li conosce. Al contrario, il 31% dei Millennials e il 25% della Generazione Z li adotta con continuità. Anche la Generazione X (26%) mostra un livello di utilizzo significativo, ma la media nazionale rimane bassa. Le app che propongono ricette a partire dai prodotti in scadenza, come Plant Jammer, sono un altro esempio del potenziale inespresso del digitale per la sostenibilità. Un italiano su due non le conosce, e il 78% non le utilizza. Solo il 22% della Generazione Z le impiega, mentre tra i Baby Boomers l’uso si ferma al 2% e ben il 67% ne ignora completamente l’esistenza.
“Dalla ricerca emerge come sia urgente promuovere una cultura della digitalizzazione trasversale, che non si limiti a colmare il digital divide anagrafico, ma che affronti anche quello tematico e informativo – riprende Epifani. Le istituzioni dovrebbero sviluppare strategie di formazione e sensibilizzazione mirate, che parlino a tutte le generazioni, adattando linguaggi e strumenti ai diversi bisogni e livelli di consapevolezza”.
La ricerca della Fondazione per la Sostenibilità Digitale evidenzia il potenziale delle soluzioni già disponibili ma anche l’attuale frammentazione nell’adozione degli strumenti digitali che rappresenta un ostacolo concreto. Serve un investimento deciso nella costruzione di una cultura digitale inclusiva, per trasformare l’innovazione tecnologica in un volano di sostenibilità ambientale, economica e sociale. Una sfida che richiede non solo infrastrutture e tecnologie, ma anche partecipazione diffusa e una visione d’insieme di possibilità e servizi.
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